IL PADRINO DI 36 ANNI FA, GRANDI ASCOLTI
Dunque, come si evince dagli ascolti di sabato 28, la riproposta di “Il padrino” di Francis Ford Coppola, 1972, girato ben trentasei anni fa, ha raccolto un gran pubblico su Rai3, andare a controllare. Io ero tra quegli spettatori. Ci sono capitato per caso. Facevo il solito zapping del dopocena alla ricerca di un qualsiasi
Dunque, come si evince dagli ascolti di sabato 28, la riproposta di “Il padrino” di Francis Ford Coppola, 1972, girato ben trentasei anni fa, ha raccolto un gran pubblico su Rai3, andare a controllare. Io ero tra quegli spettatori.
Ci sono capitato per caso. Facevo il solito zapping del dopocena alla ricerca di un qualsiasi viatico per la buonanotte, quando mi appare il volto massiccio di Marlon Brando, il Padrino- due rotoli di bambagia o d’altro a destra e a sinistra della corona dei denti inferiori per rendere la bassa mascella autoritaria e autorevole. Poi, eccoli uno dopo l’altro: Al Pacino, destinato a essere il suo successore; Robert Duvall, James Caan, e un bel pò di mafiosi italo-americani che sono di una razza un pò speciale, come aveva ben capito lo scrittore Mario Puzo al cui libro (1969) Coppola si ispirò.
Fantastici. Fantastico. Spesso ci si dimentica di come il cinema preso in bianco e nero o a colori funzioni come romanzo storico, anzi come storia vera e propria. Se poi lo si mette in controluce per guardare attraverso la pellicola si scoprono altre cose, altre finezze potenti che ci riguardano da vicino. Ad esempio, “Il Padrino” segna un netta separazione dal film di gangster americano che si può incarnare (inpellicolare) in “Scarface” di Howard Hakws (1932) dedicato alla leggendaria criminalità di Al Capone, interpretato da un indimenticabile Paul Muni. “Il Padrino” è diverso, persino migliore. Migliore perchè più profondo, sincero, doloroso. Diverso perchè ci mostra con o senza controluce un sentimento del destino personale e collettivo in cui sono coinvolti gli italoamericani ma anche gli italiani tout court, siciliani e non siciliani.
Vito Corleone, il Padrino, i suoi figli, la sua famiglia, gli amici, gli accoliti a stipendio, i sicari,la piccola società che frequenta e di cui fa parte sono semplicemente caratteri e portatori di handicap morale e culturale che si trovavano e si trovano nella Sicilia, in Calabria, Puglia e Campania, il nostro Sud soggiogato dalla criminalità e dalla sua mentalità, dal suo essere organizzazione e agenzia degli affetti e dei valori o disvalori.
L’handicap è costituito dall’assoluto cinismo. Un cinismo mascherato dall’amore per la casa e la famiglia, gli stessi amici, per la chiesa che battezza tutti compresi i figli dei delinquenti, e non può non farlo, lo fa per carità cieca e volenterosa, mentre (come avviene nel film di Coppola) i mitra crepitano, i morti si moltiplicano per la volontà spietata e appunto cinica del nuovo Padrino (Al Pacino che prende il posto del padre Vito).
Puzo e Coppola hanno rappresentato con grande classe questo handicap a cui si sono rifatti altri film venuti dopo sulla mafia d’oltreoceano (Brian De Palma con il suo più recente “Scarface”) ma anche i film o le serie delle televisioni. Senza “Il Padrino” in tv non avremmo mai visto la lunga serie della “Piovra” , “I Soprano”, “Il capo dei capi”; e, per quanto riguarda la letteratura, neanche i libri spassosi ma non solo di Andrea Camilleri.
Il pensiero, facendo questi ragionamenti, è partito ed è andato criminalmente (mi convertirò? sto per convertirmi?) a quanto accade dietro le quinte delle televisione di casa nostra, dalle reti generaliste ai canali satellitari. Un pool di criminali si sfida a colpi di cinismo affettuoso e ipocritamente cellopahanato. Criminali con le virgolette. Persona per persona, in questo o quel canale, c’è sempre un protettore. Tutto è buono per tenere in pugno la situazione. I padrini nominano. I sicari si fanno nominare volentieri dopo mesi di anticamera e di piagnistei. Ogni forza è buona, persino quella del vittimismo. Le vittime di ieri fanno carriera oggi, quelle di oggi faranno carriera domani, e così via. Sparano ascolti, vantano superiorità e fantasie, si fanno amici degli amici che scrivono sui giornali e li intervistano anche sul sesso degli angeli.
I sicari, che aspirano al ruolo del guru, aspirano a presentarsi come angeli dalla faccia pulita (solo i gangster usa si tengono la faccia sporca nei film) e aleggiano fra compiacimenti, progettistica irrilevante, divagazioni speciali e futuribili.
I nomi? Neanche nel suo “Padrino” fa nomi e cognomi, date e luoghi di nascita, anche se ne sappiamo qualcosa, se possiamo senza troppi sforzi individuare identità, specializzazioni e perchè no mitomanie?
Ecco un gioco da fare in questi giorni prima che venga l’Epifania e le Feste si porta via. Una cosa comunque è sicura: per queste forme di handicap non è valida la formula “politically correct” ovvero diversamente pensante, vedente, udente, teledipendente o telepotente…
ITALO MOSCATI