Il luogo comune del dolore
Non c’è strage, carneficina, attentato, esplosione, ecatombe occidentale che non preveda, il giorno successivo, la fotografia o la zoomata sull’uomo o la donna comune (meglio se con ragazzino in braccio) che – un pò imbarazzato, un pò commosso e molto fiero di dare bella mostra di sé al mondo insensibile – si inginocchia ad aggiungere
Non c’è strage, carneficina, attentato, esplosione, ecatombe occidentale che non preveda, il giorno successivo, la fotografia o la zoomata sull’uomo o la donna comune (meglio se con ragazzino in braccio) che – un pò imbarazzato, un pò commosso e molto fiero di dare bella mostra di sé al mondo insensibile – si inginocchia ad aggiungere un fiore, un biglietto o un peluche alla massa di fiori, biglietti o peluches già posti in loco da altri e a loro volta ripresi, zoomati, fotografati.
Questo luogo comune delle tragedie collettive, è un ulteriore tassello grottesco del baraccone che si scatena nel momento in cui l’attenzione morbosa dei media viene calamitata dalla “solita” routine: l’impiegato ferito (sempre quello), la donna che piange, il bimbo atterrito nelle braccia del padre. E, l’indomani, la prostrazione nel campo dei fiori. Vedere i siti delle testate più importanti per credere: gli elementi si ripetono in modo inquietante e ridondante. Una specie di globalizzazione – televisiva e fotografica – del rito.
Si tratti di una bomba, di un’onda anomala, di una principessa deceduta dentro ad un tunnel, di una curva dello stadio: l’omino o la donnina inginocchiati – con fiore in mano, colti nell’istante della posa da una prospettiva rasoterra – non mancano mai.
Uno dei tanti modi per esorcizzare le nostre paure e manifestare quel cordoglio peloso, da esportazione.
Pronti a recarci a donare un fiore, ma refrattari a qualsiasi presa di coscienza politica.