Il Commissario Montalbano tra pedofilia e migranti non consola, ma aiuta a riflettere
La mano di Zingaretti alla regia è leggera, la storia trova un Camilleri che non fa sconti.
Il Commissario Montalbano torna su Rai 1 in una serata difficile ma non fa sconti. L’atteso ritorno del commissario di Vigàta segue un’edizione straordinaria del Tg1 sulla conferenza stampa del Premier Conte – iniziata solo al termine di Soliti Ignoti – nella quale si annuncia l’estensione della zona protetta a tutta Italia.
In questo clima arriva il racconto di “Salvo amato, Livia mia“, anticipato da una struggente intervista di Mollica a Camilleri. Un’intervista che sembra essere pensata per questi giorni, esattamente per questa collocazione, per seguire le parole del Premier che invita gli italiani a essere solidali, pazienti, uniti nel restare a casa e aiutare così la battaglia contro il Coronavirus. “Montalbano unisce l’Italia” dice Mollica, “Gli italiani si riconoscono in lui” dice l’altro. Lo struggimento è totale.
Il film tv, figlio dell’unione di due racconti – Salvo amato… Livia mia e Il vecchio ladro -, recupera alcuni dei capisaldi della storia vigatese, dagli arancini di Adelina ai furti del figlio, e innesta temi fortissimi, cui Camilleri non si è mai sottratto e che qui, o questa sera, sembrano ancora più cupi e netti.
Da una parte un archivista pedofilo e assassino, dall’altro l’esempio di una giovane donna generosa che accoglie e assiste i migranti in arrivo su coste che non conoscono sosta. Due temi spinosi e durissimi che si intrecciano a un clima difficile, nel quale si finiscono per notare aspetti del quotidiano che sembrano oggi lontani, come i bambini a scuola, le strette di mano, gli abbracci. Nel mezzo la cura della ‘normalità’ cui Montalbano ci ha abituato soprattutto nella scrittura: la romantica scena saffica inserita nel racconto di una delle protagoniste rientra perfettamente nella rappresentazione di quotidianità che spesso al pubblico tv (soprattutto di Rai 1) viene ‘negata’. E invece eccola, nel prodotto più iconico della rete, ma non per questo bigottamente tradizionale: ed è una delle ricchezze della scrittura di Camilleri.
“Salvo amato, Livia mia” è in fondo un abbraccio ‘distanziato’ al pubblico televisivo, in linea con il periodo. C’è poca spensieratezza, poca di quella Sicilia che ha illuminato gli occhi. Sarà probabilmente una lettura condizionata dal contesto, ma la speranza di trovare l’armonia vigatese si è scontrata con una storia tesa fin dal primo momento, che neanche gli arancini divorati al Commissariato o gli ingressi di Catarella hanno potuto mitigare, complice anche una Livia direttamente colpita dal caso di puntata.
Anche la regia sembra aver assorbito questo tono: si ha la sensazione che si sia ricorsi a qualche taglio diverso dal solito e anche a qualche chiaroscuro più marcato, che dà sicuramente più eleganza alla confezione ma al contempo rinuncia alla fotografia più esplosiva (talvolta fin troppo ‘aperta’) di altri film tv. E qualche tocco più teatrale lo si riconosce: un esempio è nella bellissima inquadratura di Livia e Montalbano divisi da un tramonto, e non da un droplet precauzionale. La scelta di quell’inquadratura, volatile come il tramonto stesso, e il conseguente desiderio di immortalare il momento nel racconto porta a un long take che limita il montaggio e regala, quindi, uno degli scambi più teatrali della puntata.
Una puntata che si chiude col tocco delicato di Livia, con una lettera che ricorda l’importanza dell’amore verso gli altri. Perché la letteratura, anche nella forma della narrativa tv, se bella e fatta bene sa raccontare la realtà e sa dar voce alla collettività proprio quando serve.