Il Commissario Manara – Un fotoromanzo che diventa serie tv
Quando si recensisce qualcosa bisogna sempre tener presente qual è l’obiettivo di quel qualcosa. E poi metterlo in relazione con lo stato dell’arte, con l’universo di riferimento.Ora, parliamoci chiaro: Il Commissario Manara, in assoluto, non è un capolavoro né una serie indimenticabile nella storia della lunga serialità all’italiana. Figuriamoci se lo si rapporta allo status
Quando si recensisce qualcosa bisogna sempre tener presente qual è l’obiettivo di quel qualcosa. E poi metterlo in relazione con lo stato dell’arte, con l’universo di riferimento.
Ora, parliamoci chiaro: Il Commissario Manara, in assoluto, non è un capolavoro né una serie indimenticabile nella storia della lunga serialità all’italiana. Figuriamoci se lo si rapporta allo status quo estero.
Però, ci sono dei però. A giudicare da questi primi due episodi, la serie è girata bene, ha una bella fotografia, è gradevole, scorre, fa perlomeno sorridere. Personalmente, non amo troppo la commistione fra la detection e la comedy, a meno che questa comedy non sia bella caricata e dia un senso all’intero tono della serie, la caratterizzi fortemente.
Qui ci si prova. Solo che siamo in prime time su RaiUno e caricare troppo non si può. Risultato: Manara è un simpatico commissario donnaiolo, cui, lo sappiamo già dal primo sorriso, quando entra in scena ricciolo e baffuto e trasandato – e tutti immaginiamo da subito che Bruno Gambarotta e compagnia non lo riconosceranno come commissario. Infatti, lo scambiano per un immigrato – che gli andrà tutto, ma proprio tutto bene.
Un po’ inverosimile questo arrivo contemporaneo nello stesso commissariato del paesello di commissario e avvenente ispettrice scelta che, casualmente, andavano a scuola (di polizia) insieme. E si mantiene quell’alone di inverosimiglianza à la Jessica Fletcher con Valeria Valeri, che rimane come personaggio collante alla serie originaria Una famiglia in giallo – di cui Manara è spin off – e che, guardate un po’, è la zia dell’ispettrice.
Donnaiolo impenitente dal sorriso sexy, è ovvio che Manara si farà accettare facendo breccia nei cuori di tutti, uomini e donne. Soprattutto donne. La detection non è poi così appassionante: il caso di puntata è abbastanza intuitivo e senza enormi colpi di scena. Ci sono delle belle trovate – Commissario e ispettrice rinchiusi dentro una cella frigorifera di un camion, per esempio – e altre trovate che funzionano meno – il fatto, per esempio, che tutto, ma proprio tutto sia macchiettistico. Tranne le vittime, i parenti delle stesse e gli omicidi -.
In sostanza, questo Manara, contestualizzato e rapportato a ciò che vorrebbe essere si porta a casa una sufficienza e si rivela, più o meno, un fotoromanzo-fumetto trasposto in televisione.
Del resto, ne ha l’estetica. E il suo protagonista, questo bel Guido Caprino, così diverso da se stesso in Amiche mie, ha proprio l’appeal dei protagonisti di un fotoromanzo, ricorda dei fotoromanzi un grande e amatissimo volto che forse qualche lettrice troverà familiare (Franco Gasparri, nell’immagine) e si rivela un prodotto tutto sommato godibile ma per nulla impressionante se lo si vuole giudicare dal punto di vista dell’impatto, dell’innovazione, del coraggio di cambiare di cui parliamo spesso qui su TvBlog.
Altra pecca: la recitazione, in particolare dei personaggi secondari, è poco curata. E’ una delle cose che dovremmo imparare dagli americani, che hanno una cura maniacale anche per gli attori dei ruoli minori.