Il Collegio 2022: un’edizione divertente e meno “finta” del solito
La settima edizione de Il Collegio parte bene e convince, soprattutto per la decisione di non scimmiottare troppo le edizioni passate.
Non possiamo asserire con certezza che Rai 2 debba ripartire da Il Collegio per dare il via a quel nuovo corso che dovrebbe permettere alla seconda rete Rai di ritrovare la tanto agognata identità perduta, resta il fatto, però, che sul docu-reality divenuto negli anni un cult per la Generazione Z, Rai 2 può ancora puntare, nonostante il crollo preoccupante della scorsa edizione, sotto il fronte Auditel.
Il Collegio ritorna con un’edizione più affine alle prime stagioni, ambientate negli anni ’60 come ricordiamo (questa stagione è ambientata addirittura nel 1958, quindi mai così a ritroso negli anni) dove si denota un’accuratezza maggiore nel non offrire un prodotto eccessivamente plastificato.
Il Collegio ha una traccia, ovviamente, come tutti i docu-reality o gli scripted reality show, ma l’atmosfera che si è respirata nel corso della visione di questa prima puntata della settima edizione non è stata all’insegna della fintaggine sfacciata, come purtroppo, ormai, siamo avvezzi per colpa di una certa tv che continua ad avere l’arroganza di abbindolare i telespettatori.
Già nel vedere delle lacrime vere, ad esempio, verrebbe voglia di festeggiare in stile mondiali 2006.
Nino Frassica, voce narrante di quest’edizione, appare nettamente depotenziato, (il rapporto poco armonioso tra la sua comicità e i giovanissimi è già stato appurato nel corso del serale di Amici), ridimensionato a semplice narratore che fa il proprio dovere, soprattutto quando viene passato in rassegna il 1958, senza spunti originali, riconducibili al suo inconfondibile stile, e con testi, a volte, anche troppo smielati.
Il corpo docenti è stato nettamente rivoluzionato, con il solo Andrea Maggi riconfermato (insieme ai sorveglianti Lucia Gravante e Matteo Caremoli e al preside Paolo Bosisio), ed è stata aggiunta anche una sorta di duello tra sezioni, arguto escamotage per costruire dinamiche. La classe, infatti, è stata suddivisa in una sezione dedicata alla scuola media (la sezione A) e l’altra riservata all’avviamento professionale (la sezione B).
Anche l’iconico momento del taglio dei capelli, divertente agli inizi, poi stancante col trascorrere delle stagioni e a volte inserito anche forzatamente soprattutto nelle edizioni ambientate negli anni ’80 e ’90 (stesso discorso per l’olio di fegato di merluzzo), è stato affrontato in un modo insolito, con una lezione tenutasi nella sezione B e con i ragazzi che, successivamente, non tutti, si sono tagliati i capelli tra di loro, senza scene madri e con reazioni più misurate e vere.
L’aver capito che scimmiottare se stessi non porta mai a nulla di buono è un altro punto a favore, anche se, ad essere onesti, anche l’anno scorso furono apportate alcune novità.
Insegnanti a parte (un applauso per il prof. Zilli, molto simpatico), quindi, nessuna rivoluzione generale, perché non avrebbe avuto giustamente senso e perché sarebbe stato come ammettere che qualcosa si è inceppato nel meccanismo de Il Collegio che, invece, ha ancora delle potenzialità.
Penalizzati dalla scelta di proporre altri programmi che hanno puntato pesantemente e imprudentemente sulla Generazione Z, come La Caserma o Volevo essere un mago, giustamente, si è capito che la strada per dare un’identità a Rai 2 non era quella.
Per la Generazione Z, è sufficiente Il Collegio che può rappresentare perfettamente, se vuole, i giovanissimi di oggi, senza affidarsi unicamente alle macchiette. Tra i collegiali, infatti, ci sono ragazzi che hanno ambizioni importanti, ragazzi che hanno affrontato vicende difficili, dalla morte di un loro caro alla separazione dei genitori, con storie originali caratterizzate da passioni e da personalità ben definite.
L’obiettivo de Il Collegio, ora come ora, è quello di smarcarsi dalla definizione di viatico per diventare degli influencer perché arrendersi a ciò comporterebbe sia la reiterazione di dinamiche che stancherebbero che il coinvolgimento di ragazzi poco spontanei.
Nel lavoro di post-produzione, infine, da ammonire lo scarso utilizzo dei nomi in sovrimpressione, che non facilita una veloce identificazione dei ragazzi, e una certa “fretta” nel montaggio nella parte finale, dove si passa di palo in frasca troppo velocemente per arrivare al momento della classifica di merito.