Il clan dei camorristi: Pio Stellaccio è il carabiniere Adriano Labucci – l’intervista di TvBlog
TvBlog intervista l’attore Pio Stellaccio, uno dei protagonisti della fiction Taodue Il clan dei camorristi. Interpreta il carabiniere Adriano Labucci
In queste ultime settimane la fiction Il Clan dei Camorristi sta appassionando ogni venerdì sera quasi 5 milioni di telespettatori a puntata. Merito, oltre che della sceneggiatura, anche dell’ottimo cast vantato dalla fiction, che vede protagonisti Stefano Accorsi e Giuseppe Zeno, affiancati da altri giovani attori, magari meno conosciuti ma certamente preparati e dall’indiscusso talento. Tra loro c’è Pio Stellaccio, nei panni del giovane carabiniere Adriano Labucci, amico e collega di Marco Esposito (Glen Blackhall), ucciso da O’Malese. Dopo quel terrificante delitto tocca proprio ad Adriano indagare per scoprirne i responsabili, ed è lui che diventa il sostegno del giudice Esposito e anche di Patrizia (Serena Rossi), con la quale nell’ultima puntata abbiamo visto nascere un sentimento che va al di là dell’amicizia. Il ruolo di Adriano si va facendo sempre più centrale nella trama della fiction, ed è per questo che abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Pio Stellaccio, che lo interpreta, per scoprire qualcosa in più sul suo personaggio e sulla sua carriera d’attore.
Prima di ‘approdare’ sul set de Il Clan dei Camorristi, e dopo gli studi presso l’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico e numerosi stage, Pio ha avuto numerose esperienze teatrali, e qualche partecipazione cinematografica e televisiva. Il suo sogno, ora, è quello di proseguire su questa strada, certamente non semplice, ma che gli sta regalando grandi soddisfazioni.
Ti stiamo seguendo nella fiction Taodue Il Clan dei Camorristi. Ci parli di Adriano, il tuo personaggio?
Adriano è un giovane allegro ed ottimista che vorrebbe avere una vita normale come quella degli altri ragazzi della sua età. Sceglie di fare il carabiniere per convinzioni morali; ci crede. Ma la realtà che dovrà affrontare lo costringerà a mettere in discussione le sue certezze per fare i conti di volta in volta col poco netto confine tra bene e male.
Come ti sei preparato a questo ruolo?
Prima di tutto, prima ancora di leggere il copione, ho cercato di informarmi sul contesto storico e culturale di quegli anni e dei luoghi della vicenda. In seguito ho spulciato su internet alla ricerca di video dell’epoca che riproducevano reali interventi degli agenti dell’arma ed ho riascoltato un bel po’ di musica di quel periodo.
Riscontri delle differenze nell’interpretare il ruolo del cattivo o quello del buono e hai preferenze?
I ruoli da antagonista, il cosiddetto cattivo, hanno indubbiamente un livello superiore di fascinazione sul pubblico e danno la possibilità all’attore di pescare maggiormente nel profondo, sperimentando in modo più ludico quello che è il gioco della recitazione. Rivestire la parte del buono, invece, significa avere da un lato il sostegno del pubblico che tende ad immedesimarsi, ma dall’altro richiede grande attenzione nello sfumare un’interpretazione che potrebbe risultare più piatta.
Quale ricordo di questa esperienza ti accompagnerà anche in futuro?
Ho un preciso ricordo, vivido nella mia mente. Un giorno ero al trucco in compagnia di altri colleghi e dalla lettura di un quotidiano apprendemmo la notizia della cattura di uno tra i più noti latitanti di camorra. Tra di noi c’era anche Stefano Accorsi il quale, appena terminata la lettura, esclamò sorridendo: “Ragazzi, l’abbiamo preso!” La realtà era entrata nella nostra finzione ed ebbi la consapevolezza che il nostro lavoro ci stava dando la possibilità di raccontare il presente.
Quale credi sia il punto di forza di questa fiction?
Credo abbia diversi punti di forza: il valore delle riprese, il realismo della rappresentazione e la qualità delle interpretazioni.
In occasione della messa in onda di fiction che parlano di mafia, ndrangheta o camorra, si riaccendono le polemiche da parte di chi accusa questi prodotti di esaltare o ‘mitizzare’ le azioni della malavita o comunque di dare un’idea negativa dell’Italia. Tu cosa ne pensi?
Penso che “Il clan dei camorristi” abbia il merito di raccontare una parentesi storica, purtroppo non ancora chiusa, senza falso buonismo o esaltazione. La camorra si giudica da sola, ma sono convinto che i media abbiano il dovere di tenere le luci accese su certe realtà e che il giudizio critico si formi attraverso l’istruzione e nelle famiglie.
Hai preso parte anche ad altre fiction, mi vengono in mente Il maresciallo Rocca, Donna Detective, La Squadra, e altre. Ce n’è una di cui conservi un ricordo particolare e perché?
Tra tutte ricordo con gran piacere l’esperienza del Maresciallo Rocca, sul cui set un Gigi Proietti dai piedi doloranti non perdeva occasione per allietarci con le sue barzellette. E uno di quei giorni diedi anch’io il mio contributo. Durante una scena, al termine dell’inseguimento di un malvivente a piedi per i campi ci ritrovavamo a dover sfondare la porta di un casale di campagna. Su ordine del Maresciallo avrei dovuto fiondarmi davanti all’accesso per primo, attendere l’arrivo degli altri ed assestare una spallata decisa a quella porta per fare incursione. Ma al comando di Rocca, forse per troppo entusiasmo, partii ad una velocità tale che arrivato allo stipite non riuscii a fermarmi e scivolai oltre rotolando in un cespuglio.
C’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare nelle fiction nostrane?
Mi piacciono le fiction in cui il racconto delle vite di uomini comuni si staglia sullo sfondo della storia d’Italia vissuta dai nostri genitori, dai nostri nonni. Mi piacerebbe, per esempio, rivestire un ruolo da commedia in una fiction ambientata negli anni ’60.
Quando non lavori guardi la tv? C’è qualcosa che segui con piacere?
Non si può certo dire che io sia un teledipendente. Sono un fruitore saltuario della tv, quando la guardo è per i film, l’informazione, lo sport e i documentari, da quelli storici ai naturalistici. Insomma l’accendo per guardarla, non per tenerla come sottofondo.
Quale credi sia oggi il problema maggiore che incontra un giovane attore che voglia farsi strada nella tv italiana?
Non c’è bisogno di una laurea in economia per sapere che si ottiene un guadagno vendendo un prodotto ad un prezzo maggiore del costo d’acquisto. Credo che la tv italiana, soprattutto negli ultimi due decenni, sia diventata sempre più schiava degli interessi pubblicitari. Spesso crea i suoi divi per poi rivenderli e lo fa fino a quando le conviene o i gusti del mercato non cambiano. Al di là dei guadagni, se potessi dare un consiglio ad un giovane attore che punta ad una lunga carriera attualmente gli direi di non confidare nella tv. È vero, può essere un ottimo trampolino, ma bisogna sempre sperare che poi la piscina sia piena!
Hai lavorato in tv, in teatro, per il cinema. Hai preferenze tra questi tre tipi di espressione artistica e in questo momento di crisi è ancora possibile scegliere?
La tv mi diverte. Il teatro è la passione per la vita. Il cinema mi affascina, rapisce, è la vera fabbrica dei sogni e spero di poterne fare tanto in futuro. Se potessi decidere non escluderei nessuna di queste scelte, la varietà è sempre una ricchezza. Ma il vero lusso risiede nella possibilità di scegliere rispetto alla qualità delle proposte, cosa che, al di là della contingenza economica, è generalmente appannaggio di chi ha già acquisito una certa notorietà.
Dopo Il Clan dei Camorristi quali sono i tuoi progetti lavorativi? Dove potremo rivederti?
Attualmente il progetto cui tengo di più è uno spettacolo teatrale, la trasposizione della vita di Oskar Schindler: “Cronache di un uomo d’affari in tempo di guerra”. Lo spettacolo, in cui interpreto proprio Schindler, ha vinto la rassegna “Salviamo i talenti” del teatro Vittoria di Roma dove andrà in scena a maggio.
Ringraziamo Pio per la sua disponibilità e continuiamo a seguirlo ne Il clan dei camorristi.
Foto non di scena: Agenzia Quattro P, che rappresenta l’attore.