Il Circolo dei Mondiali e la convinzione (sbagliata) che tutto sia replicabile
Il Circolo dei Mondiali è stato vittima della propria lucentezza passata, con la convinzione che bastasse ripresentarsi a prescindere per portare a casa il risultato
No, Il Circolo dei Mondiali non è il peggior programma della storia ad essersi occupato della manifestazione calcistica più importante del pianeta. Basterebbe avere un po’ di memoria per rispolverare gli imbarazzi delle varie Serate e Notti Mondiali degli ultimi trent’anni per stilare facilmente una classifica che non vede al primo posto la trasmissione andata in onda nell’ultimo mese.
Resta comunque un fatto: Il Circolo dei Mondiali è stato un programma infelice. Nella scrittura, nel confezionamento, nelle situazioni ideate a monte ed in quelle innescatesi nel durante. Difetti non inediti, dicevamo, che però – rispetto agli illustri predecessori – non erano chiamati a confrontarsi con il giudizio dei social. Rapido, dirompente, severo.
Twitter è una bolla e ha ragione chi la ritiene tale. Fu tuttavia la stessa bolla, un anno e mezzo fa, a celebrare Il Circolo degli Anelli, di cui Il Circolo dei Mondiali è figlio. L’esaltazione del web all’epoca, spesso smodata, cavalcata dai diretti protagonisti e resa mitologica per via della mancata riproposizione dello show su Rai Play per motivi di diritti, è stata bilanciata da una sostanziale indifferenza oggi, da parte di chi evidentemente non ha più ritrovato certe atmosfere.
Già lo speciale del Natale 2021 avrebbe dovuto allarmare e convincere che i bis spesso non raccolgono gli applausi della prima volta. Ma come nel cinema, si sa, dopo un incasso clamoroso al botteghino arriva puntualmente il sequel. Anche se registi e attori non ne sono entusiasti, anche se la trama non sfonda. C’è il ferro caldo e bisogna doverosamente batterlo finché non si raffredda.
Il Circolo dei Mondiali è stato pertanto vittima della propria lucentezza passata, con la convinzione che bastasse ripresentarsi a prescindere per portare a casa il risultato. Eppure in tv non va così, perché i fattori esterni contano, anzi sono spesso determinanti.
L’inverno, innanzitutto, non è l’estate. Se a luglio e agosto il pubblico è svogliato, distratto e passivo, tutto cambia nei mesi freddi, quando la tv viene scelta per “esigenza” e si hanno più pretese. Da qui forse nasce una lettura più spietata di quella degli ‘Anelli’, contesto che poteva godere di una leggerezza maggiore a monte. D’altronde, sempre meglio un’offerta inedita che un palinsesto vuoto.
C’è poi un’altra questione: i Mondiali non sono le Olimpiadi. In occasione di Tokyo 2020 Sara Simeoni, Jury Chechi e Domenico Fioravanti assicurarono competenza su tre sport di spicco della rassegna e dove c’era “ignoranza”, questa diventava comica perché la loro ignoranza era al contempo l’ignoranza degli italiani. Col pallone invece è diverso, dal momento che è qualcosa che masticano tutti, o quasi.
“Perché non si può ironizzare sul calcio?”, si è domandata più volte Alessandra De Stefano, quasi a voler giustificare la montagna di critiche ricevute. Sapendo bene che il problema non sta nello scherzare, bensì nel senso di spaesamento e di improvvisazione spesso generato dal programma.
La colpa sta nell’aver voluto replicare in automatico un format che aveva funzionato, compresi i momenti di goliardia e cazzeggio. Parentesi spontanee che sono diventati passaggi in scaletta, con risultato di trasformare in caricatura la Simeoni, al contrario rivelazione agli ‘Anelli’.
Il Circolo dei Mondiali, alla fine della fiera, è stato un errore concettuale: la nicchia funziona se rimane nicchia. Qualsiasi esperimento ‘per pochi’, spostato su ampia scala, delude. Un conto è proporre certe cose ad un “circolo” ristretto, un altro è pensare che lo stesso schema possa valere per un’ampia platea.
A seguire il punto di vista sul Circolo dei Mondiali della collega Giorgia Iovane.