Il Circolo dei Mondiali ha raccontato l’evento fuggendo dalla tossicità del talk calcistico
Il Circolo dei Mondiali ha raccontato l’evento, lasciando ai talk di campionato il peggio del commento calcistico, e ha messo al centro lo sport, facendo della Coppa del Mondo una vetrina per le altre discipline: un racconto trasversale che è diventato un appuntamento piacevole anche per chi il calcio non lo segue.
Il circolo dei Mondiali conclude oggi la sua non facile avventura: un mese di appuntamenti legati esclusivamente ai match in programma – dunque con una programmazione non costante – e nella difficile situazione di doversi far largo nel palinsesto di Rai 1, dove spesso è sembrato essere d’intralcio ad altro. Lo dimostra il fatto che proprio nelle fasi decisive del Campionato del Mondo, ovvero in occasione della finalina tra Croazia e Marocco (e chiamatela ‘finalina’…) e della ‘super’ Finale Francia – Argentina, il programma vada in onda solo su RaiPlay: una cosa a rigor di logica incomprensibile, visto che è stato presentato, lanciato, usato come contenuto dell’Ammiraglia a corredo dei Mondiali; spegnerlo proprio in occasione dei momenti più attesi dà la sensazione di un’incompiuta, di una scommessa poco convinta da parte dell’Azienda. L’avere, poi, metà programma su RaiPlay ha davvero travalicato l’umana comprensione: di contro, però, la dimensione ‘intima’ del solo streaming ha finito per compattare ancora di più la community nata all’ombra dei cerchi olimpici, per cui ha avuto i suoi vantaggi, almeno per gli aficionados.
A proposito di aficionados, e in generale di accoglienza da parte del pubblico, non si può dire che il programma non abbia polarizzato: lo dimostra anche l’attenzione che ha avuto nella nostra redazione, con posizioni diverse tra diversi autori. E in quest’ottica vi invito a leggere il pezzo di Massimo Falcioni, che del Circolo ha un’opinione diversa. La ricchezza di una testata fatta di gente che ama e analizza la tv è anche questa.
Il Circolo dei Mondiali, i meriti di un programma rischioso
Per chi scrive, il merito de Il Circolo dei Mondiali sta nel fatto di aver puntato sull’evento e non sul calcio tout-court, lasciando fuori dal racconto la parte più tossica del commento calcistico – dominante nelle rubriche settimanali dedicate al Campionato di club – e puntando piuttosto sulla ‘leggerezza’ di un evento mondiale, condiviso nei cinque continenti, e quindi sulle sue caratteristiche intrinseche di ‘unicum’ televisivo e sportivo. E infatti più che il calcio è stato protagonista lo sport grazie a un parterre che sera dopo sera ha accolto non il solito giro del commento livoroso di opinionisti e tecnici di professione – spesso mossi più dall’istinto di marcare un territorio che di leggere uno sport – ma una compagnia fatta di gente di sport, di ieri e di oggi: da Panatta a Tardelli, da Mancini a Signori, ciclisti, corridori, nuotatori, di tutto di più. Un modo per rendere la vetrina dei Mondiali di Calcio l’occasione per parlare di sport a tutto tondo, dei suoi valori, delle sue passioni, delle sue emozioni, dei suoi protagonisti. Il tutto in una chiave decisamente leggera, ma non superficiale: la sigla affidata a Fabio Celenza ne è il manifesto. L’attenzione ai temi controversi del Mondiale in Qatar, l’intervista all’arbitro Claudio Gavillucci, anche il momento tanto criticato del Circolo del Risparmio – per quanto ‘cringe’ per qualcuno – ha avuto il merito di ancorare il calcio alla realtà, l’evento al quotidiano. Può essere riuscito o meno, ma è stato un modo per tenere lo sguardo aperto e non rivolgersi sempre ed esclusivamente al proprio ombelico, come il racconto calcistico spesso fa.
Il protagonista de Il Circolo dei Mondiali è stato lo sport
Se Fiorello fa il Morning Variety Show, Il Circolo dei Mondiali ha provato a fare uno Sport Variety Show ma senza ballerine scosciate, senza femmine porta-cartelline e leggi-risultato, senza prendersi troppo sul serio anzi giocando tutto su ironia, intelligenza, attenzione, ovvero seguendo la linea guida dettata dall’esperienza olimpica. Certo, in Italia chi tocca il calcio ‘muore’ e quindi le critiche sono fioccate soprattutto da parte di chi segue il calcio settimana dopo settimana, che sia tifoso o meno, ma che in ogni caso è abituato alla ‘sacralità’ (ribadisco, tossica per modalità di confronto, spesso per toni, spesso per parzialità respingente) del post-partita da coltello tra i denti.
Il programma ci ha fatto i conti molto rapidamente, raddrizzando in corso d’opera – già dopo la prima puntata che qui recensimmo – la sua direzione e cercando di bilanciare la parte ‘cazzeggio’ (tanto amata da chi ha apprezzato Il Circolo degli Anelli) con la parte tecnica: quindi sintesi delle partite, commento a tema, interviste e approfondimenti da Doha più concentrati all’inizio e, progressivamente, l’apertura ai toni e ai contenuti propri del Circolo. In questo caso, però, la presenza di Sara Simeoni è stata meno a fuoco: signorilità, intelligenza, brillantezza sempre da vendere, ma la sensazione che fosse un po’ più pesce fuor d’acqua si è avvertita (e le domande da copione, per quanto da lei ben interpretate, ne sono state un esempio). Dal canto suo, invece, Yuri Chechi ha dimostrato ben presto di essere più che all’altezza del commento calcistico: il campone ne sa. Ma qui, al di là di tutto, come detto, il protagonista de Il Circolo dei Mondiali è lo sport e non c’è stato ospite che non abbia portato al racconto un contributo in questa prospettiva: anche la presenza di Enrico Mentana è stata ‘sfruttata’ sul coté più squisitamente calcistico – insomma più da tifoso dell’Inter e della Nazionale – che da direttore di Tg, in una sorta di flusso cui ha partecipato solo chi voleva sintonizzarsi su quella lunghezza d’onda. Se proprio una critica vogliamo muovere è legata agli intermezzi musicali, talvolta più da timbratura cartellino che da riscaldamento clima, ma sopratutto al format di Gianfelice Facchetti che se da un lato ha contribuito ad aprire il racconto allo sport in senso più ampio, dall’altra ha fatto sentire un po’ troppo il Buffa Style (che ormai ha anche un po’ stancato).
“Il Mondiale è di tutti”
In breve, proprio la mancanza di livore, tossicità, commento tecnico a ogni costo è stato probabilmente ciò che più ha infastidito chi segue il calcio stagionale, ma ha attirato pubblici diversi, fatti da chi ha voglia di seguire i Mondiali in quanto evento (e i servizi realizzati dalla redazione sono stati esemplari nel raccontare quanto avveniva nel campo e sugli spalti) e non la gara in quanto eliminazione, polemica, contestazione all’arbitro, critica ai giocatori e agli allenatori. Insomma, l’idea è stata quella di lasciar vivere i Mondiali al pubblico con un po’ di gioia, tanto più che questa volta – come la scorsa, del resto – abbiamo potuto ‘godercela’ senza la tensione dell’Italia in campo. Lo so, commento impopolare – che molti leggeranno come snob -, ma per chi soffre dai rigori del 1982 è una boccata d’aria, ancor di più considerando più che chi scrive ha deciso di non tifare mai più la Nazionale dopo il Golden Gol di Trezeguet nella finale di Euro 2000 a un’Italia che aveva buttato una finale alle ortiche: due coronarie e un fegato ho e cerco di conservarmeli. Un punto di vista, dunque, da donna non appassionata di calcio, ma amante degli eventi sportivi e televisivi che si è ritrovata a domandarsi se fosse già l’ora di accendere la tv (o il pc) per seguire Il Circolo dei Mondiali. Si è creata, dunque, un’attesa per un target diverso da quello consueto.
In fondo questa sembrava essere la filosofia che ha guidato la direttrice di Rai Sport Alessandra De Stefano (e qui trovate la sua intervista a TvBlog) prima nel difendere l’acquisto dei diritti del Mondiale – senza alcuna ripartizione anche dopo la mancata qualificazione dell’Italia – e poi nel confezionare questo prodotto: i Mondiali devono essere di tutti. E direi che la filosofia è stata rispettata.