Il Circolo degli Anelli nella prima serata di Rai 2 è diventato per molti il guilty pleasure di queste Olimpiadi 2020 in tv. E stasera arriva il gran finale. A mio avviso il punto di forza – lo dico subito – è stata l’autoironia, quella capacità di non prendersi sul serio da parte soprattutto delle capitane, ovvero Alessandra De Stefano – un caterpillar del gancio narrativo – e Sara Simeoni, regina dell’atletica e novella sparigliatrice della liturgia tv. La loro capacità di ridere di loro stesse trascina anche chi notoriamente non ha lo stesso dono: si pensi a Jury Chechi, sempre sul punto di dire la cosa più sbagliata – e puntualmente corretto in corsa e col sorriso dalla Simeoni – o a Raffaele Morelli, ospite di un paio di puntate e vera cartina al tornasole del valore della spontaneità e dell’autoironia contro la pienezza di sé e l’incapacità di leggere il momento, il clima, il contesto. Per riprendere un tema caro al professore, il femmineo contro il machismo. Gli effetti dello scontro tra i due stili sono memorabili: l’attacco di ridarella di Sara Simeoni e dello studio tutto sul commento al libro del professore resta uno dei momenti migliori del programma. E della stagione tv.
Ma tutto questo non si può rivedere, se non per qualche spezzone rubato e messo furtivamente online. E questo ‘accidente’ è stato forse un altro dei punti di forza del programma, diventato un piccolo cult anche per la sua assenza dal web e non solo per le sue ore di trasmissione (cresciute in corsa visti gli ascolti). Partito in sordina, Il Circolo degli Anelli (un po’ Compagnia, un po’ Cerchio olimpico, un po’ Anello chechiano’) ha conquistato la sua bolla social nonostante sia il programma più analogico che la televisione contemporanea ricordi. Come ha ben analizzato Massimo Falcioni in un suo post dedicato, senza la possibilità di rivedere il programma su RaiPlay le ‘gesta’ della squadra capitanata da Alessandra De Stefano sono diventate quasi ‘mitiche’, oggetto di passaparola, di sentito dire, in una dimensione che ci riporta a un’epoca lontana. Abbiamo già avuto modo di notare, infatti, che la mancanza delle Olimpiadi 2020 su RaiPlay ha rispedito i telespettatori italiani in pieni anni ’90, costretti alla visione lineare e forme di consumo tv ormai lontane, soprattutto ai più giovani.
Ebbene, devo dire che sebbene ormai lontane dalle mie abitudini quotidiane – scandite dal binge-watching sulle OTT – Il Circolo degli Anelli mi ha riportato all’appuntamento fisso davanti al televisore all’ora definita, all’attesa dell’inizio del programma, al break pubblicitario, al palinsesto tradizionale, a tutto quello che l’on-demand ha cancellato. Mi ha, insomma, riportato al consumo lineare. Perché? Perché ogni sera ero curiosa di sapere fino a che punto arriveranno, quale sarebbe stata l’uscita maldestra di Chechi, in che modo la Simeoni avrebbe ribadito il suo primato nell’analisi sportiva e nella voglia di divertirsi, fino a che punto la squadra avrebbe retto, o meglio come, le 3 ore di diretta. Volevo vedere fino a che punto si sarebbe spostata l’asticella di un programma che ha mostrato che un racconto sportivo senza rigidità è possibile, diversamente da quello che accade con i contenitori fissi dei palinsesti autunnali, soprattutto quelli calcistici, che si prendono fin troppo sul serio. E anche per gustarmi quel brivido cringe che non è mai mancato, ma che una risata in studio ha sempre stemperato.
Il Circolo degli Anelli e il ‘format famiglia’
Come La settimana enigmistica, anche Il Circolo degli Anelli vanta tentativi di imitazione. Riusciti, direi. Mi riferisco soprattutto a una delle colonne del programma, da subito cifra della rubrica: trattasi del format “Intervista la famiglia del medagliato”. Un sunto di italianità – e di trattamento italiano della notizia – degno dei principali emotainment tv. Per fortuna si parla di sport, per fortuna sono famiglie di sportivi, per fortuna sono persone abituate al sacrificio, che sanno cosa sia la fatica, che non amano stare davanti alle telecamere. Per fortuna. Tutto questo evita l’effetto Live – Non è la De Stefano e restituisce invece un racconto dello sport sudato, forse al di là delle previsioni stesse del programma (che infatti poi strizza l’occhio ad appendici dimenticabili, come il finalino musicale buttato lì un po’ così’ a chiudere la puntata o lo spazio ‘wannabe Buffa’ che sembra pure di troppo, visto che già bastano i tanti appuntamenti di Record – Oltre l’impossibile sparsi nel palinsesto).
Dicevamo, il format “Intervista con famiglia”: ebbene, via via che Il Circolo macinava ascolti i vicini di palinsesto hanno adottato la formula, in primis Tg2 e Tg2 Post. E così tutti a casa dei medagliati per raccoglierne le impressioni, le emozioni, le lacrime e i sorrisi. Ma c’è chi conosce la materia, chi insegue per opportunità.
Sara Simeoni, l’Orietta Berti del talk sportivo
Più che per funzione che per attitudine, ça va sans dire, Sara Simeoni ha rappresentato un po’ Orietta Berti del racconto olimpico con quella capacità del tutto spontanea di sparigliare il codice della tv. Consapevole, divertita e divertente, è sempre entrata nel discorso con l’eleganza e la forza che ha mostrato per anni in pista. Pronta a giocare con la sua immagine, a prestarsi all’estro del trucco e parrucco della squadra Rai di Milano, la Simeoni non ha mai perso di vista il focus del programma, lo sport, anche se trattato con una leggerezza che Rai Sport ha dimostrato di avere più delle sue colleghe generaliste. Naïve, ma mai fuori posto (a differenza di altri ospiti), la Simeoni è stata la rivelazione di questa Olimpiade in tv. Ma se le vogliamo bene, e se abbiamo apprezzato il programma, non chiedamo loro di continuare: la bellezza è nell’estemporaneo. Evitiamole l’effetto ‘personaggio’ contro cui la Berti ora si trova, involontariamente, a lottare. Ma per il 2024 consiglierei a Rai Sport di conservate i numeri di telefono e di confermare la coppia regina di questa Olimpiade.