Il Cacciatore di Sogni veicola un messaggio di speranza senza (troppa) retorica
Il Cacciatore di Sogni, programma condotto da Stefano Buttafuoco, in onda su Rai 3, è giunto alla quarta edizione. La recensione di TvBlog
Parlare di disabilità in televisione è sempre compito ardimentoso in quanto i rischi, principalmente, restano due: scadere nella retorica e, al tempo stesso, comunicare implicitamente pietismo, compassione o, peggio ancora, senso di colpa al telespettatore, utilizzando un ottimismo forzato.
Anche parlare di programmi di questo genere presenta non poche difficoltà in quanto le critiche possono essere percepite come sinonimo di insensibilità quando, invece, un’eventuale valutazione negativa riguarderebbe solamente la resa televisiva del prodotto e non certo il fine del programma che è nobile e resta tale.
Il Cacciatore di Sogni, programma di interviste curato da Stefano Buttafuoco giunto alla quarta edizione, in onda su Rai 3 ogni domenica pomeriggio, in ogni puntata incontra persone che hanno trasformato i limiti imposti dalla disabilità in una spinta in più per non arrendersi e per inseguire quei sogni che danno, appunto, il titolo del programma.
Gli incontri di Stefano Buttafuoco con i protagonisti di puntata (nella puntata andata in onda oggi, abbiamo visto Matteo Betti, schermidore medaglia d’argento alle ultime Paralimpiadi di Parigi 2024) hanno il merito di non scadere troppo nella ridondanza e di non calcare troppo la mano in dettagli che potrebbero furbescamente fare maggiore presa ad un pubblico sensibile.
Il Cacciatore dei Sogni, pur partendo da una comprensibile base di positività, dalla sigla iniziale (Ricordati di vivere di Jovanotti) al messaggio costante (e giusto) di inclusione, racconta la disabilità da un punto di vista in modo realistico, senza enfatizzare.
Un esempio, tratto sempre dalla puntata odierna, ci viene fornito da Eleonora Daniele che ha rilasciato dichiarazioni impattanti parlando di disabilità e che non ha trattenuto le lacrime, parlando del fratello affetto da autismo e scomparso nel 2015, mostrando il proprio dolore:
C’è molta ignoranza, c’è paura della disabilità. Dovremmo riformare la cultura della disabilità, cambiarla e sostenerla. Questi ragazzi sono una risorsa per noi. Mi è mancato un fratello e oggi ne ho ancora più consapevolezza. La società di oggi non dedica importanza a temi riguardanti l’inclusione. Lo stato delle cose sanitario e assistenziale è fallimentare. C’è anche un linguaggio sulla disabilità che va ricontrollato. Oggi si dice autistico per offendere qualcuno. È insopportabile. Scrivere il libro è stato molto difficile: una lacrima e una parola. Non ho superato il dolore. Si cerca di andare avanti a fatica.
Non tutto è rose e fiori, quindi, non tutto è bello per forza ma la disabilità va raccontata nella sua interezza, anche nei lati che si preferirebbe omettere, mantenendo un sano distacco.
Il Cacciatore di Sogni non “ordina” ai telespettatori disabili di seguire l’esempio dei protagonisti (messaggi come “Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutti” sono dannosi) ma veicola delicatamente un messaggio di speranza e un’opportunità di cogliere il meglio da una situazione problematica.