I Migliori Anni 2024, il simbolo di una tv che invecchia e non lo vuole ammettere
I Migliori Anni non si rassegna ad ammettere che il suo tempo è passato. La recensione della prima puntata dell’edizione 2024
I Migliori Anni appare sempre più come un format abbacchiato, eppure sembra quel malato terminale a cui nessuno vuole dire che sono gli ultimi giorni di vita. Certo, il format è stato risuscitato lo scorso anno, dopo un lungo letargo, durato sei anni, e forse questa lunga assenza non è stata casuale.
Pare però già arrivata l’ora di rimetterlo in soffitta e lì lasciarlo per sempre. L’atmosfera che si respira all’interno dello studio 5 del Nomentano è quella di un allegro ospizio dove si chiede a chi ha fatto la storia della musica, italiana e talvolta anche internazionale, di sparare le ultime cartucce.
Il clima, dunque, non può essere diverso da quello dell’ultima festa prima del congedo di una persona cara. La tv nostalgia, caro e dolce ancoraggio 15 anni fa, oggi sembra paracetamolo per obnubilare un presente particolarmente grigio. Una cura che però non sembra dare gli esiti sperati e che lascia in bocca solo l’amaro di quello che un tempo era e oggi non è più.
Nella prima puntata si colgono anche alcune scelte particolari. Prima di queste lo straordinario spazio concesso a Carlo Verdone, che è stato protagonista della rubrica 3×3. Collocato nel cuore della puntata il segmento, con i lunghi aneddoti regalati con generosità da Verdone, ha rischiato di spezzare il ritmo della serata.
Sorprende poi la scelta di invitare come ospite Francesco Gabbani, il cui brano più vecchio eseguito risale al 2016. Conti con Gabbani gongola e ricorda i suoi Festival, tralasciando di spiegare al pubblico il perché invitarlo a I Migliori Anni. Non lasciano invece il segno né la presenza di Giorgio Mastrota per promuovere oggetti d’epoca né quella di Maurizio Battista.
Forse basterebbe ammettere che I Migliori Anni rappresenta un’idea di tv superata e che bisognerebbe avere il coraggio di archiviare. Per ora ci si limita ad osservare un morto che cammina, in attesa che perda da solo la forza per andare avanti.