House of cards: Kevin Spacey portavoce della prima serie tv di Netflix, tra teatro ed Internet
House of cards è la prima serie prodotta da Netflix: un thriller politico tra tradizione e modernità con un fantastico Kevin Spacey
Se vuoi dare uno schiaffo alla tv tradizionale, fa in un modo che lo schiaffo sia ben forte. E che possa fare male. La filosofia dietro ad “House of cards”, primo progetto originale realizzato dalla piattaforma online Netflix sembra essere questa: dimostrare alla tv convenzionale che le cose stanno cambiando, e che alla Rete non bastano più le briciole delle pur gradevoli ma ancora sottovalutate web series.
Due anni fa il colosso americano che propone ai suoi abbonati il noleggio e lo streaming di film e serie tv ha deciso di fare da sè, e di realizzare internamente un telefilm che fidelizzasse gli utenti del servizio. Serviva un’idea grossa, e nomi altrettanto importanti. Detto fatto: Netflix è riuscita a togliere ad Hbo ed Amc i diritti di “House of cards”, progetto-remake dell’omonima serie tv inglese del 1990, a sua volta tratta dal romanzo di Michael Dobbs.
La prima fase era stata completata. Serviva, quindi, un pezzo grosso, qualcuno che portasse il pubblico a dare un’occhiata allo show anche solo “perchè c’è lui”: la scelta è caduta su Kevin Spacey (premio Oscar per “I soliti sospetti” ed “American Beauty”), per la prima volta al lavoro su una serie. A lui, successivamente, si è aggiunto David Fincher, che non solo è produttore dello show, ma anche regista dei primi due episodi. E’ iniziata così l’avventura di una serie tv che fin dal primo episodio si dimostra potente e capace di tenere incollati allo schermo.
House of cards
Partiamo dalla storia: Frank (Spacey) è a capo della maggioranza alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Un “cane da guardia” che deve tenere a bada capricci e sbandate dei suoi colleghi per fare in modo che la propria ala politica possa lavorare senza scandali ed intoppi. Quando Garrett Walker (Michael Gill) viene eletto Presidente degli Stati Uniti grazie anche al lavoro di Frank, per il protagonista dovrebbe arrivare la meritata ricompensa: la nomina a Segretario di Stato.
Il condizionale è d’obbligo, perchè Walker preferisce un’altra persona a Frank, tradendo così la sua fiducia. Frank si sente intrappolato in un ruolo che per troppo tempo lo ha consumato, pensando di meritarsi una promozione. Invece che fare una sfuriata e mandare tutto all’aria, però, Frank elabora un piano, una vendetta che sarà consumata lentamente e che prenderà di mira chiunque abbia tradito la sua fiducia.
“House of cards” è quello che di solito si definisce “storia shakespeariana”: c’è il potere, il complotto, il tradimento e la vendetta. Ma lo show non si limita a proporre un altro thriller politico affidandolo ad un cast a dir poco perfetto (Spacey è semplicemente sublime nel ruolo di un uomo tanto serafico in apparenza quando spietato). Il primo episodio ci porta in un mondo dove tradizione e modernità convivono, a livelli diversi, riuscendo a regalare al pubblico una straordinaria prova.
Come detto, “House of cards” è fruibile solo online: ed è proprio grazie ad una blogger, Zoe (Kate Mara), che Frank darà il via alla sua vendetta. La ragazza, in cerca di uno scoop che possa farle fare carriera, è consapevole che la stampa tradizionale da sola non può più raggiungere gli stessi numeri di un tempo. Le serve l’aiuto del web, così come -sembrano dire i produttori- la tv di oggi non più ignorare le nuove forme di comunicazione. “Ci siamo anche noi, fatevene una ragione”, sembrano suggerire, quando un collega di Zoe scopre che lo scoop della ragazza pubblicato online fa raggiungere il milione di contatti al sito del quotidiano in cui lavora.
Ma se da parte troviamo questo sberleffo a chi ancora fatica ad accettare questa nuova realtà mediatica, dall’altra la serie propone un’impostazione più rassicurante, presa direttamente dal teatro. Non solo i personaggi dello show potrebbero tranquillamente arrivare da un’opera di Shakespeare (tra questi citiamo Claire, la moglie di Frank interpretata da Robin Wright: a capo di un’organizzazione no-profit così dura verso i suoi avversari che Frank la ama “come gli squali amano il sangue”), ma l’impostazione stessa della serie è teatrale.
L’uso dell’ “a parte” teatrale, ovvero i momenti in cui il protagonista rompe la quarta parte e si rivolge al pubblico, commentando momenti e personaggi, irrompe tra gli spettatori come un qualcosa di poco visto in tv, ma di tradizione per chi ama le opere classiche.
Tradizione ed innovazione possono coesistere, e dare una spinta alla creatività: la scommessa di Netflix, che ha ordinato due stagioni di tredici episodi ciascuno dello show, è riuscita. “House of cards” fa invidia anche alle prestigiose serie della tv via cavo, che fino ad oggi avevano l’esclusiva in quanto a paragone tra grande e piccolo schermo. Ora anche internet vuole la sua parte: lo schiaffo si è fatto sentire.