Home Notizie Greta Beccaglia e il “Non te la prendere” di Giorgio Micheletti: quando l'”espressione infelice” non viene più perdonata

Greta Beccaglia e il “Non te la prendere” di Giorgio Micheletti: quando l'”espressione infelice” non viene più perdonata

In tv, l’espressione infelice non viene più contemplata. Ne è una dimostrazione, ciò che è accaduto al giornalista Giorgio Micheletti.

29 Novembre 2021 20:20

Un tempo, esisteva la cosiddetta “espressione infelice”, frase o esclamazione estemporanea giudicata inopportuna, sbagliata, inadatta al contesto, a volte comica, a volte tragicomica. Si potrebbe chiamare anche svarione o semplicemente gaffe, il senso rimane il medesimo.

Oggi, davanti al plotone d’esecuzione social, pronto a rovinare carriere e vite private in pochi istanti, il concetto di “espressione infelice”, sostanzialmente, non esiste più, tutti sono chiamati ad essere impeccabili e irreprensibili in qualsivoglia situazione, anche le più spinose, le più inaspettate o ardue da gestire.

Il riferimento, ovvio, è recentissimo, il caso di Greta Beccaglia, inviata di Toscana Tv, molestata in diretta da un tifoso, nei pressi dello stadio Castellani di Empoli. Il responsabile del gesto è stato individuato (ed è stato anche intervistato a caldo da Le Iene in uno dei filmati che andrà in onda domani sera) e, a seguito della denuncia di Greta Beccaglia, affronterà le conseguenze del proprio gesto, perpetrato in diretta televisiva e che nessuno intende minimizzare.

Nel polverone, però, è finito anche il giornalista Giorgio Micheletti che, nel tentativo di gestire lo sgradevole episodio se n’è uscito con un “Non te la prendere”, quattro semplici parole che gli sono valse accuse di sessismo, pari, se non addirittura superiori, a quelle riservate all’autore della molestia. Quattro semplici parole, che si sono rivelate sufficienti, ai detrattori, per fornire superficialmente un identikit etico del giornalista.

Una caccia alle streghe, una sete di giustizialismo che, ormai, su Twitter ad esempio, non è più novità, con la tecnica, oramai assodata, di estrapolare una frase da un contesto e concentrare su di essa il proprio sdegno.

Intervistato, nel bel mezzo della tempesta, da Giulio Pasqui per Il Fatto Quotidiano, Giorgio Micheletti ha replicato alle accuse:

Il mio ‘Non te la prendere’ è stato detto solo per non mandarla nel panico. Non per sminuire il fatto. Se estrapolata, può sembrare sminuente, ma non è stato così. Io mi sono preoccupato anzitutto del benessere psicologico di Greta. Poco dopo, esattamente due minuti dopo il fattaccio, ho detto quello che pensavo sull’accaduto e del protagonista. Ma nessuno dei leoni moralisti da tastiera si è preoccupato di guardare il prosieguo della trasmissione.

Queste dichiarazioni suonano tutt’altro come scuse e appaiono come motivazioni valide.

Non esiste più la comprensione, non esiste più l’empatia, il chiedersi, anche solo per un attimo, come chiunque di noi avrebbe potuto gestire, in diretta, un episodio simile, mantenendo sangue freddo e asserendo la cosa più adatta per quel momento.

Facile pontificare a mente fredda, facile impartire lezioni.

Le buone intenzioni di una persona non valgono se, nella confusione di certi attimi, la frase partorita per cercare di gestire la situazione al meglio, sfortunatamente, non risulta tra le migliori e, con il tam-tam mediatico inevitabile, arriva ad essere considerata anche peggio dell’atto dal quale tutto è partito. Non ci sono giustificazioni che valgono, il tribunale social ha già emesso la propria sentenza, incontrovertibile.

“Non te la prendere”, come scritto in apertura, è semplicemente un’espressione infelice, nulla di più.

Giorgio Micheletti poteva dire una frase migliore? Sì. Ma nelle sue parole esclamate in diretta non c’è sessismo, non c’è altro.

Un’espressione infelice, come l’“Urlate come delle scimmie” di Soleil Sorge al GF Vip 6, il “Sembro una neg*a” di Valeria Fabrizi a Da noi… a ruota libera, le modalità con le quali Barbara Palombelli introdusse un caso di Forum.

C’è di positivo che le polemiche social, fortunatamente, durano quanto un cartone del latte.