Giuseppe Gnagnarella a Blogo: La Rai vista da dentro e vista da fuori
Un “Raista” di lungo corso racconta a TvBlog la sua avventura professionale nella televisione pubblica
Nelle ultime ore momenti di grande fibrillazione in Rai per le nomine dei direttori delle testate informative, abbiamo voluto chiedere ad uno storico giornalista del servizio pubblico radiotelevisivo (ora in pensione) una testimonianza sulla sua esperienza in Rai. Giuseppe Gnagnarella, ospite oggi di TvBlog, è uno che di Tv ne sa molto. Giornalista, abruzzese di nascita, romano di adozione, è stato responsabile della comunicazione della Presidenza della Rai, portavoce del Vice Direttore Generale della Rai, capo ufficio stampa di Rai2, responsabile dei rapporti Rai con la Commissione parlamentare di Vigilanza, capo redattore politico del Tg3 e del Giornale radio, vaticanista e inviato speciale di guerra in Libano, Israele, Nicaragua ed ex Jugoslavia. Già consigliere di amministrazione della LUISS Guido Carli, ha insegnato nelle Facoltà di Scienze delle Comunicazioni all’Università La Sapienza di Roma, all’Università Salesiana e all’Università di Cassino. E’ autore della voce Giornale Radio per l’Enciclopedia della Comunicazione della Pontificia Università Salesiana.
Oggi ci racconta la sua esperienza professionale all’interno della televisione pubblica italiana, partendo da un argomento di questo periodo di stretta attualità. Anche lui infatti fu “parcheggiato” per un certo periodo ad un cambio di dirigenti, cosa che stiamo vivendo anche in queste ore. Leggiamo dunque la sua esperienza in Rai, lui che è anche uno scrittore di successo, avendo dato alle stampe “1978, l’anno che ha cambiato la Repubblica”, pubblicato da Le Monnier nella collana I quaderni di Storia di Spadolini. “La bella preda”, pubblicato da Carabba “Storia politica della Rai”, pubblicato da TEXTUS ed il recente “Rendez – vous A Saint Germain dove batte il cuore di Parigi” (il primo romanzo) pubblicato da Gangemi Editore. Ecco dunque la Rai di Giuseppe Maria Gnagnarella.
La Rai vista da dentro e vista da fuori
E’ capitato anche a me di restare senza incarico e mansione, una sola volta e per un breve periodo; ma per fortuna si rivelò una ghiotta occasione professionale che ha salvato il rapporto personale con il Direttore del Tg3, Lucia Annunziata, e il mio senso di gratitudine per mamma Rai.
Correva l’anno 1996, ad aprile Lucia Annunziata fu chiamata a guidare il Tg3 dove io ero capo redattore del servizio politico – parlamentare da due anni: avevo accettato di prendere il posto di Corradino Mineo sulla base di un progetto che non ebbe il tempo di avere gambe solide e spessore culturale. Mi “chiese” la disponibilità del posto che “offrii”. Fui sistemato in una stanza di periferia che ospitava anche Onofrio Pirrotta, avevo la mazzetta dei giornali e un telefono del quale nessuno sapeva il numero, neanch’io. Non sapevo che cosa fare, non sapevo da dove cominciare.
Poi, provvidenziale quanto inaspettata, la richiesta di Claudio Ferretti,rimasto anche lui senza la guida della redazione sportiva passata a RaiSport, come quelle delle altre testate. “Ho bisogno di uno che abbia voglia di lavorare senza gloria e che abbia voglia di divertirsi, vieni a TeleSogni?”. “Sì, di corsa”, la mia risposta.
Lavorammo molto, ci divertimmo di più e gloria e fama non mancarono. A Praga, davanti alla sede dell’Ambasciata d’Italia, due giovani mi fermarono e si complimentarono per le mie “gnagna news”non rivolgendo neanche una parola al Ministro, con il quale ero in compagnia, che non nascose il suo disappunto! TeleSogni, la trasmissione ironica e scanzonata sui programmi della tv italiana, aveva chiuso i battenti da almeno un paio di anni e da altrettanti si era sciolto il sodalizio professionale con Ferretti e Broccoli.Parentesi fortunata, come detto, tanto per dar ragione al vecchio detto popolare: ogni disgrazia è provvidenza! Con Claudio Ferretti percorsi anche l’avventura di un Giro d’Italia ,dove insieme risuscitammo il vecchio Processo alla Tappa: Zavoli me lo ricorda a ogni occasione con parole che mi commuovono sempre.
Non a tutti va così, come testimoniano le cronache dedicate in questi giorni all’operazione trasparenza della Rai. Di solito l’estate rappresenta un momento di calma per le tv e per la Rai, non così quest’anno: si respira il nervosismo tipico di stagioni di più importanti trasformazioni, ma tant’è, il ruolo della Rai, legandosi sempre più indissolubilmente agli altri media, resta sempre centrale nel panorama mediatico nazionale.
Come il rapporto tra politica e Rai irrisolto dall’approvazione della riforma del ’75, quando, sotto la bandiera del Servizio Pubblico, si scelse la strada dei “contrappesi” (assetti di potere più equilibrati, cioè) rispetto all’ipotesi di fare “ancora più azienda”, scelta che ancora oggi, fa “ondeggiare Rai su mari in cui troppi interessi e troppi poteri sono fuori della sua portata”, come scrisse, già nel 1997, Giuseppe De Rita.
Allora come oggi vince il primato della politica. Irrimediabilmente? Colleghi, amici e politici sono tornati a chiedermi con una certa frequenza, riferendosi al capitolo intitolato “Ma chi governa la Rai perde le elezioni” del mio libro La bella preda, che ha avuto una qualche fortuna, se il paradigma è applicabile anche al prossimo referendum e se comunque conserva la sua validità. Non saprei dire, certo le premesse e le condizioni sono le stesse, come accade dal 1994. Come è un fatto che le strutture Rai stanno perdendo (certo non solo nell’ultimo anno) molta di quella autonomia e di quella indipendenza che hanno sempre custodito con grande attenzione, così come le speranze suscitate dai propositi di riforma più che dalla riforma attuata dall’attuale Governo si sono perse nel cammino dalla Leopolda a Roma.
Che fare, dunque? “Fare della Rai un gruppo polisettoriale integrato, capace di affrontare adeguatamente un mercato che si presenta sempre più complesso, più difficile, più internazionalizzato. Un gruppo capace di produrre in proprio, di promuovere iniziative nei mercati collaterali (musica, teatro ecc), di essere pesantemente presente nel mercato internazionale dei prodotti e dei servizi, di coltivare adeguato spirito imprenditoriale in una realtà che deve privilegiare l’imprenditorialità e non gli equilibri politici”.
Lo hanno scritto quarant’anni fa Salvatore Bruno, Gino Martinoli e Giuseppe De Rita in uno studio che conserva tutta la sua attualità, commissionato da Bernabei e da Granzotto, l’allora vertice aziendale. Non si è fatto allora, ancora oggi si continua a non fare più azienda, ma a preferire gli assetti di potere con più o meno contrappesi, anche se a parole……
Non ci sarebbero più colleghi e dirigenti senza incarichi e mansioni? Non ci sarebbero le polemiche di questi ultimi giorni? Forse no, ma sarebbe certo più facile continuare ad apprezzare quella Rai che fu dei corsari , ma seppe farsi il più grande strumento di comunicazione di massa, guardando l’albero per i frutti che produce, prescindendo dagli schieramenti pregiudiziali e dai conformismi ambientali.
Giuseppe Maria Gnagnarella
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