Caro Giorgio, oggi avresti 70 anni. Porco il mondo che c’ho sotto i piedi
Giorgio Faletti avrebbe compiuto settant’anni il 25 novembre. Ha seminato talmente tanto e bene che i frutti li stiamo raccogliendo ancora oggi
“Quando un amico ortopedico ha visto le mie lastre mi ha detto: ‘ti devo dare due notizie, una bella e una brutta. La brutta è che hai la schiena di uno di settant’anni, la bella è che poco per volta il tuo corpo arriverà ad avere la stessa età della schiena”. Giorgio Faletti settant’anni li avrebbe compiuti mercoledì 25 novembre. Un condizionale che fatichiamo ad utilizzare, perché Giorgio ha seminato talmente tanto e bene che i frutti li stiamo raccogliendo ancora oggi.
Il segno di Faletti è nella tv, nella musica, nel cinema, nei libri, nella pittura. Una lista che, siamo sicuri, si sarebbe allungata, sorprendendoci come si era divertito a fare almeno una decina di volte.
“Il problema non è che fuori si invecchia, il problema è che dentro si resta giovani”, amava ripetere. E lui nell’animo un ragazzino lo era rimasto davvero: “Sulla mia tomba vorrei che scrivessero ‘qui giace Giorgio Faletti, morto a 17 anni’”.
Il 4 luglio 2014 se ne andò per colpa di un tumore, ma la malattia l’aveva già incrociata anni prima, in concomitanza con l’uscita del suo primo libro, ‘Io Uccido’, best-seller da 4 milioni di copie vendute.
“L’ictus mi ha insegnato a non rimandare nulla. Non vieni avvertito, l’ictus arriva e basta”. E infatti non rinviò più niente. Faletti partorì altri gialli: ‘Niente di vero tranne gli occhi’, ‘Fuori da un evidente destino’, ‘Piccoli inutili nascondigli’, ‘Io sono Dio’, ‘Appunti di un venditore di donne’, ‘Tre atti e due tempi’.
L’ironia e soprattutto l’autoironia non lo mollarono. Anzi, continuarono a rappresentare la sua benzina: “Dovete sapere che nelle sale di rianimazione c’è un casino terrificante. Sono tutti in coma e ci sono un sacco di macchinari. Il rumore pare quello delle slot-machine, quando mi risvegliai pensai che mi avessero ricoverato a Las Vegas”.
Astigiano, l’esordio televisivo di Faletti avvenne su Antenna 3. Nel 1983 partecipò a Pronto, Raffaella? al fianco della Carrà, per approdare successivamente a Drive In dove diede vita al suo personaggio più celebre e amato, Vito Catozzo, irresistibile guardia giurata dalla parlata sgrammaticata. Seguirono Emilio, Fantastico e Stasera mi butto…e tre, ma cominciarono a prenderlo sul serio nel 1994, quando al Festival di Sanremo presentò “Signor Tenente”. Raccontò le stragi di Capaci e Via d’Amelio aggirando l’elevato rischio di retorica. La canzone, che si aggiudicò il Premio della Critica, fu scritta in un pomeriggio d’estate. “Aspettavo degli amici, la buttai giù come se qualcuno me la stesse dettando. Fu lo spartiacque della mia carriera”.
L’incrocio con Pippo Baudo si ripeté, seppur indirettamente, nel 2007. Stavolta preferì rimanere dietro le quinte, donando a Milva “The show must go on”, splendido brano rivolto agli “artisti falliti”. Nel frattempo si era riproposto sul grande schermo con apparizioni cult in “Notte prima degli esami” e “Cemento Armato”.
Mille volti, mille vite, senza rinnegare mai nulla. Nemmeno quando per attaccare Berlusconi, all’epoca a capo del governo, si accusò il Drive In di aver generato la deriva televisiva tutta tette e culi. Giorgio, che berlusconiano non lo era mai stato, non salì sul carro dei moralisti: “Le donne con i grandi seni sono nate al Drive In? Direi proprio di no. Allora non avete mai visto quelle che stavano sul palco con Macario…”.
Il congedo giunse in punta di piedi, anticipato da un messaggio ai fan che attendevano un suo spettacolo, poi saltato: “Purtroppo a volte l’età, portatrice di acciacchi, è nemica della gioia. Mi piange davvero il cuore perché incontrare degli amici come voi è ogni volta un piccolo prodigio che si ripete e che ogni volta mi inorgoglisce e mi commuove”. Gli piangeva il cuore. Mai quanto piange a noi, a distanza di sei anni.