Gino cerca chef: un format semplice dalla confezione accattivante
Gino cerca chef debutta su Nove con la prima delle sue 6 puntate.
Gino cerca chef è un po’ come la famosa bruschetta di D’Acampo: semplice nella sostanza, accattivante nella presentazione. Il risultato è un buon mix tra il coking talent, ma senza il carico della serialità – se non nella triplice, e forse eccessiva, ripartizione della prima manche – e col gusto della sfida.
Dicevamo che il format è semplice: in ogni puntata ci sono 9 concorrenti che competono per tre posti in semifinale; solo due conquisteranno un biglietto per Manchester, ovvero per la sfida finale nella cucina di uno dei 50 ristoranti di Gino in UK. Qui, con l’aiuto della brigata dello chef e mettendo alla prova anche il proprio inglese, i due finalisti si cimentano con tre piatti del menu: un antipasto, un main dish e un dolce. Chi avrà eseguito meglio il compito aderendo alla ‘filosofia Gino’, che cerca abilità ai fornelli e intraprendenza nella vita, vedrà firmato un contratto di lavoro. E proprio il momento della firma, con i due contratti sul tavolo e una sola firma da mettere, ha quel pizzico di crudeltà ‘agra’ che compensa il clima talvolta molto rilassato della prima manche. Insomma, l’agrodolce si sente.
Il contrasto c’è anche nella coppia di conduttori: se Gino cerca di smussare la sua tendenza da generale ussaro dietro un pizzico di spirito partenopeo, Fred Sirieix si rivela – anzi si conferma – una spalla fenomenale. E’ la spezia in questo piatto con le sue espressione e la sua fluidità di movimento, non per il suo italiano, che dà la sensazione di essere caricato per fini ‘ludici’. E poi quel suo modo di iniziare la sfida con “Trois, deu, un…” fa tanto Giochi senza frontiere. Il che mette allegria almeno a una certa fascia d’età.
A proposito di età, i nove concorrenti di questa prima puntata oscillano tra i 18 e i 50 anni: diverse estrazioni, diverse esperienze, per ciascuno una breve presentazione, ma anche la capacità di far uscire i punti di forza, le motivazioni, le caratteristiche di ciascuno, nonostante ciascuna delle tre sfide eliminatorie a tre duri non più di 7’. Eppure abbiamo modo di conoscere tutti e 9 gli aspiranii dipendenti di Gino, che vengono prima presentati con una minischeda che raccoglie nome, età e piatto presentato, quindi si ‘svelano’ in più nel dialogo con Gino soprattutto, che funge in questa fase da conduttore. La grafica poi completa le informazioni, specificando età, provenienza e professione. Come detto, dei 9 solo tre arriveranno alla semifinale e non necessariamente uno per manche: ci sono 3 sedie da conquistare e si possono anche ‘soffiare’ agli avversari. Un modo per limitare l’effetto ‘déjà-vu’.
La prima manche, con le sue tre triplici sfide, può quindi peccare di un po’ di ripetitività: in questo, ovviamente, aiuta la selezione dei concorrenti, ma metà puntata viene impiegata dalla presentazione dei concorrenti, nel seguire le loro ricette, interpretare gli assaggi di Gino e Fred (che sono una gran bella coppia anche all’assaggio).
La seconda parte della puntata è divisa in semifinale e finalissima. La semifinale vede due momenti: si ritaglia uno ‘spazietto’ (che forse meriterebbe un po’ più di considerazione) per una prova di squadra, condotta dal solo Fred, nella quale si testa la capacità dei tre di fare brigata, Segue la ‘lezione di Gino’: per questa prima puntata si è scelto un caposaldo del suo menu, la bruschetta – di cui si sfornano 25.000 porzioni in una settimana nei suoi 50 ristoranti -, presentata in tre varianti. Gino illustra la tecnica della bruschettatura, i trucchi del condimento, la sua filosofia di farcitura (che punta su prodotti più nobili come gamberetti e gorgonzola & speck per aumentare anche i margini di profitto sul mercato anglosassone…) e poi chiede ai concorrenti di replicarle o di ingegnarsi. Alla prova della Bruschetta solo due vanno avanti, staccando un biglietto per Manchester, dove si svolge, come detto, la prova finale e si firma il contratto.
Format semplice, dicevamo, ma confezione accattivante. Bella la scenografia, inedita con una grande isola centrale che raccoglie le postazioni (e che rompe quindi lo schema della ‘profondità’ e dell’orizzontalità a favore di un mondo più ‘raccolto’, e molto movimento nelle riprese, che appaiono molto varie, ben montate, capaci di riprendere gli stilemi del genere, ma senza l’imitazione pedissequa. E soprattutto con movimento e varietà. Davvero un’ottima confezione
Una pecca c’è. Gino non è proprio un esempio di uso della grammatica italiana, mentre Fred sembra impegnarsi di più: capisco l’essere spontaneo, portare in tv quel che si è, ma è anche vero che la tv ha un valore e per molti può essere un modello, a tanti livelli. Certo, l’inglese è importante e bisogna impararlo, ma un po’ di attenzione in più nell’uso dell’italiano non guasta mai.