Alex Giangrande e i ricordi di Gay Tv: “Esperienza bellissima. Molti marchi non vollero fare pubblicità da noi”
Alex Giangrande e l’esperienza a Gay Tv: “Era un luogo magico, c’era un’energia pazzesca. Forse il nome dell’emittente fu sbagliato, la società non era pronta. Per la pubblicità ricevemmo il due di picche da brand che grazie al mondo omosessuale avevano fatto la loro fortuna”
La data di lancio fu il 13 maggio 2002 e, per l’epoca, si trattò di una vera rivoluzione. Quel giorno nasceva infatti Gay Tv, emittente con un sogno nel cassetto: dare vita ad un luogo dove gli omosessuali fossero visibili e potessero sentirsi autorizzati ad esprimersi liberamente, a mostrarsi, a condividere interessi, passioni e curiosità. Così parlavano i promotori del canale, visibile in chiaro, ma solo dai possessori di parabola, quando il satellite non era privilegio di tutti.
Al fianco di qualche volto noto (Fabio Canino, Luca Zanforlin e La Pina), Gay Tv accese i riflettori su alcuni giovani, sconosciuti ai più, che andarono ad occupare il palinsesto giornaliero, con programmi in diretta realizzati in un mega-loft milanese.
Tra loro si fece largo anche Alex Giangrande, 25enne romano che aveva partecipato controvoglia ai casting. “Ero in giro dal mattino, diluviava ed ero distrutto”, rivela a TvBlog. “Non volevo andarci, ma ci provai. Non sapevo di cosa si trattasse, la mia agenzia non mi aveva fornito grosse coordinate”.
Alex si era trasferito da poco nel capoluogo lombardo: “Venivo dalla moda e dalla musica. Quando mi presero non si sapeva ancora che tipo di trasmissione avremmo presentato. Gli autori lo avrebbero deciso di lì a poco”.
La coordinatrice delle produzioni, Elena Bianchi, confessò che per scegliere i conduttori vennero provinati 500 giovani. Di questi, per il 70% erano maschi gay, per il 25% etero e solo il 5% lesbiche. “Confermo, non si trovavano ragazze omosessuali – prosegue Giangrande – se facessimo i casting oggi ci sarebbe sicuramente un’invasione. Un segno dei tempi, che sono radicalmente cambiati”.
Tu a quale percentuale facevi riferimento?
Ora si usa il termine fluido e se parli con i bambini quella parola la usano in maniera tranquilla, naturale. A quei tempi invece sembravi un imbecille nel definirti tale, parevi uno scemo. Adesso ci sorrido.
Che clima si respirava a Gay Tv?
Quel posto era magico, solo chi ci ha lavorato lo può capire. C’era un’energia pazzesca. Il potenziale era alto, così come le aspettative. Sentivamo la responsabilità addosso. Eravamo giovani, creavamo robe divertenti. Svegliarsi la mattina e andare in studio era bellissimo.
Stavate tanto assieme?
Sì. Diego, Samuel, Pedro e Mattia sono stati splendidi compagni di viaggio. Stavamo 8-10 ore al giorno assieme. Con alcuni di loro ho convissuto, sono stati un po’ una famiglia. Di tutti i luoghi di lavoro che ho frequentato, quello è stato il più bello.
Conducevi Italian Chart e, soprattutto, Close Up.
Close Up era un contenitore pomeridiano. Seduti su un grande divano si parlava e si discuteva di tutto. Venivano a trovarci artisti, scrittori, drag queen. C’era lo spazio della cucina ed il venerdì io e Diego (Passoni, ndr) componevamo la schedina del Totocalcio. Parlavamo della Serie A in modo ludico, per sdoganare il luogo comune dei gay che non seguono il pallone. Il nostro obiettivo era quello di non limitarci, di aprirci a qualsiasi argomento, non volevamo creare il ghetto, condito dai soliti pregiudizi. Uno dei nostri autori era Lucio Wilson e si batté affinché non diventassimo delle macchiette. Non voleva rifare ‘Il vizietto’.
E’ successo che qualcuno rifiutasse il vostro invito?
Gli artisti generalmente erano disponibili, ci mostravano vicinanza. Ogni tanto erano i manager ad essere diffidenti. Non sapevano se fosse giusto o conveniente associarli al nostro mondo, ma alla fine non facevano storie. Qualche problema lo avemmo semmai con gli sponsor.
Cioè?
Molti marchi non vollero fare pubblicità su Gay Tv. Ricevemmo il due di picche da brand che grazie al mondo gay avevano fatto la loro fortuna. Non ci spedivano nemmeno il materiale, non volevano accostare il loro nome alla rete. Per noi fu una sorpresa.
Avevi avuto esperienze televisive in precedenza?
No. A 18 anni partecipai ad Amici, quando il programma della De Filippi era un talk generazionale. Ero carino e volevano farmi intervenire, ma ero timido e non troppo collaborativo. Motivo per cui presi parte a poche puntate.
Prima parlavi di ghettizzazione. Il rischio di isolare l’universo omosex all’interno di una rete tematica era elevato.
E’ una bella osservazione e negli anni ce lo siamo domandati. Forse il nome dell’emittente fu sbagliato, la società non era pronta. In Inghilterra c’era una rete per gay, ma si chiamava Pink Tv. Utilizzare il termine ‘gay’ probabilmente fu un azzardo. Non c’era mai stato un progetto simile in Italia e non ci sarebbe più stato in futuro, va detto. Non so però se commercialmente fu la decisione corretta.
Percepivate del pregiudizio nei vostri confronti?
Gli studi erano un’oasi di felicità, eravamo super tranquilli. C’era tanta scioltezza nelle relazioni e nei rapporti. Da fuori capitò che la gente ci telefonasse per offenderci. Una volta eravamo in diretta io e Diego, stavamo scherzando e una signora ci chiamò per dirci che eravamo dei degenerati.
In compenso diventasti un personaggio noto.
Un po’, soprattutto a Roma e Milano. Ma nel 2002 la parabola non era molto diffusa nelle case degli italiani. Ad esempio i miei genitori non ce l’avevano.
La tua avventura durò due anni.
Terminò con la chiusura di Close Up. Ci fu un ridimensionamento del canale ed eliminarono un programma che era davvero impegnativo. Erano coinvolti tanti vj, cameraman, autori. C’era un grosso impiego di forze. Si preferì sostituirlo con una realtà più radiofonica, con uno studio più piccolino.
La tv ti corteggiò?
Avrei potuto condurre Brand: New su Mtv, ma non ero particolarmente interessato. Avevo la passione della musica e firmai un contratto con la Sony. Puntai su quello. Uscì un mio singolo e pure in quel caso la storia si interruppe lì.
Rimpiangi di aver colto l’occasione offerta da Mtv?
Sul fronte della musica ho dei rimpianti, per la tv assolutamente no. Non ero bravo, è stato giusto così.
Sei ancora in contatto con gli amici di Gay Tv?
Ci siamo visti una volta a Roma per il Pride. C’erano Diego, Katamashi e un autore dei programmi. Qualche volta ci sentiamo. Rivivrei l’esperienza a Gay Tv subito, senza pensarci. Vorrei ripercorrere quelle tappe con la consapevolezza di un adulto e non più con la sfrontatezza del ragazzino. L’unico rammarico è aver fatto quell’esperienza in una fase in cui mostravo delle criticità caratteriali, che ho risolto negli anni. Non ero un tipo semplicissimo.
Cosa fai oggi?
Sono personal trainer in una palestra romana. Inoltre, sto riprendendo in mano il discorso musicale. E’ in preparazione un disco, dopo un lungo periodo di pausa.
Ritieni che Gay Tv abbia fatto del bene alla causa lgbtq?
Ci scrivevano dalla Sicilia e dalla Calabria dei ragazzi che ci confidavano di non poterci guardare. Se i genitori avessero scoperto che si sintonizzavano su Gay Tv sarebbe successo un casino. In questo senso, credo che la rete abbia dato una mano per far capire che, a quell’ora, tra il guardare Close Up e Mtv non c’era differenza. Qualcuno ci vedeva assieme alla mamma o al papà, non eravamo un canale vietato ai minori, non si faceva nulla di strano.
Come hai detto prima, seguiste in diretta i Gay Pride. Se nel 2024 appare scontato, ad inizio millennio non lo era affatto.
Andammo in onda con una no-stop da Padova, Milano e Roma. Venne dato spazio al mondo transgender, che era una realtà ancora più sommersa. Ci criticarono tanto, ma non ci importava. Un altro anno andammo tutti a Roma. Chiesi alla produzione di poter portare in auto l’intero gruppo. Si doveva viaggiare di notte, erano perplessi, insistetti e li convinsi. Sentivo quella manifestazione in modo particolare.
Capita che ti riconoscano a distanza di vent’anni?
Qualche volta sì. Un giorno ero in palestra e una persona mi chiese se fossi lo stesso Alex di Gay Tv. Rimasi stupito. Non ne parlo molto. Ero timido allora e lo sono rimasto.