Home Le Iene Gaston Zama: “A Le Iene grazie a Pif. La seconda parte su Scarcella in onda in autunno, ci è arrivato tanto nuovo materiale”

Gaston Zama: “A Le Iene grazie a Pif. La seconda parte su Scarcella in onda in autunno, ci è arrivato tanto nuovo materiale”

Gaston Zama a Blogo: “A Le Iene da dieci anni grazie a Pif. Scarcella? Sono partito per documentare una cosa e sono tornato a casa con altro. In autunno la seconda parte del servizio, ci sono arrivate nuove segnalazioni che andavano verificate”

pubblicato 5 Luglio 2020 aggiornato 29 Agosto 2020 23:51

Ho una brutta voce, ma i difetti possono diventare dei punti di forza”. Giorgio Romiti ci scherza su, eppure sa benissimo che quel timbro così particolare è ormai diventato per lui un marchio di fabbrica.

Se Giorgio Romiti non vi dice nulla, sicuramente andrà meglio con Gaston Zama, “due soprannomi che mi porto dietro da quando ero adolescente”.

Classe 1982, da dieci anni Giorgio è uno dei componenti della nutrita squadra de Le Iene. La sua è stata una vera e propria scalata, andata a pari passo con una evoluzione che gli ha permesso di toccare diverse corde. “Il mio primissimo servizio? Andammo a trovare Robert De Niro a Taormina”, ricorda Romiti a TvBlog. “L’inviato era Rosario Rosanova, io scrivevo, pensavo e montavo”. Sì perché ciò che vediamo oggi in realtà è solo un pezzo di carriera, avviato di recente: “Per otto anni ho sempre fatto un lavoro dietro le quinte, spaziando da prodotti di intrattenimento ad approfondimenti più seri. Non saprei nemmeno contarli”.

Il contatto con Italia 1 giunse grazie a Pif. “Lavoravo a Mtv e c’era bisogno di un redattore in più per Il Testimone. Con Pierfrancesco ho fatto una stagione, dopodiché mi scadde il contatto e cominciai a stalkerarlo. Mi informò che avrebbe lasciato il programma, quindi mi presentò direttamente a Davide Parenti. Ebbi udienza in un pomeriggio di luglio, avevo tra le mani il mio faldone zeppo di idee per dei servizi comici e altri piccoli spunti”.

Come, quando e perché è nata la scelta di non apparire?

“E’ stato tutto naturale, considera che per molto tempo sono stato dietro la macchina da presa. La mia ambizione è  raccontare al meglio una storia. Se ad un certo momento la storia prevede inevitabilmente la mia presenza non mi nego. Ma in genere ritengo la mia figura superflua, anche a fronte di un’abitudine. Mi piace riprendere, muovermi, osservare un determinato movimento. Mi sento a mio agio”.

Da autore per altri a protagonista dei tuoi servizi. Riesci a individuare il punto di svolta?

“Non c’è stato un momento in cui ho detto ‘comincio a lavorare da solo’. L’occasione si presentò con la vicenda di Antonio Silvio Calò che aveva aperto le porte di casa sua a degli immigrati africani. Mi recai da lui per documentare la storia e realizzai il primo servizio fatto tutto da me. Rimase un caso isolato, fino al racconto del compleanno di Vittorio Sgarbi. Pian piano ho iniziato a fare i servizi che adesso vedete”.

Il viaggio in America con Pupo resta epico.

“Sì. Prima di girare andammo tre volte a cena. E’ molto utile conoscersi, parlare, entrare in confidenza. Fu una fase di passaggio tra quello che facevo prima e la situazione attuale. Il servizio includeva un inviato-guest star che ci metteva la faccia. Oltre a Pupo, ci furono Fabio Rovazzi che documentò la moda dei selfie estremi, Mariana Rodriguez che raccontò l’inferno di Caracas o il reportage di Suor Cristina in Bangladesh”.

Come ti sei imbattuto nella storia di Chico Forti?

“Ero stato una seconda volta in Venezuela per intervistare Guaidò. C’era stato un blackout e per rientrare in Italia dovetti fare scalo lungo a Miami. Là mi fermai dal mio amico Marco Mazzoli che volle presentarmi Roberto Fodde, amico di Chico. Mi ripeteva che valeva la pena ascoltare la sua vicenda e così feci. Rientrato a Milano è partito il lavoro, durato più di un anno e che continua tuttora. Lunedì rimandiamo lo speciale di gennaio, a cui sommiamo i servizi trasmessi successivamente. Poi andremo avanti, consapevoli che gli aggiornamenti maggiori dovranno arrivare dal Governo”.

Hai incontrato Forti nel carcere di massima sicurezza della Florida. Che atmosfera si respirava?

“Da noi i detenuti possono vestirsi come vogliono, lì no. Hanno una divisa, un numero, sono tutti uguali. Dal momento dell’ingresso abbiamo avuto un’ora a disposizione per l’intervista, ma non abbiamo avuto nessuna difficoltà ad ottenerla. L’organizzazione americana è stata perfetta”.

Alle spalle deve esserci stato un lavoro durissimo.

“La storia è intricata e non esistono immagini di repertorio. Inoltre gli intervistati parlavano in inglese e la voce del protagonista si sentiva solo al telefono. Abbiamo deciso di dividerla in capitoli, impostandola come se fosse una piccola serie. Non è stato facile, ogni settimana dovevamo preparare 30-35 minuti. Fondamentale è stato pure il supporto della redazione, con il lavoro di Claudia Nardin e Anastasia Mirskaya”.

Con Mirko Scarcella invece come è andata?

“Volevo realizzare un servizio sull’universo di Instagram e cercavo delle professionalità che mi spiegassero il lavoro che c’è dietro. Scarcella lo avevo incrociato in diversi programmi televisivi. L’inchiesta l’ho girata nei ritagli di tempo tra un viaggio e l’altro a Miami per Chico. Quando ho filmato il suo incontro con il follower l’ho potuto vedere sul campo e l’ho sentito parlare di comunicazione. A quello ci ho aggiunto una serie di risposte che mi aveva dato in precedenza e mi sono detto ‘boh, strano’. Le storie di Abu Dhabi Tv e Harvard mi hanno acceso l’interruttore del dubbio. Sono partito per documentare una cosa e sono tornato a casa con altro. E’ la prima volta che mi capita una cosa così clamorosa”.

Il seguito annunciato però non è andato in onda.

“L’avremmo dovuto trasmettere nel corso dell’ultima puntata stagionale, ma ci sono arrivate così tante segnalazioni sul mondo di Instagram che abbiamo preferito aspettare e verificarle per inserirle nel sequel”.

Andare in pausa mentre arrivavano reazioni al tuo servizio e non poter replicare non è stato frustrante?

“Senza la pausa sarebbe stato difficile raccogliere tutte le nuove testimonianze. E’ un lavoro in divenire, sicuramente il tempo a disposizione ci è utile perché possiamo approfondire meglio la questione. Nel frattempo abbiamo inviato una mail ufficiale a Instagram per un’intervista. Ancora non ci hanno risposto”.

Le intimidazioni sono all’ordine del giorno?

“E’ accaduto con i complottisti. Mi ero dedicato ai terrapiattisti e a coloro che trovano collegamenti tra il covid e il 5G. C’è una grossa componente di vanità e il fatto di poter risultare ridicoli scatena quelle reazioni. Ma non sono io a ridicolizzarli, piuttosto sono le loro parole a ridicolizzare il loro pensiero”.

Non hai mai paura?

“Per me è routine, ho vissuto tutti gli stati emotivi che il nostro lavoro comporta. Passare da un argomento delicato ad uno più leggero mi equilibra tanto. Sapere che tra due-tre servizi potrò tuffarmi su un tema leggero mi porta fuori dal momento di tensione. A volte capita che i due lavori avvengano in contemporanea. Un progetto comico lo affronti con un animo differente, anche se la costruzione non è meno difficile”.

Oltre che per la tua voce, sei ormai celebre per la lunghezza dei tuoi lavori.

“Giuro che non lo faccio apposta, me lo rimprovera anche Davide (Parenti, ndr). Dice che sono ridondante . Sto cercando di migliorare, infatti l’ultimo lavoro è durato solo un’ora e venti! La prima stesura superava le due ore, poi abbiamo fatto una scrematura. Non parto con l’intenzione di durare tanto, a volte scopri le cose girando. Secondo me è giusto approfondire e non rimanere in superficie”.

Cestini molto materiale?

“No, cerco sempre di mettere tutto quello che filmo e di non buttare nulla. Evito semmai le ripetizioni, se una cosa l’ho già spiegata non la ribadisco. Gli scarti sul servizio di Scarcella li riutilizzerò nella seconda parte”.

Come hai vissuto l’interruzione de Le Iene nel pieno dell’emergenza sanitaria?

“E’ stato un peccato non essere in onda perché stava accadendo qualcosa che anche noi avremmo voluto raccontare. Ad ogni modo l’abbiamo fatto, dopo un mese e mezzo di pausa. In quel periodo abbiamo riscontrato problematiche non semplici da affrontare. Noi inviati viviamo sul campo, siamo abituati a viaggiare. Le Iene è un programma on the road, ci siamo dovuti adeguare allo smart-working”.

La sintonia con le altre ‘iene’ è sempre totale o capita di avere delle divergenze?

“La condivisione assoluta non esiste, forse c’è solo in Corea del Nord. Siamo un gruppo di duecento persone con un sacco di teste pensanti, ci capita spesso di avere opinioni differenti”.

Il programma è in pausa, ma suppongo tu stia già pianificando i prossimi lavori.

“Semino tutti i giorni. Vorrei realizzare dei reportage sull’ambiente. Sono stato in Amazzonia e in Australia, ora mi piacerebbe andare in Etiopia per documentare la siccità”.

Il sogno di Giorgio Romiti?

“Che il sequel sul mondo di Instagram venga proiettato al cinema (ride, ndr). E’ il sogno che hanno tutti quelli che vivono con la telecamera in mano”.

Lo scorso novembre con Il sindaco, Italian politics for dummies è successo.

“Vero. Ma quella di Ismaele La Vardera era un’operazione di altro tipo, c’era già alla base l’idea di Parenti di realizzare un docufilm”.

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