Game of Talents è più game show che talent show, è indubbiamente più guessing game che show di prima serata.
Gli elementi per giustificare la collocazione in prime-time, ovviamente, ci sono tutti: un impianto scenico degno e una direzione artistica eloquente, dietro le tante performance che abbiamo visto in questa prima puntata del nuovo show di Tv8.
Guardando Game of Talents, infatti, si percepisce la medesima sensazione che si prova quando game show di access prime-time storici, come Soliti Ignoti o Affari Tuoi ad esempio, vengono piazzati in prime-time e traslitterati, di conseguenza, attraverso il linguaggio della prima serata. Il risultato finale è sempre quello di un programma che appare un po’ annacquato, con i tempi più diluiti per coprire una prima serata (Game of Talents ha chiuso alle ore 23:30 circa) e con conseguenze inevitabili sulla cadenza del prodotto che, a tratti, risulta lento.
Game of Talents è questo, un programma che sembra provenire dall’access prime-time o dal preserale, non del tutto adatto alla prima serata.
Game of Talents: la prima puntata
L’idea che sta all’origine del format è funzionale. La suddetta citazione dei Soliti Ignoti non è del tutto casuale perché, in alcune parti del programma, si è respirata un’atmosfera simile al game show di Rai 1 condotto da Amadeus, con i talenti artistici che, in questo caso, prendono il posto delle identità.
Se nei talent show convenzionali, però, l’attenzione è tutta rivolta nella performance, in Game of Talents, l’effettivo valore di un’esibizione rimane in secondo piano perché la concentrazione è pressoché tutta rivolta nella reazione delle due squadre, al momento in cui scoprono di aver indovinato o sbagliato il talento associato al partecipante. Il resto dell’esibizione, ad esser sinceri, fa da contorno e nulla più.
I dettagli sono curati, nulla di eccezionale ma un lavoro autoriale degno di questa definizione che c’è e si vede (l’inizio di un’esibizione, ad esempio, può illudere e questo denota attenzione alle sfumature). Gli indizi vengono forniti in più modi, con escamotage sufficientemente divertenti (la televendita di Giorgio Mastrota, i bambini, i nonni, la “rassegna stampa del talento”, “Talentgram”).
Il “Cosa bolle in pentola?”, l’indizio che i due capisquadra, Mara Maionchi e Frank Matano, devono sostanzialmente mangiare è la riprova che il cast del programma ha dato il meglio di sé quando è stato lasciato libero di improvvisare. I testi scritti, le battute preconfezionate, hanno limitato un po’ tutti e la post-produzione, decisamente da rivedere in alcuni casi, non ha aiutato.
Questo ragionamento vale anche per Alessandro Borghese, che supera la prova della conduzione, all’inizio, comprensibilmente, attaccato ai testi (e alle autocitazioni culinarie tranquillizzanti) ma perfettamente in grado di procedere a braccio, come ogni conduttore dovrebbe fare.
Per quanto riguarda i capisquadra, a Mara Maionchi va riconosciuto il merito di non essere caduta, dopo tanti anni di tv, nel rischio dell’autoparodia e le auguriamo che la situazione rimanga così. Frank Matano, invece, è sempre convinto che la sua risata finta e forzata faccia ridere…
Il gioco ha un climax gradevole (con il trascorrere delle manche, aumentano le difficoltà e aumentano i soldi messi in palio) ma il gioco finale è troppo “buono”: il concorrente finalista, infatti, deve associare l’ultimo talento rimasto ad uno dei 4 partecipanti presenti sul palco e può scommettere il suo montepremi anche su più partecipanti. Ciò può permettere chiaramente al concorrente di portarsi comunque a casa una cifra non altissima ma considerevole.
Game of Talents, riassumendo, è un ibrido che convince nell’idea ma non del tutto nella resa finale.