Lo conosciamo come grande affabulatore di tante storie del mondo dello spettacolo, nelle vesti di conduttore di molti programmi televisivi di successo, ma Paolo Limiti, padrone di casa di oggi a “Fuori gli Autori” qui su TvBlog, è prima di tutto un autore. Un autore del testo di alcune fra le più celebri e celebrate canzoni della musica leggera italiana. Per Mina scrisse “Bugiardo ed incosciente” e “La voce del silenzio”, tanto per citarne due. Arriva in televisione come autore grazie a Luciano Rispoli. Successivamente diventa autore di riferimento di Mike Bongiorno nel Rischiatutto, che Fazio vorrebbe rifare, mentre dalla metà degli anni novanta passa davanti alla telecamera conducendo Ci vediamo in Tv, Domenica in, fino al suo ultimo impegno televisivo nell’estate del 2012 con Estate con noi in Tv su Rai1. Spazio e parola dunque ora qui su TvBlog per Fuori gli Autori a Paolo Limiti.
Istinto, fantasia e capacità di immaginare
Guardavo la conduttrice con grande entusiasmo, raccontandole del gorilla di pianura occidentale Koko su cui avevo fatto approfondite ricerche e di cui avremmo trasmesso un filmato poco dopo in trasmissione. Non tralasciai niente. Le dissi di come Koko fosse a conoscenza di 2.000 vocaboli, di come si esprimesse a gesti con idee compiute e del dolore che aveva provato quando il gattino a cui era affezionatissima era fuggito ed era stato investito da un’automobile. Il nostro filmato avrebbe mostrato la sua gioia quando un altro gattino le veniva consegnato dopo diverse settimane.
Detta tutta, stavo solo facendo l’autore.
In tutti i lavori creativi infatti non esiste una regola precisa su come diventare autori televisivi, ma le cose di cui però, a parer mio, non si dovrebbe proprio fare a meno sono: istinto, fantasia e capacità di immaginare quale sarà la reazione del pubblico dinanzi a una determinata proposta. E a un vero autore vanno aggiunte anche una sua personalità e la capacità di parlare e trasmettere le sue emozioni alla persona che sarà poi dinanzi all’obiettivo perché è sulle spalle di quest’ultima che poi ricadrà la carica di empatia del programma.
Ecco perché appena finito di parlare notai che la conduttrice in questione mi guardava con dolce disattenzione mentre era molto intenta a curarsi la pettinatura ricciolo per ricciolo con le mani dinanzi allo specchio. Non a caso, una volta sul set, al momento di preparare l’apparizione del filmato miagolò: “E ora, una scimmietta”!
Insomma la situazione ideale di autore televisivo, per quello che mi riguarda, è quella di mettersi anche nei panni di chi conduce. Ne avevo capito l’importanza fin da decenni prima di finire io stesso sotto i riflettori e i miei sforzi sono sempre stati quelli di veicolare di persona quello che scrivevo anche a grandi professionisti, ribaltando prima di andare in onda il loro ruolo da conduttori a spettatori in modo che una volta capiti e assorbiti i miei entusiasmi fossero poi spinti a trasferirli con la loro personalità agli spettatori. Per mia fortuna lavorai subito con dei numeri uno e i casi, tipo quello descritto più sopra saranno stati, due o tre.
Il mio ingresso in RAI fu fortuito. Ero sceneggiatore, e a volte regista, di “caroselli” pubblicitari e scrivevo per divertimento testi per canzoni che in qualche caso venivano incise. Ma anche lì valeva la stessa regola: scrivevo quello che piaceva a me e non mi adattavo a richieste puramente commerciali. Ero considerato un autore “sofisticato” e una volta mi venne bocciata una canzone perché comparivano le parole: “io ti amo” nel testo. Ma non mi importava affatto, scrivere canzoni era un divertimento e non un lavoro quindi ero padrone di scegliere io le regole senza problemi.
Quando un amico produttore mi disse che era più facile scrivere un testo “importante” che uno leggero (leggi “idiota”), per prenderlo in giro gliene scrissi uno sull’ascensore della casa discografica Durium. Era talmente scemo, con versi tipo “un’onda impulsiva assalendo la riva”, che pensai nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di inciderlo. Ne uscirono due versioni, andò alla Gondola d’Oro di Venezia e vendette come biscotti caldi. Ma non mi convinse. Infatti la mia carriera di autore radio-televisivo ebbe inizio con una bella canzone che all’inizio nessuno voleva fare perché “mancava il ritornello” dicevano. Si intitolava “La Voce del Silenzio” ed oggi è tornata in auge e va per la maggiore.
Andò così: il brano venne scelto per il Festival di Sanremo e il bravissimo e gentilissimo Luciano Rispoli, allora funzionario RAI, mi mandò a chiamare per un’intervista radiofonica da mandare in onda prima che partisse la manifestazione. Quando stavo per andarmene, Rispoli mi chiese di provare a scrivere il copione per una serie di puntate di una radio-rivista che lui stava per produrre e dei cui autori non era troppo contento. Lo ringraziai e dissi che ci avrei pensato, ma non avevo nessuna intenzione di farlo. Ero straconvinto che sarebbe stata solo una perdita di tempo con mille ostacoli di varia natura in un ambiente che non conoscevo direttamente ma di cui avevo sentito raccontare varie storielline poco simpatiche da un amico di famiglia che era direttore d’orchestra in azienda, il maestro Mario Migliardi.
Mia madre, molto più saggia e aperta di me, mi disse: “Perché no? Buttane giù uno: ci impiegherai mezz’ora, cosa ti costa?… Magari gli piacerà”. Gli piacque, Rispoli mi affidò il programma anche come regista e uno degli ospiti della seconda puntata, Mike Bongiorno, mi chiese seduta stante di diventare il suo autore. Iniziò così la mia carriera che continua ancora oggi e che non smette mai di trascinare la mia vita. Perché io amo quello che faccio e soprattutto non ho mai ceduto, mettiamo pure un bel punto esclamativo dopo “mai”, alla tentazione di accettare qual che sia spettacolo pensando solo ai soldi.
L’autore, per quello che mi riguarda, è ancora oggi la mia massima aspirazione e significa studiare, elaborare, inventare, imporsi anche davanti a una star se stizzosa o irragionevole, ma creare qualcosa di affascinante. Il mitico Marcello Marchesi fu colui che mi fece fare il passaggio dalla radiofonia alla televisione con la rivista “Ma Perché? Perché si!” che inaugurò la fascia del mezzogiorno di Rai1 (allora Primo Canale). Mi cercò dicendomi che in quello che avevo fatto si ritrovava lui da giovane e che era sicuro avremmo lavorato benissimo insieme.
Il programma fu un grande successo e devo a lui se potei diventare l’autore che mi piaceva diventare: mi permise di sperimentare sul filone assurdo-ironico come stava diventando di moda negli Stati Uniti, di fare numeri alla Broadway, di emozionare sulla rievocazione e di infilare nella mia creatività anche l’attenzione verso il balletto, le luci, le inquadrature e il linguaggio che mi apparteneva. Mike Bongiorno mi portò subito dopo nella grande avventura del “Rischiatutto”.
Mike era un ottimo professionista, all’inizio un po’ restio ad aggiornare leggermente degli schemi di presentazione in cui lui si sentiva da anni protetto e sicuro, ma alla fine accettando tutto. “Rischiatutto” fu un successo talmente clamoroso da scatenare però al suo interno anche malintesi ed invidie di alcuni. Per esempio, in due puntate abbastanza vicine vennero contestate due domande e si dovettero rifare le puntate stesse. La direzione allora mi mandò a chiamare pregandomi di stare più attento e io rimasi a bocca aperta: le mie domande erano giuste, erano i professori preposti come esperti al controllo del copione che le avevano corrette erroneamente dando poi alle mie spalle la colpa a me!
Sorridendo, sventolai gli originali sotto il naso pizzuto di tutti quanti e rimisi in ordine le cose. Ergo, altra regola dell’autore televisivo, tenere sempre personalmente i contatti con i dirigenti di turno in modo che nessuno possa sistemarti la carriera. Sperimentando e sperimentando, in circa tre decenni di autorato, firmai anche dei successi “apripista”. Uno, per esempio, fu sicuramente “Aboccaperta” con Gianfranco Funari. Funari lo avevo fatto lavorare agli inizi in radiofonia ed eravamo rimasti in contatto. Dopo la stagione dei cabaret in cui lui lavorava, il genere si era affievolito e Funari si era ritrovato senza lavoro.
Mi chiamò quando io ero direttore artistico di TeleMontecarlo, nel 1980, ed era molto depresso perché la RAI gli aveva rifiutato una trasmissione di cui lui mi aveva parlato mesi prima e che io trovavo invece interessante. Non avevo un budget per metterla in piedi alla grande ma sentivo che, frenando certe intemperanze del conduttore, avrebbe potuto essere essere qualcosa che funzionava. Convinsi il direttore generale, madame Josette Cauvigny, a cedermi un buchetto in seconda serata, il giovedi, utilizzando una scenografia già usata e dismessa e intitolammo la trasmissione “Torti in Faccia”. In poche settimane divenne un tale successo che poi RAI2 la acquistò e col nuovo titolo “Aboccaperta” divenne popolarisssima.
“M’Ama, Non M’Ama” fu un’altra “apripista” per il filone telegiovanil-d’acchiappo. La creai con un produttore americano anche se dovetti sudare le sette fatidiche camicie per convincerlo su praticamente ogni cosa: dalla scenografia, alla sigla, ai conduttori, ai concorrenti. Lui era bravo ma io avevo ormai una grande esperienza del gusto del pubblico e di dove stava andando il mondo giovanile e sentivo che in televisione mancava la bellezza. La pura, semplice, solida bellezza senza attenuanti. Dopo una lite furibonda in cui attaccai il mio socio che voleva che i concorrenti fossero il prototipo dell’impiegato medio, possibilmente con gli occhiali, e di donne un po’ anonime, finsi di gettare la spugna e seguire le sue indicazioni.
Invece andai nel mio ufficio e chiamai tutte le agenzie di modelle e modelli di Milano, pregandole di mandarmi non quelli che lavoravano, ma quelli che si presentavano sperando di potere un giorno lavorare e tutti possibilmente sotto i 25 anni. Poi tirai sul carro una mia amica che era venuta via da una libreria famosa, Gianna Tani, e la trasformai in “casting director”, un mestiere che allora in Italia non esisteva e che lei fece poi per molti anni. La trasmissione fu un trionfo e dai concorrenti uscirono nomi che oggi sono notissimi nel mondo dello spettacolo. Ergo mai abbandonarsi all’ovvio ma cercare sempre quello che è nell’aria ed è matematico che stia per arrivare.
Poi sono passato anch’io davanti alle telecamere con “Ci Vediamo in TV” ed è stato magnifico! No, attenzione, non per la popolarità, i soldi, le interviste e quello che viene col territorio. Per l’autore.
Se l’autore quando è solo autore ha i filtri di cui ho detto: il veicolare, lo spiegare, il convincere le star con cui lavora, quando è invece lui a passare, davanti alla lucetta rossa è tutto più facile, è un’autostrada! Diventare autore-conduttore ti permette davvero di essere libero creativamente, di giostrare le forze, di accelerare se una cosa va o frenare e tagliare se senti che non acchiappa.Per un autore televisivo è il massimo dell’espressione, come per uno scrittore scrivere il suo libro.
E poi no, la televisione di oggi non è paragonabile a quella di ieri. Niente è paragonabile ai bei tempi andati, perché non ci sono mai stati. Ci sono stati solo “i tempi andati”, dimenticatevi del “bei” che vi porta la nostalgia con begli occhiali rosa..Oggi sono cambiati i suoni, le espressioni, i gusti, i mezzi, i tempi di andata e di ritorno di una notizia, che paragone si puo’ mai fare?… Oggi si producono programmi giorno e notte per centinaia di reti , ieri ce n’era una, al massimo due… e con orari limitatissimi davanti anche a una parte di pubblico italiano che non parlava ancora bene l’italiano e lo stava imparando da un piccolo schermo in bianco e nero. I confronti sono certezze che ognuno di noi cerca nella vita, nel destino, nell’amore ma non ci saranno mai come le vogliamo. Ogni tempo ha il suo colore e il suo sapore e ogni giovane è anche convinto di inventare lui per la prima volta la vita, come succede a ogni puledrino umano che arriva su questa terra. E la vita cambia. Nel bene e nel male.
L’autore di oggi ha un mare di possibilità per emergere… e un mare di possibilità per affondare. Come noi, allora. Dipenderà da lui creare, capire cosa sta per arrivare nell’anima della gente, quale sarà la canzone che la folla vorrà cantare domani. Il peccato di questo futuro, se ne posso vedere uno, è la mancanza di tempo per allenarsi e formarsi.. quello che era la gavetta di una volta.
Però guardando le trasmissioni di adesso vedo anche chi ce la fa benissimo lo stesso, qualche bella mano forte che, se tutto andrà bene, promette un sacco di belle cose.Si, gli spettacoli e gli artisti fuoriclasse sono meno di quelli così-così e ancor meno di quelli brutti. Ma noi mica avevamo solo “Nel Blu, Dipinto di Blu”. C’erano anche “I Trulli di Alberobello” e “Sugli Sugli ,Bane Bane”, accidenti se c’erano!
P.S. Non chiedetemi il nome della conduttrice, non ve lo dirò mai!
Paolo Limiti