Giornalista, scrittore, autore, conduttore radiofonico, insomma “tante cose” per il padrone di casa di oggi, qui su Tvblog, di “Fuori gli Autori”: Luca Bottura. Nato a Bologna nel 1967, Bottura ha scritto i testi di molti programmi televisivi di genere comico, fra gli altri: Glob, Artù, La grande notte, Volo in diretta, Per un pugno di libri, Crozza Alive, Victor Victoria e come si dice, tanti altri. In una bio, quasi autorizzata, si dice di lui: “deve tutto a Michele Serra, comprese 50.000 lire ricevute in prestito nel 1993 quando lavorava a Cuore (l’inserto satirico dell’Unità, ora non c’è più ne l’inserto e neppure l’Unità, ndr). Ha lavorato con Gene Gnocchi e Lele Mora. E’ nipote di Sadat. Ha detto di lui Enrico Vaime (che sarà prossimamente padrone di casa qui a “Fuori gli Autori”, ndr): -Non so chi sia-“.
Signore e signori ecco a voi Luca Bottura.
Le cose da non fare, Mai (come autore televisivo)
Non conosco quasi nessun autore televisivo che volesse diventare tale.
Ne esistono di giovani, bravissimi, formatissimi, ma, appunto, non li conosco. La mia generazione è piena zeppa, invece, di attori, cabarettisti, architetti, scrittori, disegnatori, scenografi, persino giornalisti (come me: i peggiori) che ambivano a ben altro e si sono ritrovati a trafficare tra scalette e necessità produttive, pennarelli Vileda e camerini, curve d’ascolto e psicodrammi generati dalle curve in questione.
Però – non sempre – mi piace. Mi piace scrivere per altri e con altri. Mi piace, quand’è accaduto, generare un format e portarlo a compimento. Mi piace accompagnare un artista nella sua evoluzione e condividere un’intuizione, un frammento di esperienza, una gratificazione piccola o grande. Mi piace correggere in corsa, quando si deve.
E ho persino tratto qualche insegnamento dagli insuccessi. Fare l’autore televisivo significa scolpire il proprio ego, imparare a rimodellarlo. Puoi guadagnarci una psoriasi, una busta di Maalox grande come il Wisconsin, quattro o più urla sgangherate lungo il corridoio che conduce alla regia. Ma anche, avrebbe detto il Veltroni di Crozza, un approccio al lavoro, dunque alla vita, relativista. Quasi zen.
Solo quando cominci a vestirti come Gandhi e a benedire la redazione è il momento di fermarsi. O di ridurre lo Xanax.
Premesso questo, sono evidentemente la persona meno adatta per dare consigli, e assolutizzare quel che assoluto non è né sarà mai. Ma frequento con affetto la pavidità. E dunque, nella speranza di captare la benevolenza di TvBlog in caso di recensioni prossimo-venture, posso abbozzare qualche considerazione ad excludendum. Le cose da non fare. Mai.
1) Mai pensare di sostituire la propria personalità a quella dell’artista con cui si lavora. L’idea migliore del mondo muore non appena viene pronunciato un no convinto da chi dovrebbe darle gambe e cuore. Se un carattere particolarmente assertivo facesse balenare l’ipotesi che la genialità autorale non sia stata compresa, la si può riproporre una volta. Una. Dopo, è accanimento terapeutico. E il malato sei tu.
2) Non disgiungere mai un’intuizione dalla possibilità effettiva di realizzarla. Se non lavori alla Pixar, la ricostruzione in 3D delle Twin Towers meglio non chiederla, specie se vuoi usarla per una telepromozione di boeri. Creerai malessere. Ricordo un produttore Rai cui suggerivamo la co-conduzione di Anson Williams (il Potsie di Happy Days) per La Grande Notte. Mentre ci baloccavamo sul modo per trovargli una villa sul lago di Como, proruppe: “Potsie nun ce sta. Dimmene n’altro”. Arrivò quella meraviglia di Amanda Lear. Ricordatevi di Potsie.
3) Ognuno di noi, che lo voglia o no, possiede una sorta di ineludibile e personale poetica creativa. E’ un modo appena ipocrita per dire che tendiamo a ripeterci, che ci piace seguire strade conosciute. Inevitabile, forse anche giusto, ma solo apparentemente propedeutico ad allungare la carriera e mantenere/diffondere serenità. Di converso, in parziale deroga al punto 1, è nocivo accompagnare sempre e comunque l’artista sul sentiero che già frequenta. Esiste un piccolo imperativo etico di contaminazione reciproca che sottrae entrambi a una concezione impiegatizia del mestiere. Con tutto il rispetto e l’invidia per gli impiegati, naturalmente.
4) Accettare lavori con la presunzione di rivoluzionare formati e carriere è velleitario, a meno che non sia esplicitamente richiesto (o, forse, lo è anche quando è esplicitamente richiesto). Se vi sentite così fighi da portare la satira a Mattino Cinque, auguri. Ma farete la fine di Potsie.
5) Mai sottovalutare il contributo altrui. Quello dei colleghi, cui è fin troppo facile dire no quando si è in posizione di gestione (gestione, non comando: altro errore diffuso) e quello delle redazioni, cui attingere senza depredarle (cioè, se possibile, facendo crescere quelli bravi evitando di rivenderne le idee). Avere quindi ben presente il privilegio di guadagnare bene, quando capita, a fronte di persone sottopagate che spesso serbano capacità non dissimili dalle proprie ma non hanno imboccato – non ancora, magari – lo svincolo giusto. Tempo fa una produttrice esecutiva, dopo aver finito di pinzare un mazzo di rimborsi spese, si mise a montare in Final Cut, sua sponte, di notte, perché altrimenti si sarebbe rimasti senza, il promo del programma. Lo fece proprio bello. Questo perché non si nasce pinzatrici di rimborsi: ognuno ha una storia.
6) Non abbassare il necessario livello di compromissione. E non schermare l’eccessiva compromissione – ci sono idee e due o tre principi che vanno difesi, altroché – con la tecnica: se passi il tempo esclusivamente a pensare come si “coprono i neri”, cioè come si sfruttano al meglio le proprie pubblicità e quelle altrui per alzare l’ascolto, e smetti di preoccuparti del contenuto, ti stai probabilmente nascondendo che il programma a cui ti lavori ti fa schifo.
7) Leggere le recensioni, mandare serenamente a fare in culo chi le ha scritte, però soppesarle. Una virgola vera c’è quasi sempre. Personalmente, ho dissentito in profondità con elogi sgangherati (al programma, ovviamente, non a chi lo scriveva) e ho condiviso stroncature violentissime. Magari dopo un po’.
8) Quando uno dice “facciamo il Letterman”, menarlo forte.
9) Ma soprattutto: non ascoltare presunti esperti che discettano di tv su Blog anche autorevoli ma non hanno mai rispettato completamente i loro inutili (e incompleti) decaloghi. Questo perché l’unico errore da evitare è proprio quello di produrre, pensare, lavorare in programmi – dalla prima serata alla web-tv – che mai si guarderebbero in proprio. E’ un carcere placcato oro: se ne può evadere bellamente. Sempre se non si gode, come diceva un celebrato autore molto a suo agio con piscine e auricolari, dell’agio quasi mistico di produrre, con letizia, “presto e male”. Rivendicandolo pure. Alla peggio, prima o poi, troverete qualcuno che vi rivaluta.
In Italia, più facile prima.
Luca Bottura