Continua il nostro percorso fra gli autori della nostra televisione e oggi è la volta qui su TvBlog di Novella Tei. Novella da 15 anni lavora come autrice e responsabile dello sviluppo di format originali per numerose case di produzione italiane. Prima di approdare in Nonpanic Banijay per cui ha curato come capo progetto l’edizione italiana di “Matrimonio a prima vista Italia” per SkyUno, ha collaborato con Endemol, Fremantle, Magnolia, Rai e Mediaset, curando anche i rapporti con i distributori internazionali e partecipando ai principali mercati audiovisivi per lo scouting e l’acquisizione di nuovi format tv.
Negli ultimi anni ha ideato il dating show “Ti prendo per la gola” in onda su Discovery Real Time, ha collaborato all’ideazione e alla realizzazione del programma “Squadre da Incubo” per SkyUno, per Dmax al talent “Mixologist”, per Sky Arte a “Fotografi”, per Fox Life al talent “Project Runway” e ha curato diverse edizioni del programma “La seconda casa non si scorda mai” in onda su Dove tv.
La fortuna non si fa riconoscere
Il mio treno, quello che mi ha portato qui a scrivere (una delle cose più difficili che mi sia stata mai chiesto di fare) è passato nel dicembre del ’99 e io, decisi di prenderlo con slancio.
Facevo l’Università a Perugia e avevo letto che stava per iniziare un corso di formazione al Centro Multimediale di Terni, la mia città; il posto dove Benigni aveva da poco finito di girare La vita è bella e Carlo Rambaldi insegnava ad aspiranti premi Oscar come realizzare sogni. La provincia soffocante che avevo lasciato per cercare la mia strada, mi chiamava di nuovo a sé e io, che nella vita volevo essere Tina Fey, ma sono nata Novella Tei, decisi di dargli una possibilità. Essere pronta a cambiare, città, casa o idea mi sarebbe stato utile, anche in futuro. Feci le selezioni. Non sarei mai diventata l’insegnante di lettere che mia madre sognava.
Fra le varie prove che Bruno Voglino e Paolo Taggi avevano diabolicamente preparato per noi, gruppo eterogeneo di consapevoli “senza arte né parte”, c’era quella di scrivere una storia travolgente utilizzando fra le tante parole disponibili, anche il termine “turibolo”. Da allora fa parte del mio vocabolario, non c’è giorno che non lo pronunci… così per scaramanzia. Fu un anno frustrante. Nell’aria della conca ternana c’era molto più piombo che idee in circolazione, ma alla fine riuscii a girare un numero zero, il primo dating della mia vita, per metà ambientato nella camera di casa mia.
Artigianalità pura che mi catapultava in un lampo nei tanti imperativi del mondo della tv. Non è forse la prima regola di un autore quella di trovare soluzioni interessanti a basso budget? Era esploso il nuovo millennio e la tv che iniziavo a fare, cambiava di colpo. In onda c’era il reality! La teoria la sapevo benissimo: osservazione di una situazione reale in cui i protagonisti vengono catapultati e nella quale agiscono senza un copione stabilito. Avevo 23 anni quando sono entrata per la prima volta dentro alla casa del Grande Fratello e tutto l’ingenuo entusiasmo di chi si trova a spiare dal vetro “dell’acquario” Pietro Taricone che dorme, Marina La Rosa che si trucca mentre parla con Cristina Plevani.
Quella esperienza mi avrebbe chiarito per sempre le idee sul mio lavoro: ci vuole coraggio per cambiare e non rimanere attaccati alle vecchie idee. Non fu del resto una audace e geniale trovata quella di affidare la trasformazione del linguaggio televisivo a Daria Bignardi? Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare in Endemol e di essere spettatrice di ogni fotogramma di quella rivoluzione. Per lavoro guardavo la tv. “Come si chiama quel format in cui ci sono le valigette con dentro i lingotti d’oro?” In ufficio facevamo a gara a chi ricordava per primo i titoli dei programmi che arrivavano dall’estero. “E’ troppo freddo per la nostra tv… serve un adattamento”; “come si chiama quell’altro… in cui ti sposi in diretta? Quello con lei che entra vestita da sposa… Ma come fai a farlo in Italia? Da noi c’è il Vaticano!”.
Quando arrivavano gli scatoloni colmi di VHS da Hilversum era festa: ore e ore di programmi nuovi, da sezionare, analizzare e valutare. Dating, reality, game show; studiare i format stranieri è stata una delle fasi più importanti della mia formazione, ho avuto un accesso privilegiato a un database smisurato di meccanismi e immagini e le ho imparate a memoria come poesie di Leopardi, ma sono state molto più utili delle ultime. Ogni anno una nuova sfida, ma le frasi tormentone del grande gioco della tv rimanevano pressoché identiche: “dobbiamo trovare il nuovo Chi vuol esser milionario”, “il reality è morto”, “l’isola è morta”, “il dating è morto”, rimaneva in vita solo una certezza: “serve un late night. Stile Letterman”… ma poi, l’hanno trovato?
Alla fine, il formato perfetto è quello che intercetta i desideri del momento: guai ad essere troppo avanti, e Dio ci salvi dalla noia del già visto. Ci vuole un gran tempismo in tv e così dopo molti tentativi, finalmente è arrivato anche in Italia il momento del matrimonio e se ne è fatta una ragione pure il Vaticano. Ricordate quando parlavo di persone che sanno osare? E di coraggio? C’e n’è voluto un bel po’ per scommettere su un formato audace e provocatorio come Matrimonio a prima vista e affrontare il salto nel buio di un programma che ha solo una certezza: quella di non avere certezze.
Il giorno in cui 6 sconosciuti hanno deciso di sposarsi senza conoscersi davanti a me, li guardavo con la pelle d’oca. Non c’era altra azione in mio potere: solo la convinzione che nulla sarebbe più stato come prima. Nella loro, come nella mia vita. Ho perso tutti i poteri nel momento del loro “sì” che sarebbe potuto diventare un “no” qualora il libero arbitrio avesse preso il sopravvento.
Possiamo inventarci mille storie e scrivere mille finali, ma c’è un momento in cui l’unica cosa da fare è arrendersi all’idea di diventare spettatori di un finale imprevedibile, come il pubblico per il quale inventiamo mondi sempre più incredibili e sempre più reali.
Novella Tei
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