“Io mi posso definire – e sono orgoglioso di definirmi – un frutto del vivaio interno della Rai”. Esordisce così nella chiacchierata con TvBlog Francesco Gasparri. Da domenica 1° ottobre il giornalista è alla conduzione insieme a Valentina Caruso di Origini, un nuovo programma di racconto del territorio, declinato questa volta sull’antichità.
La trasmissione va in onda ogni settimana, nella domenica pomeriggio di Rai 2, dalle 15:00 alle 16:00. Le prime due puntate hanno raccontato rispettivamente Orvieto e Rimini, in un intreccio fra archeologia e storia. A firmare Origini sono Pietro Raschillà, Stefania Bove, Giuseppe Giunta, Domenico Nucera, Luciano Palmerino, Marco Papola e Paola Petrolati. Tutta al femminile la squadra di regia, produzione e cura (Gabriella Squillace, Alessandra Badioli e Valentina Loreto). A livello di ascolti, la prima puntata ha totalizzato 304 mila telespettatori con il 2,87% di share, la seconda puntata invece ha raccolto 301 mila telespettatori pari al 2,67%.
“Origini è una scommessa. Al termine della prima puntata, ci sono arrivati tanti complimenti per la qualità del prodotto, per la capacità di narrazione, per la bellezza delle immagini e per la qualità della grafica” rivela Francesco Gasparri.
Come hai iniziato a lavorare in televisione?
Ho iniziato a lavorare in Rai nel 2001, tramite un contatto universitario, che mi permise di fare uno stage gratuito estivo ad UnoMattina. Facevo le fotocopie, i caffè e le ricerche su internet. Mi appassionai però a quel lavoro: la rassegna stampa si faceva ancora cartacea e le storie andavano cercate scartabellando nei quotidiani locali. Guido Arata e Massimo Cinque, probabilmente trovandomi promettente e capace, decisero poi di farmi un primo contratto come collaboratore ai testi.
E poi come è evoluta la tua carriera?
Sono rimasto diversi anni ad UnoMattina, ma ho avuto anche l’opportunità contemporaneamente di lavorare ad altri programmi. Con Anna Scalfari ho fatto Percorsi, un programma d’inchieste giornalistiche, e dei documentari per Giovanni Minoli per Un mondo a colori.
Sei stato redattore, autore e regista. Come ti hanno formato professionalmente tutti questi diversi ruoli?
La gavetta vera per me è stata la costruzione di un pezzo in tutti i suoi aspetti: la scrittura, la realizzazione delle immagini e il montaggio. Quando ho iniziato a lavorare come inviato, giravo “già montato”, senza dilungarmi nelle riprese. A volte per un pezzo di cinque minuti mi trovavo a girare solo diciassette minuti: il minimo indispensabile.
Da inviato (UnoMattina, ma anche Oggi è un altro giorno) invece cosa hai appreso?
Direi tutto, a livello giornalistico. Mi ha dato una visione a 360 gradi di quello che è il lavoro in televisione, sia in un programma d’intrattenimento, che in un programma giornalistico.
Con Origini hai raggiunto la tua prima conduzione in Rai dopo più di venti anni di lavoro nell’azienda e all’età di 47 anni. Hai mai temuto che quest’occasione potesse non arrivare mai?
Certo, l’ho temuto, anche perché erano anni che lo chiedevo (ride, ndr). Ero abbastanza fiducioso però che prima o poi ci sarei arrivato perché comunque in tutti questi anni sono maturato grazie alle varie persone che mi hanno permesso di lavorare al loro fianco.
La svolta è stata Camper, che ti ha avvicinato al racconto del territorio?
Camper ha rappresentato l’inizio di un percorso nuovo con un direttore nuovo, che ha saputo scegliere delle persone e ha deciso di puntarci e crederci. Questo lavoro da vero manager Angelo Mellone lo ha fatto con tanti conduttori che ha lanciato. Io l’ho conosciuto con Camper, per il quale mi ha cercato perché serviva una persona dinamica che reggesse 65 cammini ad estate, un lavoro impegnativo anche fisicamente, che quest’anno ho condiviso con il film-maker Nicolò Melloni. Essendo cammini di montagna, di cui dovevamo raccontare l’inizio e la fine, dovevamo farceli tutti.
Se non fossi stato sportivo, lo saresti dovuto diventare.
Per fortuna lo sono sempre stato. Angelo ha avuto in questo anche il merito di mettere insieme tutti ambiti che realmente mi appassionano, come ad esempio il territorio. Mio padre fa l’agricoltore, mia sorella fa l’agricoltore e mio zio anche fa l’agricoltore. L’amore per il territorio non è inventato. Ho fatto anche il boy-scout e ho sempre avuto la passione per le escursioni e per la montagna.
Saresti stato quindi più adatto a fare Linea Verde?
A me sarebbe piaciuto, era il mio sogno. Forse sarebbe stato un passaggio scontato. Per me un manager non mette le persone nella posizione più scontata, ma dove possono rendere meglio. Poiché per Origini aveva bisogno di una persona giovane, che si sapesse adattare, con un linguaggio semplice, che avesse le capacità e conoscesse il territorio – perché noi a Origini raccontiamo il territorio partendo dall’archeologia – evidentemente ha puntato su qualcuno che gli dava affidamento. Mettermi a Linea Verde sarebbe stata la scelta più semplice, però forse per Origini gli serviva uno bravo, competente, su cui investire per un programma nuovo. A Linea Verde, che è una corazzata, non ti puoi inventare niente. Origini può essere sicuramente più stimolante anche per me.
Gli ascolti delle prime puntate dimostrano che sicuramente per Origini c’è ancora tutto un pubblico da costruire.
Gli ascolti, dal mio punto di vista, lasciano un po’ il tempo che trovano. Per me lo scopo di un programma del genere, fatto internamente, è quello di fare un prodotto di qualità. Credo che in questo ci siamo riusciti. Il mandato della Rai è quello di fare servizio pubblico e dare voce a un settore di nicchia come l’archeologia è sicuramente un compito dell’azienda. Se ci saranno gli ascolti, ovviamente saremo tutti più contenti. Sono certo che arriveranno.
Che cosa vorresti dimostrare personalmente con Origini?
Vorrei dimostrare che è giusto dare spazio e valorizzare le risorse interne. Quello che voglio fare io è dimostrare che questa è la strada giusta per ottimizzare e migliorare il risultato della Rai.