Conduttrice di quello che lei definisce “un programma di culto”, restia alla definizione di opinionista, Francesca Fagnani domani sera sarà al fianco di Nicola Savino alla conduzione di Le Iene. Intanto si prepara a tornare in onda nell’anno nuovo con le sue Belve…
Hai avuto come maestri televisivi Giovanni Minoli e Michele Santoro. Credi che il loro modo di fare giornalismo ci sia ancora ancora in tv oggi?
Minoli e Santoro sono stati due innovatori del linguaggio televisivo e due creativi: hanno portato degli elementi che oggi sono sparsi in tanti talk. Sono stati veramente un pozzo da cui attingere: le piazze televisive sono nate con Michele Santoro, un certo modo di intervistare l’ospite, con la faccia dietro in chroma key, l’ha inventato Giovanni Minoli con Mixer.
Attraverso il linguaggio del talk sei passata anche tu lo scorso anno, con la sfida di Seconda linea, programma chiuso (in realtà sospeso) dopo sole due puntate. Che cosa non ha funzionato? Secondo te avreste meritato una seconda chance?
È ormai caduto in prescrizione: con due sole puntate è morto sul nascere. Seconda linea poi di fatto è tornato in onda come Anni 20.
Dopo la chiusura di Seconda linea sei tornata in onda su Rai 2 nella scorsa tarda primavera portando in Rai Belve. Sei stata contenta del riscontro avuto?
Moltissimo, come faccio a non essere contenta!
State già lavorando a una nuova edizione?
Sì, partirà a febbraio e avrà 10 puntate con 20 interviste, sempre in seconda serata. La rete è stata contenta di come è andata la prima edizione in Rai e Belve, che è una cosa piccola, è diventato un programma di culto.
Come è nato Belve? So che dietro il titolo c’è la mano di Irene Ghergo…
A me piace molto fare interviste, ma per farle serve dare loro un taglio, un’identità precisa, perché se no si perdono nel mare delle interviste che ogni giorno vediamo. Ho scelto quindi di prendere delle donne, personaggi non necessariamente amabili, divisivi, e raccontarne più le ombre che le luci. Mi piaceva l’idea poi di raccontare donne forti, che sbagliano, ma da sole, che hanno successo, ma che se lo sono costruite da sole. Cercavo un titolo e parlavo con Irene Ghergo, che è una persona a me carissima. Io ho detto: “Le Iene sarebbe perfetto, ma già c’è”. E lei ha detto: “Chiamalo Belve”.
Le Iene tornano però, perché tu domani sera sarai alla conduzione del programma di Davide Parenti con Nicola Savino. Che cosa porterai?
Sono onorata innanzitutto di entrare nello studio di un programma che da 20 anni ha successo e che mantiene sempre una cifra che lo differenzia da tutto il resto. Fare parte di un gruppo di ragazze così gagliarde (quelle scelte per affiancare Savino alla conduzione della puntata del martedì, ndr) mi rende onoratissima. Quello che porterò te lo saprò di dire dopo, una volta finita la puntata.
Francesca Fagnani in tv esiste anche come opinionista. Lo scorso anno eri spesso ospite del tavolo di La vita in diretta. Quest’anno se non sbaglio sei stata ospite solo una volta. Come mai?
In generale rifuggo dall’idea dell’opinionista tv e quando mi chiamano sono contenta di andare quando il tema mi interessa. Dico tantissimi no perché spesso mi invitano in contesti in cui non so nulla. Non mi considero un’opinionista perché non ho un’opinione su tutto, ma ce l’ho solo su poche cose. A La vita in diretta sono stata due volte in questa stagione: alla prima puntata e in una puntata in cui ci si occupava di case occupate. L’anno scorso il momento del tavolo era diverso, eravamo tutti giornalisti, soprattutto durante il lockdown. Oggi Alberto (Matano, ndr) ha fatto una scelta diversa, giustamente. Lui sa che può contare sempre su di me quando vuole affrontare certi temi.
Federico Ruffo, intervistato sempre per questa rubrica, ha detto che secondo lui c’è una generazione di reportagisti, fra i quali citava anche te, che non ha avuto tutte le opportunità che meritava in tv. Concordi?
Penso che abbia ragione perché credo che sia proprio il genere reportage ad essere sottovalutato in televisione. Invece credo che il servizio pubblico se ne dovrebbe occupare: purtroppo però, secondo me, non c’è un mercato adatto perché fare un reportage richiede un importante investimento economico, che comporta che la rete e l’azienda credano in quel progetto.
Tu torneresti a fare un programma come Il prezzo?
Subito! Mi piace moltissimo raccontare la realtà. Il reportage è un linguaggio che mi piace e che non voglio abbandonare.
Accetteresti invece nuovamente la conduzione di un talk politico?
No, perché l’offerta in questo momento è già molto abbondante. Non se ne sente il bisogno di un talk in più.