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Flop – Le (mie) risposte alle domande

Le domande poste da Angelo Ferrari – volutamente provocatorie – hanno suscitato un buon interesse nei nostri lettori e, come promesso, richiederebbero anche una mia risposta. Ovviamente personale e come tale opinabile. Tuttavia, prima di procedere a rispondere cercando di fare un discorso un minimo coerente, occorre fare una premessa: i flop di RaiUno, effettivi

11 Maggio 2007 10:36


Le domande poste da Angelo Ferrari – volutamente provocatorie – hanno suscitato un buon interesse nei nostri lettori e, come promesso, richiederebbero anche una mia risposta. Ovviamente personale e come tale opinabile.
Tuttavia, prima di procedere a rispondere cercando di fare un discorso un minimo coerente, occorre fare una premessa: i flop di RaiUno, effettivi e recenti, sono due. Colpo di Genio e Apocalypse Show. Le ragioni dei flop sono, secondo il sottoscritto, differenti e meriterebbero un’analisi a parte. Certo è che ci si trova di fronte a un’apparente applicazione di due pesi e due misure molto diversi: il primo, chiuso. Il secondo, confermato e rivoluzionato (come sapete, si chiama ora Vietato Funari). Voglio sperare e immaginare – anche perché non trovo altra logica, e non vorrei pensare, dietrologicamente, che ci sia altro sotto – che questo dipenda da ragioni contrattuali che permettono alla direzione un comportamento con Endemol-Ventura e un altro con Ballandi-Funari. Pronto a essere smentito, ovviamente. Com’è ovvio che non giustifico in alcun modo l’esistenza di dette ragioni contrattuali. Detto ciò, procediamo.
E’ assolutamente ovvio che una sequenza di flop fa sì che le responsabilità ricadano sulla dirigenza (è il caso della ormai perenne crisi d’ascolti di RaiDue, per esempio). Qui ci troviamo in una situazione intermedia, e le responsabilità sono da ricercarsi sia a livelli dirigenziali sia a livelli creativo/produttivi (nell’immagine, Fabrizio Del Noce. Che, in merito, ha rilasciato un’intervista a Repubblica). Questa è una mia convinzione, mi pare supportata da fatti: l’Auditel è l’unico elemento a disposizione per misurare il gradimento del pubblico, e al suo giudizio ci si deve attenere. Il pubblico boccia, quindi il programma non piace. Quindi ci sono scelte sbagliate, autoriali, editoriale, di collocazione, ecc. Inutile individuare capri espiatori: piuttosto si dovrebbe fare un sano e costruttivo esame di coscienza.

Il costo, invece non è un elemento discriminante. O meglio, lo sarebbe. Ma può essere che i vincoli contrattuali di cui sopra rendano tutto il discorso fallace. Se poi qualcuno avesse notizie circa i budget effettivi delle due trasmissioni, pronti a riportarlo e a rivedere i punti di vista. Quanto ai paragoni con i reality, be’, io non sono contro ai reality. Non esiste un genere cattivo o scandaloso di per sé. Certo che i soldi pubblici, di servizio, dovrebbero essere spesi “meglio”. Ma questo richiederebbe una riforma del sistema tutto. Cos’è “servizio”, per me? Né un reality né un varietà (anche se Che tempo che fa si avvicina molto a un concetto di servizio, ed è indubbiamente un programma di intrattenimento). Di “servizio” sarebbe una rete dedicata alle news. Come Rai News 24, per esempio.

L’assunto della fine del mondo a me non dispiaceva: mi pareva un ottimo pretesto – a tratti mal sfruttato – per poter dire “di tutto”. Che poi questo “di tutto” sia stato fortemente limitato, be’, questo è un problema che riguarda la televisione nella sua stessa natura. Problema questo che abbraccia anche il concetto di “anziani” in tv, e che mi farebbe ribattere con un’altra domanda: dove sono i giovani? Ci sono? O sono sempre relegati a ruoli marginali? E dove sono i giovani negli staff autoriali? Perché – per fare un esempio pratico – il sottoscritto confeziona un servizio per la RAI che viene messo in onda senza alcuna modifica e lodato e poi quando propone una cosa un po’ più complessa si sente rispondere che ha bisogno di più esperienza? E come si matura questa esperienza, considerato il fatto che lavoro da ormai dieci anni?
Per quanto riguarda le novità, occorre fare un passo indietro, più teorico, e porsi anche qui una domanda. Cos’è “nuovo”? Il varietà no. Men che meno il varietà Ballandi. Potrebbe essere nuovo un contenuto, un impianto scenico, un modo di proporre tematiche. Qualcosa di “nuovo” forse c’era, in Apocalypse Show. Ma non sono sicuro che si debba per forza cercare il nuovo. Si può anche lavorare sull’esistente, purché lo si faccia dignitosamente. Certo è che un programma, basato sull’esistente o sul nuovo poco importa, deve molto al traino delle personalità che lo conducono. Quindi, sì, gli autori di Celentano hanno indubbiamente beneficiato del grande battage pubblicitario dovuto alla personalità del molleggiato. Speravano, evidentemente, di replicare lo stesso successo con Funari. Il quale è decisamente più scomodo e meno collocabile (sicuramente non collocabile il sabato sera).

Infine l’Auditel. In qualche modo, ho risposto sopra. E’ – con tutte le sue pecche – un sistema convenzionalmente riconosciuto nell’universo televisivo. Attualmente, l’unico riconosciuto. Quindi, o si rivoluziona il tutto sul modello americano dei dati Nielsen, oppure ci si contenta. E qui ritorniamo a bomba: un programma con ascolti lontani dalle aspettative – ma chi le formula queste aspettative -, per coerenza con questo ragionamento, dovrebbe essere chiuso. A meno che la chiusura non sia più costosa della messa in onda.

Ecco dunque che la RAI deve ragionare sempre più come un ente privato: è endemico, è nella sua storia, è connotato nell’aver deciso di seguire Mediaset sul terreno della caccia agli ascolti. E, a meno di profonde modifiche, è un sistema radicato, uno status quo che porta a empasse imbarazzanti, legata com’è la RAI alla politica.

Detto ciò, e sperando di non aver occupato troppi bit con banalità, vi ripasso la palla e ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui, a leggere i miei sproloqui.