Fiorello e #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend – Un successo clamoroso da comprendere, un’occasione sprecata
Perché Fiorello ha avuto così tanto successo? Gag serializzate, monologhi non incisivi, grandi ospiti sono sufficienti a fare i grandi numeri.
Cominciamo con una domanda, che rivolgo ai lettori di TvBlog attraverso il nostro Facebook (per comodità: ci consente di utilizzare il sondaggio con risposte aperte): perché #ilpiùgradespettacolodopoilweekend ha avuto così tanto successo?
Sono certo che le risposte alla domanda, soprattutto quelle che potranno aggiungere i vari lettori, daranno un quadro molto interessante della percezione del nostro pubblico a proposito di quello che è sicuramente il caso televisivo dell’anno.
Avviata la discussione, qualche considerazione del tutto personale. Che parte, per ragioni esemplificative, da un fatto concreto: l’immagine che vedete qui in alto (Jovanotti che canta Ora nella puntata di ieri sera. Alle sue spalle, in un montage di immagini di icone, miti e di eventi di attualità, appare Giovanni Paolo II). Ora, se in un programma fai una gag sul profilattico – doverosa e ben riuscita -, per criticare quella Rai così ipocrita da vietar l’uso di una parola e poi però usi, nel montage delle icone, Giovanni Paolo II, allora c’è qualcosa che non quadra (a meno che non si voglia dimenticare il fatto che la Chiesa cattolica, che fa il suo lavoro di chiesa cattolica, non ha mai avallato l’uso degli anticoncezionali. Anzi, li definisce – si veda in merito il Compendio al Catechismo – intrinsecamente immorali, come tutti gli anticoncezionali). Oppure, semplicemente, c’è quel democristiano tentativo nazionalpopolare di piacere a tutti, ma proprio tutti, di cui avevo già parlato alla fine della prima puntata de #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend. Con buona pace della coerenza e di chi, da casa, si fa delle domande mentre osserva questa comicità che non graffia, questa animazione soft e con poche idee di Fiorello che si gode il suo pubblico amico e plaudente.
A molti, forse, sembrerà un’inezia; per me il citazionismo incoerente, facile e strappa applausi è un po’ l’emblema di tutto lo show. Quel che è certo è che il tentativo funziona eccome: ascolti in crescita, sfondato il muro del 50% di share, 13 milioni di telespettatori sono un risultato tale da sospendere tutto il resto per manifesta superiorità.
Solo che a me, quella di Fiorello, sembra una clamorosa occasione sprecata mascherata da successo stellare.
Cosa si è dimostrato? Che con quattro puntate di uno show che non fa che serializzare gag e monologhi (la politica all’acqua di rose in apertura, i pischelli contro i genitori, il vampiro Edward e Ariso-Morgano: quattro-idee-quattro riproposte in maniera sostanzialmente identica in quattro puntate), riproporre sketch già visti su Sky, farsi guidare da un presentatore molto amato, ospitare grandi ospiti nazionali e internazionali, si fanno comunque sfracelli negli ascolti. Perché tanto il resto-che-c’è-in-tivvù è basso, brutto, soporifero.
E allora l’occasione sprecata è ancor più evidente: c’era Fiorello. C’era la certezza dei grandi numeri. Si poteva osare e fare il grande intrattenimento. Invece no. Non ce n’è stato bisogno: chi fa i numeri vince e ha ragione, anche se riesce a far quagliare i profilattici e la chiesa in un messaggio trasversale che attecchisce bene in un paese senza memoria in cui, ormai, basta citare Andrea Pazienza, Sandro Pertini e un proverbio indiano per far gridare al genio; in cui le memorie dei tempi di Antonello Falqui e una vecchia canzone dissacrante e goliardica (30 anni fa, però) sembrano boccate d’aria fresca; in cui l’auctoritas e l’ipse dixit non si discutono; in cui il coro greco non vede l’ora di osannare il carro dei vincitori.
Ora però, purtroppo, si ricomincia da capo con la solita tv senza che quell’altra tv abbia saputo trovare il guizzo in più. E l’occasione di far sfracelli, sì, ma con intrattenimenti di primissima qualità è sfumata un’altra volta.