Fino all’ultimo battito, il medical thriller che si perde sulla strada dei buoni sentimenti ad ogni costo: la recensione
La base della storia (un medico che viola il codice deontologico per il bene del figlio) è forte, ma già dal primo episodio ci si perde in troppi buonismi
Le primissime scene di Fino all’ultimo battito partono con una eco potentissima, quella del pilot di Grey’s anatomy. Ricordate quando Webber (James Pickens Jr.) accoglie gli allora tirocinanti in una sala operatoria, avvertendo loro delle fatiche, sacrifici ma anche delle soddisfazioni che riceveranno nella loro carriera? Marco Bocci, protagonista della fiction diretta da Cinzia Th Torrini, fa più o meno lo stesso.
Il suo Diego Mancini, d’altra parte, è quello che Shonda Rhimes definirebbe un “dio”: quarant’anni, bello come il sole, in procinto di sposarsi con una donna altrettanto bella (Violante Placido) e già Primario di Cardiochirurgia. I paragoni con il medical drama americano, però, finiscono qui: Fino all’ultimo battito intraprende tutta un’altra direzione ma, purtroppo, non riesce ad evitare qualche sbandamento.
Va detto che la fiction di Raiuno (i cui due primi episodi sono stati distribuiti in anteprima su RaiPlay) parte con una premessa decisamente forte, di quelle a cui una casa di produzione come la Eliseo Multimedia ci ha abituato (basti pensare a La strada di casa): il Dr. Mancini fa in modo che la giovane paziente a cui spetta un cuore nuovo si ammali lievemente, il giusto per poter far saltare la coda al figlio, anche lui in attesa di un trapianto.
La rete di misfatti e bugie è appena stata creata, e ci si aspetta che diventi sempre più fitta nel corso degli episodi. Interessante, ma allora cosa è andato storto? L’impressione è che Fino all’ultimo battito soffra della necessità di dover ad ogni costo mascherare la propria natura di thriller medico con i sentimenti e le emozioni. La trama, nuda e cruda, presentava numerosi spunti accattivanti per offrire al pubblico una serie più sporca e decisamente più audace di quella che alla fine è stata messa in scena.
E’ vero che la presenza di un attore come Fortunato Cerlino, espertissimo nel ruolo del “cattivo” di turno, dà più spessore all’idea (lasciamo stare, poi, il fatto che questa sia la sua seconda evasione tv, dopo quella di Pietro Savastano in Gomorra-La serie), ma non basta a lasciare dell’amaro in bocca. Perché Fino all’ultimo battito si piega alle logiche di una fiction più soffice, dove alcune scene sono costruite solo a vantaggio di quelle successive e non per comunicare davvero qualcosa.
Così facendo, il pathos promesso dalla sinossi viene a mancare da subito, abbassando le ambizioni ed il livello di una storia che avrebbe potuto regalare molto di più. La storia di un medico che viola il codice deontologico per scopi personali non può passare inosservata, ma va anche coltivata e nutrita affinché cresca e raggiunga l’apice che merita.
Eppure, sebbene abbiamo visto solo i primi due episodi, la direzione verso una fiction in cui saranno semplicemente rispettati i soliti cliché -rapporti in crisi, storie che nascono, cattivi che diventano buoni per il bene dei figli- sembra essere già stata intrapresa senza possibilità di deviazione. E non c’è bisogno di aspettare fino all’ultimo.