Salvini contro Sanremo, la strategia dell’indignazione parte da lontano
Salvini contro Sanremo, ogni anno c’è un motivo nuovo: Da Elton John ai compensi, da Mahmood alla questione dei migranti, da Junior Cally alle droghe. Il leader leghista non salta un turno
Ogni anno il conduttore del Festival si sveglia e sa che dovrà correre per schivare gli attacchi di Matteo Salvini. Non importa che tu sia Conti, Baglioni o Amadeus, l’importante è che cominci a correre.
Sì, quello del segretario della Lega con Sanremo è un appuntamento fisso. Qualunque cosa tu dica, faccia, proponga, Salvini c’è e puntualmente ha da ridire.
E’ la strategia dell’indignazione, dell’uomo della strada che percepisce gli umori e li riporta. E non importa che siano o meno dominanti, l’importante è che facciano rumore, dando l’impressione – solo quella – di rappresentare l’opinione comune.
Sfogliando gli album della memoria, siamo andati indietro nel tempo e ci siamo fermati al 2016. Per pura comodità ed esigenze di racconto, non perché prima Salvini non avesse parlato. Figuriamoci.
Sette anni fa a scatenare la sua reazione stizzita fu l’ospitata di Elton John: “Strapagarlo per esaltare le adozioni gay è una vergogna – tuonò – ma è il festival della canzone o un comizio politico?”. E a La Zanzara rincarò la dose: “Se Elton John arriva e canta giù il cappello, se ci vuole fare il ‘pippone’ sui 7 papà ed 8 nonni se ne stia a casa o il canone se lo paga lui“.
Se non c’è di mezzo l’omosessualità, l’accusa si sposta sui compensi. E così accadde nel 2017: “Lo stipendio di Carlo Conti è una cosa assolutamente indegna, sono uno schifo questi 650 mila euro – affermò sempre ai microfoni della trasmissione di Giuseppe Cruciani – in questo periodo si tratta uno schiaffo in faccia a tanta gente”.
Conti, chiaramente amareggiato, non rimase in silenzio: “È più bello aiutare gli altri senza farlo sapere, senza sbandierarlo per farsi belli. Avevo già programmato di destinare una somma importante alle popolazioni colpite dal terremoto e volevo tenerlo per me, ma purtroppo queste polemiche assurde mi costringono a renderlo pubblico”.
Anno 2018. Conti cedette il testimone a Claudio Baglioni e, eccezionalmente, Salvini evitò di innescare polveroni. Senza tuttavia rinunciare al Festival, che andò addirittura a gustarsi dal vivo in occasione della quarta serata. Le elezioni politiche si sarebbero svolte tre settimane dopo e la mossa del leader del Carroccio parve a tutti opportunistica. “Sono qui solo per godermi una serata di musica – garantì Salvini, accompagnato dalla fidanzata dell’epoca Elisa Isoardi – non ho visto il festival, ho lavorato come un matto. Ma oggi stacco finalmente e me lo godo. Ho i miei preferiti, ma non li dico. Non parlo di singole canzoni perché rischio di favorire o sfavorire qualcuno. Che vinca il migliore“. I due – seduti in sesta fila – per via delle norme sulla par condicio non vennero mai inquadrati dalla regia.
Il Baglioni bis giunse nel pieno del governo gialloverde, con l’allora ministro dell’Interno che mutò clamorosamente atteggiamento e approccio verso il direttore artistico quando quest’ultimo si espose sulla vicenda dei migranti: “Siamo un Paese incattivito, rancoroso, guardiamo con sospetto anche la nostra ombra e questo è un disastro prima di tutto di ordine intellettuale. Stiamo ricostruendo i muri, non li abbiamo mai abbattuti. Non credo che questo faccia la felicità degli esseri umani”. Assist perfetto per Salvini che, per una volta, subì un’intrusione nel suo recinto e non il contrario: “Baglioni mi piace quando canta, non quando parla di immigrazione. I cantanti cantano, i ministri parlano“. Al tweet fece seguito una telefonata pacificatrice. Quiete che sparì al momento della proclamazione di Mahmood, che ovviamente non trovò d’accordo il vicepremier: “Preferivo Ultimo. La canzone non mi piaceva ma sono gusti. Sono rimasto colpito da questa distanza abissale registratasi tra il giudizio, il gusto popolare e il giudizio di qualche radical chic in giuria d’onore. La composizione era senza senso, mancava solo mio cugino e sarebbe stata completa”.
Nel 2020 identico copione e una promessa: “Il Festival non lo guarderò”. Il motivo? La presenza in gara del rapper Junior Cally: “In una settimana in cui cinque donne hanno perso la vita, Sanremo, la festa degli italiani, si mette in mano a qualcuno che nei testi delle sue canzoni ha inneggiato alle violenze sulle donne con immagini di donne bendate e picchiate. Che schifo, vedetevelo voi, con centinaia di migliaia di euro dati ai soliti noti”. Poi la previsione: “A Sanremo hanno già deciso che vinceranno tutti quelli politicamente corretti e di sinistra”.
Nell’edizione della pandemia, tra un Ariston senza pubblico e protagonisti iper-tamponati, Salvini faticò non poco a trovare un appiglio. Che magicamente si palesò grazie ad un processo inverso: nessuna critica a qualcosa andato in onda, bensì disappunto per una mancanza. “Nel festival della canzone italiana, non aver trovato neanche un minuto per ricordare, oltre a Stefano D’Orazio, tanti grandi della musica italiana, tanti protagonisti che ci hanno lasciato, purtroppo in questi mesi, per lasciare spazio a qualcuno sulle cui doti canore potremmo aprire un dibattito mi è sembrata una caduta di stile”.
L’anno passato il senatore ebbe vita fin troppo facile. L’auto-battesimo di Achille Lauro, il saluto col pugno chiuso de La Rappresentante di Lista e le dichiarazioni di Ornella Muti a sostegno dell’uso terapeutico della cannabis provocarono da parte sua commenti a raffica sui social: “La droga è morte e sempre e comunque la combatterò. Onore ai ragazzi e alle ragazze che, a San Patrignano e in tutta Italia, lottano per la vita e per la libertà dalle dipendenze”.
Fino ad arrivare ai giorni nostri, con Salvini tornato al governo seppur con una popolarità ‘sgonfiata’. Quale circostanza migliore per mettere in campo la tecnica dello sdegno? “Non penso che la Costituzione abbia bisogno di essere difesa dal palco di Sanremo”, ha affermato riferendosi al monologo di Roberto Benigni. Nel mirino pure Paola Egonu (“che non le venga in mente di fare una tirata sull’Italia Paese razzista”) e Volodymyr Zelensky, che sabato invierà una lettera all’Ariston: “Io sabato sarò con i miei figli, non penso mi chiederanno di ascoltare la lettera di Zelensky a Sanremo. Ci guarderemo un film”.
Amadeus, stuzzicato sull’argomento, ha fatto spallucce: “Sono quattro anni che se la prende col festival”. Errore: sono molti di più. In attesa del 2024.