Federico Ruffo a TvBlog: “Rischio sovraesposizione? Stare in tv permette di fidelizzare il pubblico al mio volto”
Intervista a Federico Ruffo, che debutta oggi in seconda serata su Rai 3 con Mano a mano. Per lui un nuovo impegno dopo Filorosso Revolution
Parte questa sera in seconda serata su Rai 3 Mano a mano, un nuovo programma condotto da Federico Ruffo. Lo scopo del programma è quello di documentare come vengono spesi i soldi raccolti tramite le campagne solidali promosse dalla Rai. Federico Ruffo, poi, da sabato 14 settembre, tornerà alla conduzione di Mi Manda Rai Tre. Per lui un’estate senza un giorno di ferie, dato che dallo scorso 23 luglio ha condotto Filorosso Revolution, che terminerà domani sera.
In conferenza stampa hai raccontato che Mano a mano è un programma a cui non potevi dire di no. Perché?
Perché da un lato questo programma rappresenta il servizio pubblico alla massima potenza e dall’altro perché serviva, secondo i vertici aziendali, un volto che rappresentasse la capacità di controllo e di inchiesta della bontà delle operazioni svolte. Quando mi è arrivata la proposta sul tavolo, dire di no mi sembrava voler dire abbandonare l’azienda in un momento in cui aveva bisogno di quello che aveva aiutato a costruire, ovvero un volto credibile per queste cose. Per me, poi, si tratta di un’operazione emotivamente meno impegnativa rispetto al solito, perché per una volta non mi devo occupare di malefatte. Si tratta di storie belle, che ti scaldano il cuore e ti permettono di allentare la tensione, oltre che di confrontarti con testimonial importanti, con i quali probabilmente altrimenti non entrerei mai in contatto o con i quali comunque, anche al di fuori della tv, non si è soliti parlare delle attività benefiche che sostengono.
Mano a mano rappresenta per te il quinto impegno lavorativo in questo 2024, se si considera anche Hashtag, il programma radiofonico che hai condotto su Rai Radio 1, oltre a Mi Manda Rai Tre, Chiamata d’emergenza e Filorosso Revolution. Temi il rischio sovraesposizione?
È un problema che mi sono posto, però è anche vero che molte di queste chiamate sono state frutto di un insieme di casualità. Chiamata d’emergenza, ad esempio, mi è stato proposto perché si stava cercando un conduttore in tempi molto rapidi e io avevo già lavorato con Marco Petruzzelli, che è l’ideatore del programma. Con Filorosso non è un mistero che io sia stato la seconda scelta. Si voleva dare continuità alla conduzione di Manuela Moreno. Quando però si è capito che il matrimonio tra il programma e Manuela non si sarebbe ripetuto, il direttore Corsini e il vicedirettore Alibrandi hanno voluto dare fiducia a me, visti gli ottimi ascolti di Mi Manda Rai Tre e sapendo che la stagione sarebbe stata particolarmente corta, con sette puntate in tutto. Mi rendo conto che tutti questi impegni alla fine poi servono a fidelizzare il pubblico a un volto che poi non è così nuovo. Ho capito però che serve tempo per farsi conoscere dal pubblico: la gente ti fa entrare gradualmente nelle proprie case e se funzioni, quindi, lo si capisce solo con il tempo. Nella prima edizione di Mi Manda Rai Tre, in cui ero con Lidia Galeazzo, pagammo ad esempio il cambio di conduzione. Anche nella stagione successiva, quando introdussi la nuova formula, ci fu bisogno di tre mesi per iniziare a funzionare. Solo dopo quel periodo ho iniziato a vedere che la gente si affeziona a te e che ti riconosce come il padrone di casa. Adesso non nego che sta diventando complicato fare una passeggiata intera per le vie di Roma senza non essere fermato ogni dieci metri. Nella prossima stagione non farò più però la radio, perché mi sono reso conto che fisicamente non riesco a reggere i ritmi che impongono insieme la radio al mattino e Mi Manda Rai Tre.
Domani va in onda l’ultima puntata di Filorosso Revolution. Qual è il bilancio di questa esperienza?
Con grande onestà, è andata molto meglio di come immaginassi. Non potevo dire di no, ma ero molto preoccupato perché con Filorosso Revolution abbiamo cercato di proporre un linguaggio diverso rispetto al talk classico, in una strada ibrida tra un programma d’inchiesta e un talk. Io poi sono un volto che non ti porta ascolti: il pubblico del mattino difficilmente segue una prima serata. Quest’estate abbiamo dovuto fronteggiare inoltre le Olimpiadi e si sono aggiunte anche Le Iene, oltre a In Onda nella sua versione di prima serata. Gli ascolti sono stati positivi, l’indice di gradimento è stato buono e anche la critica ci ha sostenuto. Soprattutto questa esperienza mi ha permesso di confrontarmi con qualcosa di nuovo, sia per il genere di trasmissione che per la collocazione. Torno a casa con un bagaglio di esperienza infinito che mi potrò rivendere. Ho capito, ad esempio, che Mi Manda Rai Tre è un grande programma per come lo abbiamo costruito in questi anni e potrebbe confrontarsi tranquillamente con una seconda serata. A Filorosso, dove mi sono portato dietro una parte della squadra di Mi Manda Rai Tre, ho potuto apprezzare la straordinaria squadra di inchiestisti che sono diventati i giornalisti che prima erano abituati a servizi da un minuto. Sarebbe però presuntuoso pensare che questa esperienza si possa trasportare all’autunno, come scrive qualcuno.
Dagospia, infatti, nelle scorse settimane ha scritto che puntavi ad ottenere uno spazio in prima serata anche durante la stagione invernale. A proposito della scelta fatta per il giovedì di Rai 2, dove si è deciso di affidare una nuova trasmissione a un volto proveniente da Mediaset come Antonino Monteleone, ti aspettavi che i vertici Rai puntassero su un professionista cresciuto in azienda come te?
No, anche perché non do mai per scontate le cose. È vero, io sono cresciuto qua in Rai: è anche vero che io, prima di questa estate, una prima serata non l’avevo mai fatta. Antonino Monteleone con Le Iene fa la prima serata da tantissimo tempo. Sarei drammaticamente presuntuoso a pensare di avere la sua stessa popolarità. Si fanno anche delle valutazioni in base al marketing e francamente anch’io avrei ritenuto sensato per una rete che vuole rivolgersi a un pubblico giovane affidarsi a un volto che è abituato a parlare a un pubblico infinitamente più giovane di quello che segue abitualmente le trasmissioni Rai. Non la trovo quindi una scelta schizofrenica e reputo invece assurda l’idea che dovremmo stare chiusi verso l’esterno, proprio quando dall’esterno vengono a pescare tra i nostri volti. Per ora con l’azienda ci stiamo muovendo misurando la lunghezza possibile del nostro passo: non è scontato che la misura del mio passo abbia la lunghezza della prima serata d’autunno. Per ora non è mai stato un tema una prima serata nella stagione invernale.
In quello stesso retroscena su Dagospia si parlava del fatto che tu ambissi alla conduzione di programmi come Report o Presa Diretta. Smentisci queste indiscrezioni?
Presa Diretta è Riccardo Iacona: per me è stato un maestro, lo stimo in maniera smisurata e lo conosco così bene da sapere che senza di lui il programma non esisterebbe. Mai mi permetterei di pensare di prendere il posto di uno che ha fatto la storia della televisione italiana come Riccardo Iacona. Report invece è sempre stato l’incarnazione del lavoro certosino e instancabile di due persone: Milena Gabanelli e Sigfrido Ranucci. Nessuno, se non Sigfrido, avrebbe potuto raccogliere l’eredità di Milena. Sigfrido è uno che vive h24 di Report: è perennemente al montaggio o a scrivere, si concentra solo su quello. Quando andrà in pensione, poi, probabilmente dovrà indicare un suo erede, ma non è un tema che ora si pone. Penso che nessuno in azienda abbia mai pensato, al di là delle polemiche politiche, di fare fuori Sigfrido, che è il Cristiano Ronaldo del giornalismo d’inchiesta.
Sempre Dagospia dava spazio alla descrizione di un tuo nuovo accreditamento politico presso le fila dell’attuale maggioranza di governo. Come commenti queste voci, che potrebbero trovare sostegno – in maniera maliziosa – nei programmi ottenuti in questi mesi?
Ogni volta che c’è un qualche movimento nella mia carriera vengo tacciato di particolari vicinanze politiche. Quattro anni fa, quando arrivai a Mi Manda Rai tre, ricordo un pezzo dal titolo “Mi Manda Di Maio”, in cui mi si attribuiva una relazione strettissima con l’allora ministro Di Maio, che francamente credo di non avere mai incontrato in tutta la mia vita. All’epoca rimasi sconvolto, ma l’allora direttore Franco Di Mare mi disse di lasciare stare: una smentita è una notizia data due volte. Adesso mi viene attribuita sia una vicinanza a Matteo Renzi, che ho incontrato di persona solo una volta, probabilmente senza esserci scambiati nemmeno una parola, sia al ministro Lollobrigida, che ho intervistato una volta per Mi Manda Rai Tre in relazione al granchio blu e una seconda volta in un convegno. A chi mi vuole attribuire vicinanze politiche, faccio notare che se avessi avuto tutti questi legami mi sarei fatto riconoscere il lavoro di inviato fatto per tanti anni o quello di caposervizio o caporedattore invece di avere ancora un contratto da programmista-regista di terzo livello. Sono il conduttore in assoluto meno pagato nella storia di questa azienda e quanto prendo lo possono verificare tutti perché è un contratto nazionale di categoria.
Sabato 14 riparte Mi Manda Rai Tre. Come ti approcci rispetto a questa ripartenza, dopo un’estate di lavoro? Ci saranno novità?
Restiamo quello che eravamo lo scorso anno. A parte piccoli accorgimenti grafici, la vera novità è che il sabato torniamo in diretta. Questo ci permetterà di avere collegamenti e in generale di avere una trasmissione che torni più in mezzo alla gente. A questa ripartenza ci arrivo con un po’ di stanchezza, che assomiglia a quella dei calciatori dopo la preparazione, quando si hanno le gambe imballate. Dopo, però, diventa tutto più semplice e si tende a volare. Poi sono contento di tornare a casa. In un programma di prima serata come Filorosso devi spargere le energie su più fronti e, ad esempio, ho potuto passare meno tempo in montaggio. A Mi Manda Rai Tre potrò passare più tempo in montaggio e questo mi piace perché mi sento ben più a mio agio in montaggio che in studio. Trovo sempre più efficace il linguaggio del montaggio rispetto a quello dello studio.
Il Mi Manda Rai Tre di oggi nasce dalla rivoluzione fatta nella stagione 2021/2022, in cui a darti fiducia ci fu Franco Di Mare. Se oggi lo potessi rincontrare, che cosa gli diresti?
Penso che gli direi quello che gli ho detto sempre negli anni successivi, in cui siamo sempre rimasti in contatto, ovvero che, quando abbiamo iniziato quella rivoluzione, ci credeva solo lui. Mi ripeteva sempre quando mi capitava di avere dei momenti di scoramento: “Ricordati che abbiamo vinto su tutta la linea e tu non devi dimostrare niente”. Mi resta comunque la sensazione di non avergli detto delle cose fino in fondo, di non averlo ringraziato abbastanza. Avrebbe potuto scaricarmi dopo la prima stagione che non era andata bene come la precedente, che aveva goduto dal punto di vista degli ascolti dello scoppio della pandemia. Capì che avevo bisogno di lavorare su un linguaggio che conoscevo, come quello dell’inchiesta. Anche Mi Manda Rai Tre aveva bisogno di cambiare passo, avendo una formula immutata da trent’anni. Ecco, oggi lo ringrazierei soltanto una volta di più.