Fedeltà, l’intensità di Missiroli sfugge alla trasposizione di Netflix: la recensione in anteprima
La trasposizione di un libro intimo come quello di Missiroli era una sfida ardua, e Netflix, pur cercando di non deludere nessuno, si deve accontentare…
Fonte: Netflix
Restare fedele alla propria mission oppure osare, tradendo in parte la propria natura ma riuscendo davvero a lasciare tutti a bocca aperta? Scherzando sul titolo e contenuti della nuova serie tv italiana di Netflix, potremo cominciare così la recensione di Fedeltà, che farà il suo debutto nei 190 Paesi in cui il servizio è disponibile da domani, lunedì 14 febbraio 2022. Il giorno di San Valentino, sì: una data scelta non a caso, perché Fedeltà parla di sentimenti, sia alle coppie che ai single.
Tratto dall’omonimo romanzo di Marco Missiroli (edito da Einaudi e vincitore del Premio Strega Giovani 2019), la storia raccontata da Fedeltà è estremamente semplice: Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone) sono sposati da cinque anni. Lui insegna Scrittura, lei è agente immobiliare. Sono felici. O così pare.
Un malinteso legato a Sofia (Carolina Sala), una delle studentesse di Carlo, fa andare in paranoia Margherita: sebbene il marito le dica che tra loro due non è successo niente, lei continua a dubitare. E nel farlo si accorge del bell’Andrea (Leonardo Pazzagli), il suo nuovo fisioterapista. Carlo e Margherita iniziano così un viaggio dentro loro stessi e si chiedono ciò che poi il libro prima e la serie ora chiedono a noi: resistere ad una tentazione vuol dire davvero essere fedeli o forse significa tradire noi stessi?
Premessa accattivante, che Missiroli ha trasformato in un libro avvincente e di successo, capace come solo la parola scritta sa fare di lasciare nelle menti dei lettori dubbi e riflessioni. Portare la stessa intensità sul piccolo schermo era praticamente impossibile, e Fedeltà (la serie) risente di questa difficoltà.
Nel corso dei sei episodi cerchiamo di capire se prima o poi arriverà la svolta, quel colpo di scena che lo stesso personaggio di Carlo indica ad uno dei suoi studenti come necessario per fare in modo che il racconto possa decollare e brillare di luce propria. Ma quel twist, nella serie limitata, non arriva.
Per sei episodi vediamo Carlo e Margherita interrogarsi sulla propria relazione e sulle proprie passioni: lo stare insieme l’uno con l’altra li ha forse fatti allontanare dalle loro aspirazioni (per Carlo la scrittura, per Margherita la carriera da arredatrice), finendo per tradire nessun altro se non loro stessi. Accanto a loro, le storie di altre due coppie, che -senza svelarvi troppo- sembrano voler completare una sorta di mappa evolutiva delle relazioni umane.
Eppure, nonostante tutto questo, Fedeltà non riesce mai ad agganciarti come dovrebbe o, meglio, come vorresti che facesse. Perché sia chi ha letto il libro sia chi è all’oscuro della storia completa ma legge la trama non può non restare incuriosito da quella premessa esplicata fin dal sottotitolo della serie (“Chi ama si tradisce”). Cosa, allora, non ha funzionato?
La questione non è tanto capire cosa ci sia di sbagliato. Il punto è che trasporre dalla carta stampata al racconto seriale una storia così intima, per niente urlata e silenziosamente passionale si è tradotto in un rischio altissimo, che non ha ripagato.
Il potere della scrittura nel trasmettere emozioni con poche parole non è lo stesso delle immagini di un film o di una serie. Non si poteva pretendere di riuscire ad avere lo stesso effetto ottenuto da Missiroli: paradossalmente, per rendere al meglio un racconto come questo si sarebbe dovuto… tradirlo un po’ di più, sporcandolo di idee nuove, che lo rendessero maggiormente indipendente dalla sua fonte originaria.
Tornando alla domanda con cui abbiamo aperto questo pezzo, Netflix ha preferito restare fedele a se stesso, offrendo al pubblico un contenuto visivamente intrigante, ma che nella sostanza risente dello scarso coraggio, elemento necessario per riuscire davvero a stupire. E così, la fedeltà di Netflix ha finito per non dare i suoi frutti o, meglio, non dare abbastanza frutti per poter parlare di operazione pienamente riuscita.