Dai canali generalisti della tv a una rete tematica come Food Network. Questo è il passaggio che sta affrontando Fatima Trotta, che, dopo più di dieci anni di conduzione di programmi comici, dallo scorso martedì ha debuttato con Il delivery perfetto, un programma in cui si mettono a confronto due ristoranti nel campo del delivery. Dodici anni di Made in Sud per un totale di quattordici edizioni, poi il passaggio nel 2021 a Mediaset con la conduzione di Honolulu, esperienza che però non si ripete e vede quindi Fatima Trotta fermarsi per un anno dalla conduzione in tv. Ora che è tornata con Il delivery perfetto su Food Network (in onda ogni martedì alle 22:00 sul canale 33 e disponibile in streaming su discovery+), TvBlog l’ha intervistata.
Le tue primissime esperienze in tv risalgono a Veline, dove eri stata iscritta ai provini da tua sorella, e a I raccomandati. Che ricordi conservi di quel primissimo contatto con il mondo della televisione?
Provo tanto affetto e tanta dolcezza perché ero proprio una ragazzina quando ho partecipato a questi programmi. All’epoca effettivamente erano più mia mamma e mia sorella che mi spingevano verso queste cose, anche perché io studiavo. Ero comunque attratta dal mondo dello spettacolo, perché secondo me questa predisposizione è qualcosa con cui nasci.
Il grande salto lo fai grazie a Nando Mormone, che ti scopre e ti vuole a Made in Sud. È a lui che devi il grazie professionale più grande, almeno limitatamente alla televisione?
Sicuramente sì, soprattutto poi Nando ci ha visto lungo. Mi stavo formando a teatro, avevo recitato in Un posto al sole, fino a quando lui non mi notò in un programma regionale condotto da Maria Teresa Ruta e volle conoscermi. Ci incontrammo al Teatro Tam di Napoli e feci una sorta di provino: da lì ho scoperto di avere una vena comica, che non immaginavo di avere.
Nel 2021 decidi di lasciare Made in Sud e passare alla conduzione di un nuovo programma comico su Italia 1, Honolulu. All’epoca parlavi del desiderio di “metterti alla prova”. Ti sei pentita di quella scelta?
Nutro ancora un grandissimo affetto verso Made in Sud e Nando Mormone. Made in Sud mi ha lanciata e sono stata l’unica mamma di questo programma: a un certo punto però la mamma deve allontanarsi e lasciare andare il proprio figlio da solo, con le proprie gambe, anche se poi il figlio cade. Quando fai tantissime edizioni di un programma, c’è il rischio che ti consumi e non riesci a rendere più al massimo: io volevo evitare questo. Riguardo a Honolulu, quando vai a fare un altro programma o cambi rete, si parla sempre di “abbandono” o “tradimento”. No, io non sento di aver tradito nessuno e anzi credo di essere stata molto coerente con il mio percorso formativo, non ho nulla di cui pentirmi. Volevo rimettermi in discussione, ma senza neanche questa grande ansia. So quello che so fare e quanto valgo: poi ci sono meccanismi, controprogrammazioni e dinamiche all’interno di ogni programma che portano quel progetto a funzionare o meno. Per me fondamentale è rimanere comunque coerenti con se stessi.
Ad un certo punto è prevalso in te il desiderio di fare vedere che il tuo lavoro in tv non dipendeva esclusivamente da Made in Sud?
No, anche perché alla fine sono andata a fare qualcosa che sapevo già fare. Forse dentro di me sentivo che era una scelta obiettiva quella di lasciare Made in Sud, perché sapevo che lì avevo fatto tutto quello che potevo fare. Non volevo risultare monotona e ripetitiva innanzitutto per il pubblico. Io sarei potuta a rimanere a Made in Sud a vita, come avevo fatto fino ad allora, ma in me era scattato qualcosa.
Made in Sud è un’esperienza che si è definitivamente conclusa per te?
Una volta che lasci un progetto, lo lasci e basta.
Con la metafora del bambino, hai parlato di possibili “cadute” che il programma avrebbe potuto avere dopo il tuo abbandono. Come giudichi a proposito l’ultima edizione andata in onda nella primavera 2022?
Il pubblico di Made in Sud è un pubblico di fedelissimi, quindi credo che sia anche una questione legata al fatto che il pubblico sia rimasto spiazzato dalle tante novità apportate. Però non mi sento di lanciarmi in dei giudizi: quelli li dà il pubblico. Forse per mancanza di tempo sono state trascurate alcune piccole cose, ma non mi sento di giudicare quello che è stato fatto.
Qual è la conquista professionale più importante che ti ha donato Made in Sud?
La padronanza del mestiere. L’ho condotto per così tanti anni, in diretta poi: è stata una grandissima palestra, che mi ha dato tanto. È stata un’esperienza che mi ha formato tantissimo: ora non mi spaventa più nulla.
In relazione a un ipotetico programma tutto tuo, hai sempre parlato di un programma che ti rappresentasse. Che cosa ti rappresenta in Il delivery perfetto?
Il programma mi dà la possibilità di essere quella è il varietà. Made in Sud non è stato mai solamente un programma comico, abbiamo sempre cercato dei momenti di ballo e canto per dare respiro al programma. Il delivery perfetto non è un varietà, ma è un programma divertente, leggero, senza però troppo stress, fatto su una rete in crescita. Ho voluto dare la mia impronta casalinga e “di pancia” a un programma che non voleva sovrapporsi alla classica tipologia dei cooking show con sfide agguerrite e molto tecniche.
Il delivery perfetto arriva quindi in seguito alla mancanza di altre proposte o ci sono stati progetti che hai rifiutato?
Mi sono arrivate anche altre proposte per reti molto importanti. Dopo aver fatto Made in Sud, Honolulu, senti di dover fare delle scelte ponderate. Con Il delivery perfetto ho scelto un programma da poter affrontare senza troppa ansia.
Non hai avuto però paura a metterti in gioco su una rete tematica.
Non per forza uno deve stare su una rete principale per farsi notare. Uno può fare anche qualcosa di piccolo e farsi così notare nel suo. Se poi qualcuno ti nota e ti vuole estrapolare per fare qualcosa, ben venga, sempre però su reti giovani, fresche, che stanno crescendo.
Per Honolulu vi aspettavate che la rete e l’azienda vi rinnovassero la fiducia per una seconda edizione, nonostante un trend degli ascolti rimasto costante?
Il programma è rimasto costante negli ascolti, mentre io ero convinta che grazie alle modifiche che avevamo apportato il programma sarebbe risalito. Dovevamo però crederci tutti. Ho trovato un sistema di lavoro diverso da Made in Sud e, a prescindere da come sia andata nello specifico quell’esperienza, mi è servito anche quello. Ci eravamo resi conto tutti alla fine che il programma doveva cambiare rotta e stava migliorando: è partito in un modo ed è finito in un altro. Su una seconda stagione, capisco perfettamente le ragioni che hanno spinto l’azienda a non darci una seconda possibilità, anche se mi è dispiaciuto.
A te, nonostante la mancata conferma nel palinsesto di Honolulu, è stato offerto qualcos’altro per rimanere su Italia 1?
Ci sono state delle proposte, che però devi essere bravo a rifiutare, soprattutto se avessi dovuto rischiare.
Fatima Trotta oggi accetterebbe un reality?
No.
Ti è stato mai proposto?
No.
Per il futuro sogni di tornare a fare il varietà. Nel breve termine cosa punti a realizzare come sogno?
Adesso sono a teatro e per me soltanto il teatro si può sostituire alla televisione. Sto già immaginando anche a livello di scrittura un progetto televisivo, perché con gli anni sto imparando anche a scrivere. La bozza di programma c’è, sta sulla carta: bisogna ora solo capire come, quando e perché.
Saresti pronta anche a tornare a bussare alla porta della Rai?
Si, certo che sì. Probabilmente lo farò a tempo debito.