Fake torna su Nove, Valentina Petrini: “Il nostro è servizio pubblico. La missione di quest’anno? Contrastare i negazionisti”
Non solo social e politici: Fake – La fabbrica delle Notizie mette sotto esame anche medici e virologi, tra fonti ambigue e idee personali.
Smontare le bufale in tempo di Covid è una missione civile e sociale, quale del resto dovrebbe essere la funzione stessa del giornalismo. Spesso, però, è proprio un certo giornalismo a fare da cassa da risonanza a contenuti dalla dubbia origine e dalla certa insostenibilità. In epoca di complottismo spinto, di fonti molteplici, di opinioni apparentemente di pari credibilità ma dai contenuti contaddittori, diventa vitale avere degli strumenti per imparare a ‘disinnescare’ troll e bufale. È l’obiettivo di Fake – La Fabbrica delle Notizie che torna questa sera, mercoledì 28 ottobre 2020, alle 23.30 su Nove con la prima puntata del suo nuovo ciclo. La missione di questa seconda stagione è molto netta: avendo vissuto anche l’esperienza di un collega in terapia intensiva c’è ancor più determinazione nel contrastare i negazionisti. E tra le sfide in programma quest’anno anche la copertura live della notte delle Presidenziali USA tra il 3 e il 4 novembre.
Seguiremo il debutto di questa seconda stagione di Fake con il tradizionale live-blogging di TvBlog, ma abbiamo avuto il piacere di una chiacchierata con Valentina Petrini, che ritroviamo alla guida di una squadra che annovera Matteo Flora, David Puente e la new entry Paolo Attivissimo. E abbiamo cercato di esplorare con lei questo insidiosissimo territorio, reso ancora più viscido dalle circostanze: e la ringraziamo per questo viaggio ai confini dell’informazione.
La missione di Fake era già ‘improba’ nell’ottobre 2019 e un anno dopo diventa ancora più ‘sanguinaria’…
Quando abbiamo iniziato, fake news e bufale non erano centrali nel palinsesto tv. Ora vedo che in giro, qua e là, se ne parla: alcuni hanno anche ripreso il nostro marchio di fabbrica, la nostra liturgia di mettere timbri FAKE a titoli e notizie. Sono contenta, vuol dire che siamo nel giusto. Più siamo e meglio è. E poi è un riconoscimento per questa giovane squadra.
Vi siete ritrovati in prima linea all’inizio della Pandemia e ora tornate in onda con un’altra ‘consapevolezza’. Come cambia (se cambia) Fake in epoca COVID?
Siamo stati investiti, come tutti, dall’arrivo della pandemia a gennaio del 2020 e abbiamo sentito l’esigenza di raccontare al nostro pubblico che in tutto il m ondo le fake stavano dilagando più velocemente del virus. L’allarme infodemia lanciato dall’OMS è stata la conferma che serviva occuparcene come fossimo un servizio pubblico. Poi ci siamo dovuti fermare: il 10 marzo ho condotto l’ultima puntata da casa, mentre un nostro giornalista era stato ricoverato in terapia intensiva. Oggi sta bene ed è tornato tra noi. I negazionisti non hanno idea di quello che ha passato, non hanno rispetto per i nostri morti. Sarà una missione contrastarli in questa edizione.
Quali sono gli argomenti principali che affronterete nelle prime puntate?
Covid, numeri, curve, pandemia, vaccino: a che punto siamo? Cosa è vero e cosa è falso? E gli annunci dei leader? Anche loro non sfuggiranno alla lente della verifica. Ma questa volta c’è un soggetto nuovo che entra a pieno titolo tra coloro da debunkare: virologi, medici…
Beh, in effetti tra partecipazioni televisive, interviste, slogan lanciati con una certa scioltezza proprio virologi e medici sono diventati ‘leader d’opinione’, ‘usati’ a seconda dello scopo e delle posizioni che si intendono sostenere…
Sono troppi, si contraddicono, stanno creando confusione e noi giornalisti abbiamo il dovere di non sparare nei titoli qualsiasi cosa dicano. La sfida odierna è il rapporto tra scienza e informazione. I temi scientifici non sono più relegati solo alle riviste specializzate, sono di interesse pubblico. Come ce la stiamo cavando? L’ho chiesto a Magdalena Skipper, direttrice di Nature che interverrà più volte nelle puntate di Fake – La Fabbrica delle Notizie. Non è stata buona con noi, ci ha dato un voto al di sotto della sufficienza. Sentirete perché nella prima puntata.
In questi mesi sarebbe dovuta cambiare anche la nostra relazione/conoscenza del virus: in questo senso è cambiato qualcosa nella ‘nostra’ percezione delle fake news, almeno a guardare le domande che vi arrivano in redazione?
Guarda, ci agganciamo proprio a quello che dicevo prima: è cambiato che oggi le persone non si fidano più nemmeno della scienza, perché sono divisi e in contrapposizione fra loro, come fossero esponenti di tifoserie, come accennavi prima. È vero, come dice Enrico Bucci, che durante la pandemia si è prodotta molta carta, nel senso che sono usciti centinaia di studi e di ricerche spesso non accreditati e qualificati? È vero che i medici hanno mutato le loro opinioni più del virus stesso? È innegabile che noi giornalisti pur di essere letti abbiamo spesso fatto titoli d’effetto e dato spazio ai sensazionalismi più che ai messaggi chiari. Il risultato sono stati l’aumento della confusione e della paura e l’impennata dei negazionismi.
La paura è un elemento centrale nella narrazione, nella gestione dell’informazione, nel controllo del consenso e la pandemia ha reso tutto questo ancor più centrale, anche nel rapporto tra società, politica e comunicazione…
E infatti proprio per questo lanceremo in questa edizione un indice di paura, elaborato da un’equipe dell’Università di Pavia capeggiata dal prof. Stefano Denicolai e dal nostro consulente Matteo Flora, per capire come si modifica la nostra sensazione di paura sia in relazione all’aumento dei contagi, sia alle informazioni che riceviamo dagli organi di informazione e dagli scienziati.
La Pandemia assorbe tutto il programma?
No, non rinunceremo a parlare anche di altri temi a cui teniamo molto: le bufale e la disinformazione su clima ed emergenza, salute e estremismo. E poi una grande sfida: il 4 novembre andremo in onda in diretta, per la prima volta. Racconteremo la sfida a colpi di fake news della campagna elettorale americana attendendo i risultati.
Tendiamo a riportare la natura del Fake all’incontrollabile marasma dei social network: ma non è talvolta una lettura troppo ‘semplice’? C’è sempre una volontà dietro, visto che la comunicazione è per definizione ‘intenzionale’…
Lo hai detto tu nella domanda. È davvero una lettura troppo semplice. Ognuno ha la sua parte di responsabilità. Con i social si schierano truppe coordinate per far schizzare in vetta contenuti e far credere che quello sia il sentimento prioritario. Con l’informazione, si amplificano e mettono in risalto alcune notizie a scapito di altre. Come per i cambiamenti climatici o come per la sfericità della Terra oggi abbiamo a che fare con persone che negano l’esistenza del virus.
Ma non è che guardare subito ai social è un modo per i media ‘tradizionali’ di esternalizzare responsabilità e scaricarle sui pubblici ‘funzionalmente analfabeti’?
Non voglio dare la colpa solo ai social, sarebbe sciocco e superficiale. È vero, però, che su Facebook o Tik Tok chiunque può esprimere una opinione su temi di quasivoglia natura senza nessuna preparazione e diventare influencer. Umberto Eco la descriveva come La “demagogia delle visioni alternative”, uno degli elementi del successo delle fake news: c’è un ‘signor nessuno’ che ti spiega la visione alternativa e nuova dei fatti, “quello che non vogliono farvi sapere” e se questo ‘signor nessuno’ ci spiega che la Terra è piatta e raccoglie migliaia di visualizzazioni grazie alle sponsorizzazioni sarà difficile far capire che quello che dice non ha alcun fondamento scientifico. È difficile perché oggi gli algoritmi sono più potenti di qualsiasi altro strumento di propaganda mai esistito. Comunque ci siamo attezzati anche su questo: avremo una rubrica nuova curata da Matteo Flora che si spiegherà “perché crediamo alle fake news” perché i bias cognitivi sono la risposta a molte domande.
La corsa all’anticipazione, alla bozza non firmata, all’indiscrezione dei partecipanti ai tavoli di concertazione ha creato in Primavera, come in questo primo scorcio di Autunno con l’arrivo dei nuovi DPCM, una confusione reale nel pubblico/cittadino sulle reali misure adottate. Che rapporto c’è tra stampa e politica, secondo te, in questo momento e come sta condizionando la percezione della Pandemia?
Ci vorrebbe un saggio per rispondere alla domanda sul rapporto tra stampa e politica. È tema complesso e annoso. Non posso e non voglio semplificare. Certo è che oggi abbiamo un problema in più: i politici parlano direttamente guardando la telecamerina dei loro telefonini. Fanno dirette, scrivono post. Non siamo tenuti a riportare tutto. Non dobbiamo consentirgli di saltare lo scoglio delle domande. È il giornalismo, la nostra missione. Se mentono, dobbiamo sottolinearlo.
In fondo pensavamo di affrontare diversamente l’incremento autunnale anche sul fronte della comunicazione politica e dell’informazione sulle attività di Governo e invece, come si diceva anche per altri ambiti, i meccanismi non sono cambiati, anzi…
Personalmente non mi appassiona la corsa all’anticipazione delle bozze non firmate. È successo nella notte tra il 7 e l’8 marzo 2020 quando il governo ha firmato il decreto per la chiusura della Lombardia e di altre quattordici province del Nord Italia, le più colpite dal coronavirus. La bozza del decreto ha iniziato a circolare prima che il testo diventasse definitivo, creando il panico tra tutte le persone che si trovavano nelle nuove zone rosse. È successo per tutti i successivi DPCM. A che serve? Piuttosto è interessante invece leggere e scoprire i retroscena, capire chi si oppone a delle misure, chi ne chiede delle altre.
La domanda, quindi, nasce spontanea: che ruolo ha il giornalismo in questo generale senso di sfiducia che spesso scade nell’essere pronti ad accettare qualsivoglia fonte, visto che tutte sono considerate ‘alla pari’ e livellate verso il basso? Quanto un giornalismo ‘superficiale’ può favorire l’analfabetismo funzionale?
Noi giornalisti abbiamo un ruolo fondamentale: dobbiamo prediligere la cura per la notizia più che la sua velocità. Per anni mi sono sentita dire, “è troppo complesso questo argomento, il pubblico si stanca e cambia”. Ecco, la complessità è affascinante, saperla proporre è la nostra missione. Mi rendo conto che oggi posso provare a farlo perché vado in onda in seconda serata su un canale che ha scelto d investire sul format al di là degli ascolti. Ringrazio Discovery, Nove e LaPresse per questo.
Fake e infodemia, come evidenziavi, sono due elementi in stretta correlazione: La Fabbrica delle Notizie cerca di fornire degli strumenti per orientarsi. Se dovessi indicarne tre, pronto uso, quali indicheresti?
La prima: pensiamo e contiamo fino a dieci prima di condividere una notizia che leggiamo distrattamente.
Seconda: facciamoci attraversare sempre dal dubbio e non scambiamo i social per la Bibbia.
Terza: nemmeno i messaggi che ci arrivano sono da prendere per oro colato. Anzi, il fatto stesso che ci arrivino notizie così devono essere campanello d’allarme. E poi seguiteci, vi spigheremo anche perché chi confeziona bufale guadagna, come guadagna e come ci manipola ai fini del consenso.
E seguiremo Fake: perché abbiamo bisogno di strumenti per muoverci, anche e soprattutto nella comunicazione di un periodo eccezionale che investe il nostro quotidiano.