Fabio Bonifacci, ex autore di Ciro e Convenscion: “Casualmente, le battute su Dell’Utri e Previti venivano sempre tagliate. Ho smesso anche per questo motivo”
Fabio Bonifacci, oggi sceneggiatore di successo al cinema, ricorda i tempi in cui lavorava in tv :”Alcune battute venivano casualmente sempre eliminate”.
Fabio Bonifacci, 49 anni, bolognese, è stato autore, tra l’altro, di Ciro il figlio di Target, Convenscion a colori e Dillo a Wally, ma anche sceneggiatore di film di successo come Benvenuti al Nord, Lezioni di Cioccolato, Si può fare, Diverso da Chi?, Amore Bugie & Calcetto, Notturno bus, Oggi sposi. Dopo Beppe Tosco e Daniele Raco, anche Bonifacci dice la sua sulla situazione della comicità televisiva italiana.
Fabio, qual è lo stato della comicità in tv in questo momento?
“Premesso che da quasi dieci anni mi dedico solo al cinema e non faccio l’autore comico in televisione, e dunque parlo solo da spettatore, la mia impressione è che la comicità sul piccolo schermo negli ultimi dieci anni sia stata ridimensionata: a cavallo del 2000, in una stagione televisiva c’erano una dozzina di programmi comici, oggi ce ne sono due o tre. Le ragioni di questa scelta mi rimangono oscure, anche perché gli ascolti erano generalmente buoni.
Forse la causa è l’ascesa dei reality, o forse la comicità – in un decennio in cui la politica manifestava una grande attenzione sulla tivù – era ritenuta troppo poco controllabile. Non è un caso che siano sopravvissuti solo programmi comici che la politica non la trattano. In più alcuni comici, espulsi dal video, sono diventati sempre più politici. Insomma, c’è un po’ di confusione”.
C’è una via di uscita?
“Sarebbe tempo di avviare una nuova stagione della ‘risata televisiva’, inventare nuove forme di comicità anche integrandosi con Internet, che produce battute e video divertenti. Ma ho l’impressione che alle reti televisive questo non interessi granché. Mancano gli spazi per il comico, la classica seconda serata da ‘ridere’ è scomparsa dalle tivù generaliste. Sul satellite qualcosa si muove, ma non basta”.
A proposito di Internet, Spinoza e Twitter complicano il lavoro di un autore comico?
“Non lo so. Se facessi l’autore oggi cercherei di usarli a piene mani, ovviamente in modo dichiarato e trasparente, anche stabilendo collaborazioni fisse e remunerando gli autori delle battute prese dal web. Non so perché non si faccia, sono fuori dal giro da un po’, forse ci sono difficoltà legali. Sta di fatto che su Facebook non è difficile imbattersi in battute molto divertenti, ed è un peccato non usarle la sera stessa in tivù.”.
Foto di Gianni Schicchi
Poi arriva Corrado Guzzanti che in un’ora di televisione scombina tutte le carte. Ma perché solo un’ora all’anno?
“A mio avviso, molto semplicemente, è perché non lo chiamano più spesso, o almeno non alle condizioni giuste. Potrei sbagliarmi, ma non credo che Corrado Guzzanti abbia rifiutato un nuovo Pippo Chennedy Show su Rai 2 in prima serata”.
Tu sei stato autore, tra l’altro, di Ciro, il figlio di Target, un programma che ha lanciato molti dei big di oggi: che ricordo hai?
“Una bella atmosfera, professionale ma anche giocosa, sperimentale, da bambini che avevano finalmente messo le mani nella marmellata. Eravamo quasi tutti esordienti, inventavamo cose strane e provavamo. Però eravamo fortunati: grazie anche all’intuito di Gregorio Paolini a Ciro c’erano – del tutto ignoti o poco conosciuti – Luca e Paolo, la Littizzetto, Bertolino, Marcorè, e tanti altri. “.
E oggi non ci sono potenziali talenti?
“Non credo che la ‘mamma dei talenti’ sia andata in pensione; piuttosto penso che le reti generaliste offrano meno spazi ai comici per crescere e sperimentare. E poi, elemento quasi più grave, sono diminuiti drasticamente i piccoli locali in cui fare comicità dal vivo. Quella è una palestra essenziale per i giovani comici: dover coinvolgere spettatori che se ne fregano e sono lì per bere o corteggiarsi è una scuola eccezionale, ti insegna davvero i segreti del mestiere. Quando arriva un comico per un provino, capisci subito quante ‘ore di localini’ ha alle spalle. E spesso oggi sono poche. Il web supplisce in parte, ma non del tutto: il contatto diretto col pubblico è fondamentale per crescere.”.
Quali sono i “limiti” di un autore comico? Esiste l’auto-censura?
“Al mondo esiste tutto. Secondo me esiste anche la censura. Poi è chiaro, nessuno ti dirà mai ‘Non puoi fare battute su questo tema’. Però ai miei tempi accadeva che, guarda caso, le battute su certi temi non facevano ridere ed era meglio cambiarle, oppure finivano in una parte ‘lunga’ che bisognava asciugare. Nei primi anni 2000, questo accadeva, ad esempio, per le battute su Previti o Dell’Utri. Non finivano mai nel montaggio finale. Magari era un caso, ma il sospetto viene… Io ho smesso anche per questo”.
Un’ultima domanda: perché in Italia non si fanno sit-com di successo (a parte pochissime eccezioni)?
“Me lo sono chiesto centinaia di volte e la risposta secondo me va individuata nel mio settore: la scrittura. E’ questa che manca. Da noi la sit-com è spesso concepita come un insieme di gag poco legate l’una all’altra: invece, la sit-com necessita di una struttura narrativa, deve far ridere anche attraverso lo scontro di psicologie e caratteri, il dipanarsi della trama, gli ostacoli, le mete. Insomma, deve contenere una storia. Poi certo, farlo non è facile, ma da noi mi pare che quasi non ci si sia mai provato. Invece in America le sit-com basate sulla narrazione sono state per decenni un punto forte dell’industria e un grande successo di pubblico. E’ un’altra delle scelte per me inspiegabili dei nostri broadcaster. Ma forse non così misteriosa: nelle nostre sit-com si parte dal celebre personaggio che garantisce il successo, la scrittura è considerata un orpello che in qualche modo si farà; negli Usa invece si fa il contrario: partono da un’ottima scrittura e usano attori poco noti che, col tempo, diventano personaggi famosi. Credo ci sia una differenza culturale di fondo. O forse, di nuovo, è anche una questione politica: dare spazio alle idee comporta sempre una libertà che le nostre reti percepiscono come pericolo”.
Non si può cambiare?
“Mah, la sit-com è un grande treno che abbiamo perso: ormai è tardi, la fiction internazionale ha preso altre strade. E, come si sa, siamo indietro anche su quelle”.