Home Notizie ESTATE TV 1: una stagione ideale per pensarci un pò su…

ESTATE TV 1: una stagione ideale per pensarci un pò su…

Ho letto il post di Malaparte intitolato “5 things” in cui si elencano cinque temi su cui rinfrescarsi rispetto ai bollori tv. Ho letto anche i commenti. Entrambi punti di partenza e spunti utili. Sotto sotto sappiamo tutti quanti insieme che, quando ci occupiamo della tv o delle tv, lo facciamo senza entusiasmo. O meglio

pubblicato 18 Luglio 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 14:08


Ho letto il post di Malaparte intitolato “5 things” in cui si elencano cinque temi su cui rinfrescarsi rispetto ai bollori tv. Ho letto anche i commenti. Entrambi punti di partenza e spunti utili. Sotto sotto sappiamo tutti quanti insieme che, quando ci occupiamo della tv o delle tv, lo facciamo senza entusiasmo. O meglio con rassegnata puntigliosità, con colpi volitivi.

Gli anni belli sembrano finiti. Finiti i grandi ascolti e i grandi successi. Imbiancati nell’anima, nel cuore e nel cervello molti dei grandi delle tv che c’erano e che ci sono. Concluso il gran traffico di polemiche, risse, scazzi e gossip. Saltano le dentiere. I sorrisi sono finti.

Persino i grandi professionisti del video si riconoscono più: sono tutti uguali o insignificanti o ripetitivi fino alla nausa anche quando fanno i bulli coperti da contratti e protezioni politiche doc, e pensano di far strage di persecutori, ovvero alti dirigenti delle tv o politici calati nel ruolo dei padrini delle tv. Tenzoni comode tra addetti, addetti esperti ai giochi dietro le quinte.


Il disagio colpisce non solo i frequentatori dei blog, opinionisti per passione o per speranze di un professionismo del domani, ma anche e forse, anzi senza forse, chi ha lavorato a lungo nelle tv e vi è passato indenne, conservando lucidità e libertà mentale.

Uno di questi è sicuramente Raffaele La Capria, detto Dudu, vincitore di un premio Strega per il romanzo “Ferito a morte”, traduttore del poeta T.S. Eliot, sceneggiatore e come tale collaboratore di un napoletano come lui, Francesco Rosi.

Lo conobbi negli anni 70 entrando in Rai. Lui c’era da tempo. Era una testa fine, e tutti lo sapevano e lo rispettavano. Allora, per i corridoi di viale Mazzini, nel palazzo del cavallo piegato e morente, circolavano belle teste e camminavano anche tra progetti e programmi. Teste che camminavano e pensavano. Lo si sapeva e lo si sa.

La televisione era una e si poteva permettere di scegliere i migliori o comunque i bravi, per avere almeno un’idea, un confronto, un parere, una suggestione. La politica c’era. La Democrazia Cristiana dominava, pullulavano cattolici intelligenti e non integralisti,ma il cocktail di elaborazione comprendeva laici di varia estrazione, dai liberali agli azionisti, ai socialisti e ai comunisti.

Tutti costoro, compresi numerosi Dc, non rappresentavano un partito ma loro stessi. C’erano discussioni, scontri e duelli, ma l’oggetto delle contese o comunque delle verifiche e delle immancabili controversie, pur nell’asprezza, non era mai tale da riprodurre riferimenti servili verso i partiti o le aree partitiche e ideologiche di riferimento.

A questo punto, per svoltare verso la mia ” thing”, propongo una citazione dal “Corriere della Sera” di sabato 17 luglio:

Sono una persona comune, di media intelligenza e media cultura, apro la televisione per informarmi di come stanno le cose o per capire almeno qualcosa di quello che accade nel nostro Paese e nel mondo, ma di quel che dice la televisione non capisco nulla. O il mondo si è fatto troppo complicato per dirlo con le parole, o la televisione le parole per dirlo non le conosce e non riesce a trovarle.

Condivido il contenuto e la forma della citazione. Vorrei aggiungere soltanto che quel che dice l’autore di cui rivelerò la facile identità, avrebbe bisogno di una integrazione. La televisione, le televisioni non solo non riescono a trovare le parole ma non trovano e non cercano le immagini capaci di farci avvicinare a quello che accade nel nostro Paese e nel mondo, o almeno in grado di gratificarci con un intrettenimento, con uno spettacolo, degni delle necessità e dei desideri del pubblico non imbabbolato o bamboccione senza distinzioni di età.
La citazione, lo avrete capito, viene da un articolo di Raffaele La Capria intitolato “Le miserabili metafore del potere”; occhiello: “La comunicazione televisiva in Italia e il linguaggio dei politici negli ultimi decenni”; sottotitolo: “Un parlottio autoreferenziale esclude chi volenteroso ascolta”. O “guarda”, aggiungo io.
La cosa che mi ha colpito nell’articolo sta nel fatto che La Capria non fa riferimento, con ricorda di avere lavorato a lungo in televisione. Lo fa volutamente. Lo fa perchè il suo intervento si riassume bene in due parole del titolo: “miserabili metafore”. Lo sappiamo. E’ così. D’estate la metafore del potere scendono dalla metafora e si fanno programmi, campagne acquisti, palinsesti infartuati, annunci e smentite, rassicurazioni sul futuro e silenzi colpevoli, mentre i feudatari agitano le loro durlindate ma sono prigionieri delle loro maschere del potere o del contropotere. Ecco la mia “thing” . Simile a quella dei tanti credo che se non sono proprio “feriti a morte” ,dalle televisioni, ma sono certamente urtati, o peggio, dalla valanga di novità di parole e fatti vuoti che soffocanoi i temi, le “things”, indicati da Malaparte. Miserabili.
Italo Moscati