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Editoriale – Se il reality perde la Corona

Parliamoci chiaro: serviva agli scopi del gioco, e non devo certo dirlo io, questo Fabrizio Corona insolente, impertinente, con la faccia da furbetto della fazenda, con l’espressione di chi ha capito tutto, di chi sa cose che gli altri non sanno. Le sue affermazioni in diretta – alcune le potete leggere nel liveblogging di ieri

23 Marzo 2009 07:17

Fabrizio Corona Parliamoci chiaro: serviva agli scopi del gioco, e non devo certo dirlo io, questo Fabrizio Corona insolente, impertinente, con la faccia da furbetto della fazenda, con l’espressione di chi ha capito tutto, di chi sa cose che gli altri non sanno. Le sue affermazioni in diretta – alcune le potete leggere nel liveblogging di ieri sera – lo dimostrano. Se non altro perché non è possibile che qualcuno dotato di intelligenza – e qui non si dubita affatto che Corona lo sia, dotato di intelligenza – si comporti catodicamente seguendo quegli schemi senza essere soggetto di un’interpretazione dell’italiano medio, furbetto e arrogante.

Che lo sia veramente, nella vita privata, il Corona, è un altro paio di maniche: non mi metterò a dissertare sulle vicende giudiziarie che lo riguardano né sul mondo del gossip, degli scoop veramente finti o fintamente veri, di ricatti effettuati o presunti, di metodi poco eleganti e raffinati.

Disserterò, ma per pochissimo, ché il fatto stesso di parlarne rende la cosa più importante di quel che in realtà non sia, sull’immagine che i reality danno di loro stessi, se necessitano (anche) di un Corona per tirare avanti. Sul fatto che si tollera tutto e tutto sommato si sorride alle sue battutine, è il bello e dannato, lui, e gli si perdona tutto, o quasi tutto: sì, certo, viene punito dall’eliminazione. Come no.

Eppure, il suo atteggiamento – quello della persona o quello del personaggio, poco importa: siamo in televisione, miei cari lettori – è stato, per il fatto stesso di averlo nel cast, sdoganato. E non sto parlando di tv pedagogica né di modelli proposti: quella era un’utopia, e probabilmente era anche sbagliata. Sto parlando del fatto che il fascino del cattivo – cosa meravigliosa in un’opera venduta, percepita, percepibile come una fiction – esaltato con ammiccamenti che si possono cogliere, più o meno velatamente, non è propriamente edificante in un’opera venduta e percepita (ahimé) come real, quindi reale.

In effetti, però, lo scettro della tv di qualità sta altrove. E questo si sapeva.