Duccio Forzano annuncia la ‘separazione’ da Fabio Fazio con cui ha condiviso 10 anni di successi tv, nei quali il regista ha impresso la sua marca. Una separazione consensuale dopo una collaborazione iniziata nel 2006, quando Forzano prese in mano la regia di Che Tempo Che Fa, in onda dal 2003. Da allora non c’è stato esperimento o programma di Fazio che non abbia portato la sua firma visiva, da Vieni via con me – che fece registrare il maggior ascolto della storia di Rai 3, ma che non fu confermato, tanto da ‘trasferirsi’ su La7 nella versione Quello che (non) ho – passando per il trionfale Sanremo 2013, seguito dal molto meno fortunato (per usare un eufemismo) del 2014.
La dichiarazione arriva inattesa mentre al regista, che avevamo incontrato nel luglio 2015 al Giffoni Film Festival, chiediamo un bilancio della sua intensa stagione tv. E allora ripercorriamo le tappe di questa intervista, scoprendo anche i prossimi (per quanto ancora blindati) progetti del regista.
È stato un anno impegnativo tra Che Tempo che Fa, anche con la nuova versione di Che Fuori Tempo che Fa, e soprattutto il Rischiatutto. Qual è il suo bilancio?
La stagione è andata bene. Da metterci la firma. È cominciata come sempre con i programmi di Fabio (Fazio, ndr) e subito dopo, ad ottobre, ci son stati i Capitani Coraggiosi che è stata una bella esperienza soprattutto perché siamo andati in diretta.
C’è stata anche una ‘cosina’ chiamata Rischiatutto…
Rischiatutto è stato davvero un rischio. Per quanto lo si voglia rimodernare, è un programma degli anni ’70, con una sua liturgia, un suo fascino e una formattizzazione ben chiara. Da parte mia, ovvero per quel che concerne la parte registica, visuale, scenografica e di fotografia, ho cercato di rimanere a quell’epoca senza farlo pesare. Sarebbe stato molto facile seguire pedissequamente le inquadrature del regista Turchetti, che pure ho citato anche perché ho avuto a disposizione mezzi che all’epoca non esistevano; ma la vera difficoltà delle due puntate di Rischiatutto, soprattutto la seconda in cui eravamo live, era far funzionare la macchina del gioco. Non esiste un quiz in diretta. Sono tutti registrati, ovviamente. Quando entrano in gioco soldi e notai c’è sempre il rischio, la distrazione, un errore. E non è ammesso.
E infatti proprio sulla domanda finale ci fu un’incertezza che ha tenuto banco a lungo per la validità della risposta del campione.
In realtà non c’è stato nessun problema: il concorrente dette semplicemente una risposta non richiesta, ma le altre erano giuste. Il vero ‘problema’ del Rischiatutto è stato far funzionare l’intera macchina, dal suono dei pulsanti, alle palette ‘conta-denaro’, dal countdown al tabellone, dalle foto ai filmati. Ognuno aveva un compito. Non ci si pensa, ma c’era una persona deputata alle palette, che faceva di conto e le faceva girare. Neanche nelle stazioni si usano più, anche lì ormai è tutto digitale, molto più semplice ed economico. Ma così abbiamo rispettato anche le direttive editoriali rivolte a un programma vintage. L’esempio delle palette fa capire come fossimo tutti meccanismi di un ingranaggio che doveva filare liscio. E non è stato facile.
Ci siete riusciti, però. Da spettatore le è piaciuto?
L’ho visto da spettatore che aveva già visto quello di Mike e quindi il mio giudizio è falsato perché sono innamorato di una cosa che ho vissuto quando avevo dai 10 ai 13 anni. Oggi è un programma che Fabio saprà sicuramente aggiornare e adattare ancora di più al pubblico del 2016, più sgamato, più veloce e forse più istruito di quello di allora. Sono certo che ci riuscirà. Sul piano visivo, poi, l’immagine del Rischiatutto è quella: o decidi di fare tabula rasa e crearne una con i mezzi e il linguaggio di oggi oppure, se vuoi mantenere il vintage di allora, devi fare un po’ quel che ho fatto io, ovvero conservi quei colori, lavori con la luce bianca, fai poca atmosfera, che ho cercato nelle domande iniziali con il colore rosso, puntando durante il gioco su un colore più ciano e lasciando per il gioco finale un blu notte. I colori originali dello studio, che abbiamo recuperato, erano pensati per la resa in scala di grigi: io oggi una scenografia rossa come quella del Rischiatutto non la farei mai!
Scusi, ho sentito male o ha detto “Fabio dovrà farlo…”. Nel prossimo Rischiatutto non ci sarà?
No. Ho deciso di prendermi una piccola pausa dal lavoro con Fazio, che conosco da tanto tempo e col quale ho ‘cresciuto’ Che Tempo che Fa per dieci anni. Abbiamo fatto molte cose insieme, come Vieni via con me, Quello che (non) ho e anche degli speciali di cui conservo un ricordo indelebile, oltre a due Sanremo… È ora di una pausa e, in accordo con Fabio, dalla prossima stagione non seguirò né Che Tempo che Fa né Rischiatutto. Da settembre non ci sarò più io in regia.
Una separazione che fa notizia. Stanchezza di un rapporto decennale? Clima cambiato? Voglia di fare qualcosa di diverso?
Guarda, personalmente sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Credo di aver dato moltissimo al programma, soprattutto CTCF e CFTCF. Credo di aver dato tutto e di essermi espresso al limite delle mie possibilità, rispetto al programma. Lascio anche per una mia crescita, perché anche se ho 56 anni ho bisogno di crescere, di imparare ancora, di sperimentare ancora. Forse è il momento di provare a fare altre cose, che magari non avranno lo stesso successo di CTCF, ma che comunque mi rimetteranno un’altra volta in gioco.
Ha detto “Ho dato tutto”: ha ricevuto altrettanto?
Beh certo. Fabio, quando mi contattò nell’estate del 2005, andava già in onda da un paio d’anni. Io uscivo dalla stagione trionfale di Stasera Pago Io Revolution, con Fiorello. Pensa, lavoravamo su tre set diversi: uno era al Delle Vittorie, uno all’esterno del Teatro e uno in Radio, a Via Asiago. Avevamo all’epoca una ventina di telecamere sparse per Roma. È stata un’esperienza clamorosa (gli sorride la voce, ndr), ho lavorato tantissimo e ho imparato tantissimo.
Il passo da Rai 1 a Rai 3 non dev’essere stato semplice.
La verità è che Fabio mi ha conquistato. È riuscito a portarmi dalla prima serata di Rai 1 a Rai 3, per di più in un programma che allora era ‘di nicchia’. Le persone che mi conoscevano rimasero stupite, anche perché mi consigliavano di lasciar perdere. Fabio, invece, fece esattamente quello di cui ho bisogno io oggi: mi ha chiamato e mi ha detto “Se vieni a fare questo programma ti lascio fare il tuo lavoro, fai il regista, a tutto tondo. Ti do carta bianca”. E questa cosa per me è stata importantissima, a fronte di budget di produzione diversi e di un cachet, diciamolo sinceramente, lontano da quelli del prime time di Rai 1. In 10 anni di CTCF ho imparato tanto, in tutti i campi, dalla grafica alla fotografia, lavorando con grandi professionisti che mi hanno dato tantissimo e ai quali ho cercato di dare tutto. Ho dato molto, ma ho ricevuto molto.
La carta è sempre stata bianca in questi anni?
Sì, è rimasta bianca. Poi, sai, cambiano anche le persone nel gruppo autorale, sul piano editoriale… Diciamo che ci sono nuovi orizzonti da esplorare e ho voglia di ricominciare. CTCF ormai è un programma che va con le sue gambe. La mia squadra, quella dell’M1, è pazzesca: il direttore della fotografia, Stefano Sandoli, è eclettico e ormai ci capiamo al volo. Pensa che le ultime tre cose musicali che abbiamo fatto, Zucchero, Ben Harper e Alicia Keys, le abbiamo messe su in pochissimo tempo: merito di un team affiatato, che coinvolge tutti, dalla grafica all’aggiustamento cromatico, che studia un certo movimento di luci da staccare esattamente nel momento in cui decidiamo che è quello giusto… Mai tra di noi c’è stato l’atteggiamento di chi dice “Tu fai il lavoro tuo, io il mio e ‘ndo cojo cojo” (ride). C’è una sinergia totale. A CTCF ogni cantante ha una regia diversa: noi interpretiamo le canzoni. È come se facessimo Sanremo tutte le settimane. E poi c’è Enzo D’Urbano, il direttore di produzione. Lui per me è fondamentale nella gestione dello studio. Ma tutto questo arriva al pubblico: potrà non avere competenze tecniche, ma ha il cuore e sente se una certa scelta cosa ha un significato e trasmette un’emozione. Arrivi al cuore se ci metti il cuore, con tutta la tua squadra. E la M1 è una squadra perfetta, non ha più bisogno di Duccio Forzano.
A proposito di squadra, come ha preso la notizia del suo ‘addio’?
La mia squadra non è molto contenta… Con tutti questi ragazzi – dal macchinista a chi mi sopporta al mixer video, da tutti i miei assistenti al consulente musicale… insomma tutti – si è creato un rapporto non solo umano e professionale, ma un legame di grandissimo rispetto reciproco per i nostri lavori. L’augurio è quello di trovarci presto insieme in nuove trasmissioni.
E Fazio come l’ha presa?
Fabio è una persona intelligente ed è un uomo lungimirante. Ci siamo detti, con grande sincerità, che forse era arrivato il momento di prendere strade diverse. Certo, si è dispiaciuto, ma non posso dire che ci siano state scenate (sorride). Mi ha chiesto, piuttosto, se ne fossi certo. “Se questo è quello che vuoi va bene, ma qui c’è sempre una porta aperta” mi ha detto. Ha capito che trattenermi poteva essere controproducente. Se una fai una cosa controvoglia la fai male. Ma ci rincontreremo senz’altro in futuro.
Non le dispiace lasciare Rischiatutto dopo tutto il lavoro di esegesi e creazione fatto in questi mesi?
Ci ho pensato molto, sai, davvero tanto, ma la verità è questa: se ci pensi, non te ne andrai mai. Ci sarà sempre qualcosa che ti trattiene. Se mi dispiace per Rischiatutto, figurati per Che Tempo che Fa! Lì mi sono inventato praticamente tutto. Ma un certo punto i tuoi figli devi lasciarli andare sulle proprie gambe.. Non mi resta che augurarti, caro programma, che le persone che incontrerai saranno in grado di portarlo avanti come io ti ho cresciuto. Ma morto un regista se ne fa un altro, eh (sorride).
In effetti pensando a lei, a Fazio e a CTCF l’immagine della coppia che ha cresciuto un figlio per 10 anni e affronta una separazione vien quasi spontanea. Non teme che chi ‘prenderà il suo armadio’ possa condurre suo figlio per altre strade?
(Sorride) Beh, è un’ipotesi assolutamente reale e realistica. Credo che stia all’intelligenza delle persone che verranno dopo capire come è meglio comportarsi. In fondo però non c’è poi tanta scelta: o porti in una scrittura registica già impostata il tuo stile e la tua visione, oppure fai tabula rasa e ricominci da capo.
Vuol fare cose nuove, ha detto. Cosa?
Fare quello che faccio di solito: sperimentare, giocare, usare nuove tecnologie, un po’ come ho fatto nella striscia di Rischiatutto. È stato un parto pazzesco, perché mi sono volontariamente imbarcato in un piano produttivo, che ho scelto io eh, quasi folle. Ho lavorato con sei fotocamere separate, con i microfoni cinematografici, audio separato, tutto messo in synch come se fosse un film. E infatti la striscia aveva una pasta molto cinematografica: era molto televisiva nell’impostazione del contenuto, ma cinematografico nel linguaggio visivo. E penso che questa sia stata la sua forza. Ma solo un pazzo può buttarsi in una cosa del genere (ride). Sono stato aiutato dal Centro di Produzione Rai di Torino: sono stati clamorosamente bravi.
Le piacerebbe tornare a uno show del sabato sera?
Beh sì. Pur ‘tornando indietro’ per certi versi ora lo farei con un occhio completamente diverso, portando la mia esperienza degli ultimi 10 anni. Tanti ne son passati dall’ultima esperienza con Fiorello.
A proposito di Fiorello, quando la incontrammo a Giffoni disse che le sarebbe piaciuto fare di tutto, dai programmi per bambini ai Tg, che hanno bisogno di un deciso restyling visivo. Dopo Rischiatutto, Fiorello è tornato in tv con la sua Edicola. Come vedrebbe un Tg Fiore con Forzano alla regia?
Bene! (ride) Magari! Ho un ottimo rapporto con Rosario e se vorrà, e quando potrà, sa che può contare su di me. Sono libero!
La libertà però costa.
Certo, costa. Ed è rischiosa. Me ne prendo tutta la responsabilità. Non ho più il contratto dell’anno, ma ho inseguito questo sogno di ‘libertà’ per 36 anni. L’ho inseguito perché sapevo che se un giorno ci fossi arrivato sarei stato un uomo privilegiato. Arrivato a questo punto io ‘non lavoro’, ma faccio quello che mi piace di più nella vita. E io voglio fare una cosa che mi piace: se non mi piace non la voglio fare. Punto.
Proposte per la prossima stagione immagino siano arrivate: ha deciso cosa viene ‘dopo’?
Le proposte sono arrivate, ma mi lapidano se dico qualcosa adesso…
Mi sa che a questo punto lo scopriremo nella presentazione dei Palinsesti Rai dell’Autunno 2016. Io però son fissata con la fiction. Sta pensando a qualche altro cortometraggio dopo La Traiettoria degli Aquiloni, a qualche altra web series?
Ti dirò, c’è molto, molto di più. A settembre succederà qualcosa per me molto importante. È un nuovo esperimento, un nuovo modo di raccontare per quel che mi riguarda e potrebbe venirne fuori qualcosa di molto interessante. So che da settembre delle cose cambieranno.
Io vorrei davvero vederla in una fiction seriale, comunque…
Anche a me piacerebbe. Ci sto lavorando attivamente. Ma di più non posso dire.
Nel frattempo cosa vede in tv? C’è qualcosa che proprio non sopporta?
Mah, io guardo un po’ di tutto in tv. È cibo per me, come leggere un libro, come vedere una serie tv. Il problema è che sono ipercritico. Finisce che mi innervosisco di fronte a regie ‘documentaristiche’. Un programma tv non è una partita di calcio: dev’essere codificato da te e se non sei nei contenuti, se non sai cosa e dove accade – e devi deciderlo tu, insieme all’editore – non puoi raccontarlo; sarai sempre una nota stonata. Talvolta si perde proprio di vista il telespettatore e anche il concetto di schermo, o meglio l’idea di far passare tutto quello che succede in quel rettangolo che vedono a casa. Se non hai presente questa regola sarà difficile ‘raccontare’: si finisce per documentare, per inseguire quel che succede, ma non si fa quel che un regista deve fare. Anche perché è lui il primo autore, non c’è niente da fare.
Ora aspettiamo solo di conoscere i suoi prossimi progetti e i suoi nuovi racconti per immagini. Intanto abbiamo avuto il piacere di seguire in regia l’ultima puntata di Che Fuori Tempo Che Fa di sabato 11 giugno ed è davvero un’esperienza coinvolgente. Come avrete potuto vedere nelle immagini di apertura, Forzano ‘dirige’ una squadra e gli strumenti audiovisivi a sua disposizione, accordati con tutta la troupe.
Un vero direttore d’orchestra, insomma, che dà tempi e ingressi agli orchestrali, intessendo uno spartito e una ‘melodia’ narrativa. Non a caso in alcune lingue il ‘regista’ è le directeur o director, mentre il termine italiano deriva dal francese ‘regìr’ che ha una connotazione più amministrativa che direttiva. Humboldt avrebbe potuto trarre interessanti conclusioni sulla particolare visione del mondo (tv) disegnata dall’italiano, ma questa è un’altra storia.
Non ci resta che ringraziare Duccio Forzano per la sua disponibilità e per la ricca, e mi auguro, piacevole intervista. Ad maiora, semper.