Dritto e rovescio, una telenovela di successo perennemente in replica
Dritto e rovescio non regala scoop e non realizza inchieste, mentre Del Debbio nelle interviste si mostra sempre annoiato. Il programma è una telenovela perennemente in replica
Qualora valesse solo il responso dell’Auditel, Dritto e rovescio sarebbe promosso su tutta la linea. Talk più seguito di Rete4 capace di contendere a Di Martedì il primato generale sull’intera settimana, la creatura di Paolo Del Debbio non sbanda, nonostante la concorrenza agguerrita e un governo di destra che, in teoria, avrebbe dovuto appannare una certa narrazione.
Il programma fa tuttavia leva su un meccanismo ben oliato e, soprattutto, su un contesto riconosciuto e riconoscibile dal suo pubblico. Di Dritto e rovescio, infatti, è facilmente identificabile la platea di riferimento. Qualità che poche altre trasmissioni possono rivendicare.
C’è però l’altra faccia della medaglia. Come direbbe Del Debbio “c’è un dritto e c’è un rovescio”. E il rovescio è determinato da una costruzione superficiale e spesso semplicistica.
Dritto e rovescio non regala scoop e non realizza inchieste, nonostante l’etichetta ‘esclusivo’ appaia a ripetizione in sovrimpressione. Se Mario Giordano si è appropriato della questione vaccini e reazioni avverse, se Giuseppe Brindisi può esporre come una medaglia il colpaccio di Sergej Lavrov, se Nicola Porro può attestarsi un certo filone anti-giustizialista e di recente si è aggiudicato il faccia a faccia con Elon Musk, Del Debbio viaggia su un altro binario.
Al giornalista lucchese le interviste ai politici interessano relativamente, spesso si mostra annoiato e distratto e le domande non mordono mai. Avesse davanti a sé Trump o il Papa, sbadiglierebbe ugualmente.
Del Debbio, non c’è dubbio, preferisce l’arena, tanto che gli anni del covid e degli studi vuoti sono stati per lui un incubo. Sguazza tra le urla, tra gli applausi. Si gasa quando l’inviato si collega da qualche bar per dare voce al popolo pronto a scagliarsi contro il potere che, stranamente, ha sempre il marchio della sinistra. Pure se da nove mesi l’inquilino di Palazzo Chigi si chiama Giorgia Meloni.
Ad ogni modo, anche quando il parterre si allarga, Del Debbio si ritrova meglio nei panni del vigile urbano. La dinamica è pressoché fissa, reiterata nel tempo. Cruciani, Belpietro, Fusani, più un esponente di centrodestra e uno del Pd, con quest’ultimo che – manco a dirlo – ha puntualmente la peggio.
I toni si alzano in mezzo secondo, il padrone di casa osserva, per passare brevemente all’ammonimento e al cazziatone, condito quasi sempre da parolacce. Già, la parolaccia, altra caratteristica ormai imprescindibile. Del Debbio prende di mira tutti: ospiti irrequieti, gente comune che si ribella, ma soprattutto assistenti di studio e regia. Un leit motiv divenuto essenza stessa del programma.
I temi di confronto non sono mai di prima mano. Borseggiatrici rom (telenovela proseguita per oltre dieci puntate), immigrazione, reddito di cittadinanza, omosessualità e utero in affitto. Materiale già esploso altrove che Del Debbio raccoglie e rideposita a tavola per sfamare i suoi commensali. Più i poli sono opposti ed estremi e meglio è, perché la regola è che tutti sanno cosa accadrà da lì a poco, cosa ci si dirà, chi lo dirà, come lo dirà.
Dritto e rovescio, più di altri, è una telenovela a lunghissima serialità. Anzi no, è una telenovela perennemente in replica. Che riesce comunque ad appassionare. E’ questo, piaccia o meno, è un talento.