Drag Race Italia 3, la vincitrice Lina Galore a TvBlog: “La corona è una scala per comunicare l’arte drag (che è atto politico)” – Video
La terza Italia’s Next Drag Superstar ci racconta la sua esperienza nel programma di Paramount+: cosa l’ha sbloccata lungo il percorso, chi l’ha ispirata, l’importanza del fare drag e i suoi sogni futuri
Da poche ore è stata incoronata Italia’s Next Drag Superstar, e sa già che questo ruolo richiede una grande responsabilità nel mondo drag e non solo. Lina Galore, che “out of drag” risponde al nome di Giovanni Montuori, nella finale di Drag Race Italia 3, disponibile su Paramount+, ha sbaragliato la concorrenza composta da Melissa Bianchini (seconda classificata), La Sheeva e Silvana Della Magliana (entrambe terze classificate).
Per Lina, oltre alla corona ed allo scettro di Aster Lab Jewels, è andato anche un premio in denaro di 20.000 euro ed una fornitura di un anno di cosmetici di Anastasia Beverly Hills. Calabrese di origine ma residente a Milano (dove lavora come un consulente di strategie di comunicazione e produttore digitale), Lina ha portato a termine un percorso all’interno del programma che richiede, per giungere alla vittoria, più competenze e capacità di mettersi alla prova in ogni situazione.
“Nel cercare di formulare delle parole adatte per il discorso di accettazione della corona, non sono riuscito a proporre la metafora con cui io descrivo la corona”, ci ha raccontato poche ore dopo la sua incoronazione. “La corona non è una sedia, ma è una scala. Per me non rappresenta un punto di arrivo, ma uno strumento attraverso il quale posso arrivare a più persone e far arrivare il messaggio della mia arte drag, facendo sentire rappresentate più persone possibili e dare a loro lo stimolo a combattere per la propria comunità. Ma anche nel veicolare messaggi indirizzati fuori dalla nostra comunità, per fare in modo che la staccionata si abbassi e si possa abbattere qualsiasi tipo di stereotipo o pregiudizio patriarcale o eteronormato, e dare all’arte drag, come tutte le forme d’arte, anche un impatto sociale concreto”.
Hai parlato di responsabilità nel ricoprire questo ruolo, e anche di atto politico, di arte drag come atto politico.
“Nel momento in cui siamo consapevoli di abitare una società schiava delle etero norme del patriarcato ti rendi conto che perseguire la forma d’arte che scegli implica indossare i panni non gender conforming. Il drag non c’entra niente con il maschile e il femminile, quello è il vero atto politico, quella è la sfumatura politica dell’arte drag, ossia abbattere qualsiasi preconcetto legato al genere, ai canoni estetici, ai dettami sociali. L’arte drag è una forma d’arte sicuramente come tutte le altre, ma esattamente come tutte le forme d’arte parla alla società contemporanea. Credo che sia una tra le più moderne delle forme d’arte, proprio perché in questo momento la crisi più profonda, in termini di strati sociali, lo stia vivendo la comunità LGBTQIA+. Lo vediamo in Italia, dove appunto il clima politico è quello che è; lo vediamo in America, dove addirittura l’arte drag viene criminalizzata perché quasi sponsorizza una libertà legata ai concetti di genere… Il potere politico del drag ha effetto nella sola esistenza e per questo che io dico sempre che anche una drag che si trucca e basta sta facendo politica in qualche modo”.
Tornando all’interno del tuo percorso nel programma, c’è stata un po’ l’impressione che nelle prime puntate prendessi un po’ le misure di quello che ti circondava, delle persone, dell’ambiente. C’è stato un momento, o un episodio, una persona, una frase, che ti ha sbloccato?
“C’è stato uno switch ma non è stato in questi termini. Quando Melissa ha condiviso la sua storia di discriminazione straziante. Io, come dicevi tu, stavo prendendo le misure quindi ero un po’ chiuso. Quando una persona come Melissa ha offerto al mondo una storia del genere, io ho pensato al rispetto nei confronti di una persona che con così tanta umiltà offre la sua storia di discriminazione al mondo, ho pensato che non dovevo avere riserve. Melissa è stata un’ispirazione per me, perché mi ha aiutato a dire ‘Giò, devi lasciarti andare e devi consentire al mondo di conoscere quello che sei, quello che hai vissuto, perché solo così puoi essere in grado di offrire al mondo quello che per te è il messaggio dell’arte drag’. Poi, sicuramente, entrare a contatto con dodici persone che hanno avuto delle storie simili ma anche diametralmente opposti alla mia mi hanno sbloccato una serie di meccanismi di coscienza sociale che non sapevo nemmeno di avere”.
Questa è stata la tua prima esperienza televisiva?
“In drag sì, però non in drag”.
Te lo chiedo perché volevo sapere se questa esperienza televisiva può esserti servirta anche come trampolino per una carriera televisiva: ti piacerebbe fare qualcosa in televisione e che cosa, eventualmente?
“Sicuramente può essere interessante avere una piattaforma il più ampia possibile, ma non è una questione di gloria. Non so se la televisione è la mia strada, mi piacerebbe molto il mondo del teatro, mi piacerebbe molto il cinema… Alla fine riesci a portare fino in fondo un percorso come Drag Race solo se ti concentri su te stesso, ma se guardi anche oltre. Pensare al fatto che quello che stai facendo, sì, deve piacere a chi lo guarda da fuori, ma deve essere uno spunto. Stai facendo qualcosa di concreto nel mondo, stai lasciando un messaggio, deve rimanere qualcosa. Faccio un esempio banale: per è molto più importante che sul mio account Instagram le persone si ricordino delle reference dei miei look, piuttosto che del mio look. Per me è molto importante che quando ho fatto il look ispirato a ‘Le Streghe” di Luchino Visconti la gente sia andata a cercare il film, piuttosto che soffermarsi soltanto sul mio look. Voglio rimanere concentrato su quello, sul rappresentare la mia comunità, cercare di lavorare il più possibile per appianare queste differenze e pregiudizi, ricorrendo a quello che so fare meglio. Al momento, ritengo che sia far ridere; poi vediamo, magari un giorno farò piangere”.