Downton Abbey – Il film? Era meglio un Christmas Special…
Il film di Downton Abbey riesce a scontentare i fans più accesi e a non appassionare chi non hai mai visto la serie.
Dopo aver visto Downton Abbey – Il Film, il pensiero è stato uno: sarebbe stato più onorevole un Christmas Special. Sarebbe stato decisamente meglio che ridurre la grandezza di un fenomeno in un film mortificante per personaggi e fans. Al limite, se gli autori fossero riusciti a trovare nuovi spunti, sarebbe stato meglio usare i soldi del film per una nuova stagione, sì conclusiva ma non raffazzonata tra passaggi di consegne lontani anni luce dallo stile della serie e chiusure narrative fin troppo telefonate. E si consiglia a chi non ha visto il film – e non vuole rovinarsi il sapore di té e scones – di fermarsi qui e di non andare oltre nella lettura di un articolo che non vuole essere la recensione al film (ci ha pensato Cineblog a farlo), quanto una riflessione sul passaggio del titolo dalla tv al cinema.
Di certo l’attesa del film di Downton Abbey ha rinvigorito i fans della serie firmata da Julian Fellowes che speravano di rivedere all’opera la famiglia Crawley e i loro fedeli servitori a cinque anni dall’ultimo appuntamento tv e dopo 52 episodi, ambientati tra il 1912 e il 1926 e trasmessi dal 2010 al 2015. Doveva essere l’occasione per un gran finale che celebrasse una delle serie più raffinate nella scrittura e nella realizzazione viste in tv negli ultimi anni, un gran finale che si è pensato di portare addirittura al cinema, all’attenzione di un pubblico altro da quello del piccolo schermo. Per quale ragione, poi, qualcuno che non ha seguito sei stagioni di Downton Abbey dovrebbe andare al cinema a vedere l’ultimo atto di una storia sconosciuta è uno dei grandi misteri di questa operazione cinetelevisiva che sa di hybris. E i risultati sono stati, ovviamente, discutibili.
Downton Abbey – Il film, infatti, riesce a scontentare nello stesso tempo chi ha amato la serie e chi, da neofito, sperava magari di appassionarsi a un fenomeno mediatico. Si riesce a fallire in entrambe i casi, proprio perché si è cercato di unire pubblici eterogenei.
I fans non meritavano di trovarsi di fronte alla versione macchiettistica di personaggi che hanno ruotato con classe e misura per anni tra le sale di Donwton Abbey. Thomas Barrow (Robert James-Collie) è ridotto all’ombra di se stesso, impaurito come un coniglio di fronte all’entourage dei sovrani, lui che ha ordito i peggiori disegni tra le scale della servitù. Non contenti, gli autori lo disegnano come un gay ingenuo che attraversa lo specchio nella grande città cosmopolita: come massacrare un tema portante della sua storylines, che era riuscita a raccontare 100 anni di pregiudizi. Non va meglio a Mr. Molesley (Kevin Doyle), che di sicuro ha dato prova di ‘eccentricità’ nelle sei stagioni televisive, ma che nel film riesce a dare il peggio di se stesso. Daisy (Sophie McShera) sembra un’altra, eppure è passato diegeticamente solo un anno dai fatti raccontati nella serie, mentre la ‘rivoluzione’ guidata da Anna (Joanne Froggatt), la vera protagonista del film, ha solo l’obiettivo di rendere tutto prossimo al grottesco.
Una narrazione estremamente caricata, quindi, nelle storylines e nei personaggi, pensata evidentemente per permettere ai neofiti di orientarsi in un pregresso che comunque resta loro inesorabilmente precluso. E così chi ha seguito la serie si trova di fronte a ridondanze inutili, a storie annaquate, a personaggi snaturati; chi non l’ha mai vista resta sconcertato davanti alla banalità del tutto.
Per tornare ai personaggi snaturati, difficile non pensare a Lady Mary Crowley (Michelle Dockery), ora Mrs Talbot, inutilmente raggiunta dal marito pilota solo nell’ultimo quarto d’ora di film e soprattutto surclassata nel racconto dalla sorella Edith (Laura Carmichael), ora Marchesa di Hexham. Ma se c’è una cosa imperdonabile nel film è che Lady Violet, Contessa Madre di Grantham, la sempre suberba Maggie Smith, viene sminuita al punto da essere costretta a subire più di una volta l’ultima parola dalla cugina Isobel (Penelope Wilton), ora Lady Merton. E vedere Lady Violet zittita in continuazione, senza avere sempre la chiusura brillante negli scambi verbali che hanno impreziosito la serie diventandone un cult, è davvero una cosa insostenibile. Ancor peggio dell’indigeribile scena finale, in quel passaggio di consegne sottolineato, ripetuto, caricato, appesantito tra Lady Violet e Mary. Una cosa che mai l’aplomb della sia pur moderna, nella sostanza, Contessa Madre avrebbe mai potuto concedere, tanto più in pubblico, tanto più in un’occasione ufficiale. Una scena che serve solo a ribadire a spettatori e fans che Maggie Smith ha detto addio al progetto e non vestirà mai più gli abiti della Contessa Madre. Decretandone, così, la fine: diciamoci la verità, che senso ha un sequel senza di lei?
Dopo sei anni di personaggi delineati con calma e precisione, anche con i loro colpi di testa e con qualche talvolta incredibile trasformazione, il film tradisce lo spirito di una serie che aveva affascinato per la sua cura. Se è vero che ogni trasposizione è un tradimento, di certo il passaggio di Downton Abbey dalla tv al cinema non è stata l’eccezione che ha confermato la regola.
Quanto sarebbe stata più dignitosa e rispettosa una chiusura narrativa densa e omogenea, che non dovesse diluire storie e personaggi per farsi capire dagli ‘estranei’, ma che permettesse ai telespettatori di ritrovare atmosfere e situazioni tanto apprezzate. Insomma Downton Abbey – Il film è stata un’occasione persa, e anche male, almeno sul fronte narrativo; su quello economico, dalla sua uscita al 1° novembre ha raccolto nel mondo 176, 1 milioni di dollari, a fronte dei 13 milioni spesi per girarlo (e per completezza, mediamente una puntata tv è costata un milione). I produttori di certo non la pensano come me.
E dire che il potenziale di questa serie resta tuttora altissimo: una nuova stagione non sarebbe male. Basta, però, con i compromessi: la hybris da cinema ha mortificato una serie (quasi) perfetta.