Don’t Forget the Lyrics: un game show musicale rock e lento allo stesso tempo
L’intuizione, alla base di Don’t Forget the Lyrics, non è male ma il game show è caratterizzato da rituali lenti che ne penalizzano il ritmo.
Restando in tema musicale, citando un indimenticato show televisivo del passato, Don’t Forget the Lyrics – Stai sul Pezzo si potrebbe definire un game show musicale “rock e lento”, al medesimo tempo.
Rock, perché già dai primi istanti, il nuovo programma dell’access prime-time di Nove e il suo conduttore, Gabriele Corsi, approcciano al pubblico televisivo con un entusiasmo che, in programmi di questo tipo, ormai, è altamente prevedibile (fortunatamente, però, quella sensazione di divertimento posticcio e forzato non si è avvertita). Il clima di euforia, quindi, di conseguenza, rappresenta le fondamenta di questo show dove anche i premi in denaro, considerate le cifre esigue, non si rivelano un elemento attrattivo.
Lento, perché, come già scritto in precedenza, l’entusiasmo si affievolisce (ed è un bene) ma le tre manche che scandiscono la puntata non scivolano fluide nei sessanti minuti, circa, di visione del programma.
Don’t Forget the Lyrics: la prima puntata
I giochi sono semplici e circoscritti chiaramente nel titolo del game show. Don’t Forget the Lyrics non è un game musicale “a tutto tondo”, come Sarabanda/Name That Tune o Bring the Noise, dove la musica diventava oggetto di gioco in svariate modalità. I testi delle canzoni sono alla base del programma e, nelle tre manche, il gioco è pressoché sempre lo stesso: indovinare il testo.
Le variazioni sul tema, essenziali, ovviamente ci sono: nel primo gioco, il concorrente deve indovinare il testo mancante; nel secondo gioco, il concorrente deve indovinare il maggior numero di parole mancanti consecutive; il terzo gioco è una scalata alla Chi vuol essere Milionario? (citato esplicitamente da Corsi, con i tre aiuti e una cifra sicura in tasca al raggiungimento di uno dei 5 obiettivi) dove si deve sempre azzeccare la parte di testo omessa.
Se l’elementarità dei vari giochi, alla fine, può essere considerata anche un bene in quanto permette un’agevole comprensione degli stessi già dalla prima puntata (nonostante siano semplici, però, nascondono delle insidie), sono i rituali del programma a penalizzarlo e a determinarne maggiormente la lentezza.
Considerando la durata della puntata, innanzitutto, non sarebbe stato un peccato aggiungere una manche e un quarto concorrente, per rendere il tutto più scorrevole e ritmato.
Ci ritroviamo, invece, ad assistere ad un concorrente che canta a lungo (a volte anche con un testo che non appare a tempo) e ad un protocollo che porta allo svelamento della risposta, tutt’altro che celere.
Qui, entrano in gioco le capacità di Corsi. Il conduttore canta con i concorrenti, ironizza dove può farlo ed esclama quei tormentoni da conduttore che, in teoria, dovrebbero fidelizzare il telespettatore (e che, invece, lo portano all’esasperazione…). Riempire i tempi morti è un dovere ma non è neanche compito semplice, considerando che, in un game show, gli appigli sono pochi e molto dipende anche dai concorrenti che si hanno di fronte (concetto espresso tempo fa anche da Flavio Insinna ma è meglio non parlarne…).
L’intuizione di Don’t Forget the Lyrics non è affatto male perché gioca su quello che potrebbe essere conteggiato come uno dei tanti enigmi della psiche umana: testi che cantiamo da sempre, in ogni occasione e contesto, possono essere dimenticati di colpo se ci ritroviamo costretti ad esporli con precisione. È un gioco, nel suo piccolo, psicologicamente contorto, come il gioco finale di Avanti un Altro.
Don’t Forget the Lyrics, però, è paragonabile anche ad altri quiz dove il concorrente è sostanzialmente chiamato a fare una cosa sola (come Guess My Age, Trasformat e tanti altri). In programmi come questi, dove il raggio d’azione non è così vasto, tenere il giusto ritmo non è importante ma fondamentale.