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Don Matteo 14, recensione: il Dr. Who italiano è a Spoleto

Don Matteo riesce sempre a dare un’apparente aria di novità: cambiando volti del cast, dà l’idea di essersi rinnovato, restando sempre sé stesso. È il nostro Dr. Who

17 Ottobre 2024 23:45

Gli inglesi hanno il Dottore, gli italiani il prete: così come Dr. Who si è radicata nella cultura popolare britannica come uno di quei prodotti capace di superare le logiche del tempo e le naturali conseguenze degli avvicendamenti del cast, Don Matteo 14 conferma di essere la fiction italiana per eccellenza, capace di cambiare e al tempo stesso di non cambiare mai.

Don Matteo 14, la recensione

La fiction di Lux Vide in questi anni ha fatto di necessità virtù: di fronte al bisogno di doversi rinnovare per poter proporre al pubblico volti nuovi da affiancare agli “intoccabili” del cast originario (al netto dell’uscita di scena di Terence Hill nel 2022, voluta da lui stesso), ha iniziato a mettere in pratica una propria “rigenerazione”.

Un po’ come in Dr. Who: quando il protagonista sente che il suo tempo sta per terminare, cambia volto rigenerandosi e trasformandosi letteralmente in un’altra persona, facendosi circondare da nuovi compagni e compagne d’avventura. Un’idea geniale, che funziona ormai da sessant’anni: perché, allora, non dovrebbe funzionare con Don Matteo?

© Virginia Bettoja

La fiction di Raiuno e RaiPlay continua ad essere tra le più apprezzate dal pubblico della tv pubblica grazie anche al fatto di essere riuscita a trovare l’equilibrio tra la novità e la tradizione (equilibrio replicato in Che Dio Ci Aiuti, sempre targata Lux Vide). Le “rigenerazioni” di Don Matteo non sono mai rivoluzioni, ma adattamenti, aggiustamenti che vanno a dare nuovi colori alle storie pur non cambiandone mai la sostanza.

Se il passaggio di testimone tra i protagonisti Terence Hill e Raoul Bova qualche scontento l’ha sicuramente fatto, è altrettanto vero che don Massimo fin dalla tredicesima stagione è entrato in punta di piedi nel racconto, riuscendo a vestire al meglio il format della serie stessa, che richiede che il parroco abbia un fiuto investigativo tale da permettergli di risolvere il caso di puntata prima delle Forze dell’Ordine.

© Virginia Bettoja

La vera rigenerazione di Don Matteo in queste stagioni riguarda però chi circonda il protagonista: se i “compagni” rimangono sempre gli stessi (Cecchini, Natalina e Pippo), a cambiare sono i volti che rappresentano la giustizia e la linea sentimentale della serie.

Pensate ai Capitani, ai Pm e agli ospiti della canonica: quanti volti si sono succeduti in quattordici stagioni? Davvero tanti: Don Matteo costruisce per questi personaggi archi narrativi della durata di poche stagioni, permettendo così di svecchiare la serie al momento giusto, dandole quell’impressione di novità che ne può giustificare la messa in onda.

È così anche in questa quattordicesima stagione, con l’ingresso di un nuovo Capitano, di una nuova Pm e di un bambino in canonica. La rigenerazione viene rispettata, ma il pubblico non viene tradito. Don Matteo riesce infatti, sul fronte delle storie, a mescolare le carte senza cambiarle veramente, proponendo ad ogni parziale cambio di cast dinamiche che ormai i fan sanno a memoria. Dall’arrivo del nuovo Capitano ai dissapori iniziali con Cecchini (che poi diventa fondamentale nel far sì che il Capitano trovi l’amore con la sua amata), dal fastidio per le indagini parallele del sacerdote alla commedia degli equivoci: Don Matteo cambia per non cambiare mai.

Il pubblico lo sa, è consapevole di non stare guardando una nuova serie, ma una serie che si rigenera, modifica qualcosa di sé (il cast, appunto, ma anche i titoli di testa e la colonna sonora, o addirittura la location) e sfruttare l’apparenza di un cambiamento che non c’è. Gli inglesi cambiano Dottore da sessant’anni, gli italiani sono sulla buona strada per non cambiare parroco.