Dimmi Quando: il primo talk Queer targato Diego Passoni. Tante idee di un telemaniaco che vuole “farsi” in tv
Dimmi quando è il primo programma interamente queer della tv italiana condotto da Diego Passoni. La recensione di TvBlog
Diego Passoni nasce e paga il mutuo in radio, ma ci prova da sempre a trovare il suo Posto al sole in televisione, di cui è letteralmente drogato. Ha fatto l’opinionista all’Isola dei famosi e a uMan Take control, lo speaker a X Factor, l’inviato a Scorie, il valletto a Cristina Parodi Live.
Ora, evidentemente sul solco di quell’esperienza su La7, ha avuto il suo premio fedeltà da telemaniaco in Dimmi quando, il nuovo access prime time autoprodotto di Deejay Tv, in onda ogni sera alle 20.00 dal lunedì al giovedì. Va riconosciuto alla rete musicale, quando autoproduce, di farlo con una grande cura dei dettagli e dando una forte identità ai suoi prodotti.
Dopo quel gioiellino di Occupy Deejay, che ha dato un’anima generazionale al daytime di rete, ora Dimmi quando reinventa in salsa queer la ritualità del talk show. Passoni riparte da quello che ingurgitava da piccolo come telespettatore e lo riattualizza con pungente ironia.
Nel programma è un po’ annunciatore semiserio, un po’ conduttore sopra le righe, e alterna simpatici rvm in pillole a interviste sul divano polacco ai suoi amici alternativi dello spettacolo. Quando ha Candida Morvillo le chiede senza peli sulla lingua:
“Stiamo qui a fare nomi e cognomi di quelle che l’hanno data per fare spettacolo. Visto che io vorrei fare Sanremo hai qualcuno da consigliarmi da farmi?”.
Il vero politicamente scorretto oggi è gay, più che Cattelan insomma? Alcune idee sono brillanti, come l’intervallo sui letti disfatti o il santo del giorno in salsa progressista , altre più telefonate (vedi la parodia dei tutorial di Valentina Ricci). Alla fine il leit motiv di Dimmi quando è uno solo, inneggiare alla diversità e promuovere le pari opportunità anche in tv.
Da oggi l’omosessuale (fortemente) dichiarato non fa solo colore come inviato e voce narrante (i primi a rompere le righe sono stati Vladimir Luxuria e Costantino Della Gherardesca), ma dimostra di voler condurre a tutti i costi e connotare un programma tutto suo. Sono conquiste civili anche queste, anche se bisognerebbe trovare chiavi alternative al macchiettismo (vedi il pur esilarante verso alla sigla di Non è la Rai) per fare veri passi in avanti.