Di padre in figlia, Francesca Cavallin a Blogo: “Pina ha una funzione maieutica. Seconda stagione? Difficile raccontare la fluidità di oggi”
Blogo ha intervistato Francesca Cavallin, interprete di Pina in Di padre in figlia, per parlare con lei del suo personaggio, del ruolo della donna nella fiction italiana e della sua passione per l’arte
In Di padre in figlia, di cui questa sera alle 21:25 Raiuno manda in onda l’ultima puntata, interpreta Pina, prostituta che riesce ad aprire un suo negozio di sartoria per affrancarsi da un difficile passato, stringendo amicizia anche con la moglie di uno dei suoi clienti. Ma Francesca Cavallin, oltre alla recitazione, nutre anche un’altra grande passione, quella per la storia dell’arte.
A poche ore dal finale della miniserie di Raiuno, Blogo ha contattato l’attrice veneta per chiedere come abbia lavorato sul suo personaggio, ma anche per chiederle la sua opinione sull’importanza che ha la tv nel dare il giusto spazio all’universo femminile.
Inoltre, abbiamo parlato anche dei suoi esordi legati al mondo dell’Arte ed al suo desiderio di condurre ancora un programma a tema oltre che, ovviamente, della possibilità di rivederla nei panni di Bianca nella prossima stagione di Un medico in famiglia.
Il personaggio di Pina, ad inizio della miniserie, rischia di rappresentare uno stereotipo, invece nel corso degli episodi si dimostra anche più determinata e coraggiosa delle protagoniste, arrivando anche a partecipare al Rischiatutto e fino a diventare la coscienza degli altri personaggi, soprattutto per Franca (Stefania Rocca). Lei come si è avvicinata a questo personaggio e come l’ha costruito?
“Innanzitutto, il Rischiatutto di Mike Bongiorno è un regalo anche personale, perchè l’unica coppa che ho a casa mia è quella che ho vinto a Il Migliore (quiz condotto da Bongiorno nel 2006 su Rete 4, ndr), ed è una delle tante coincidenze mie con la Pina. Quando ho letto la sceneggiatura, ho colto la sensibilità con cui Cristina Comenicini e le sceneggiatrici hanno colto lo spiritus loci di Bassano del Grappa. Io sono di Bassano, ovviamente non ho vissuto in città negli anni della fiction, ma tutto il resto l’ho vissuto tramite le narrazioni di mia mamma, mia nonna, le mie zie. Girare per me è stato quasi un deja vù. Mi ha colpito come siano riuscite a cogliere lo spirito di quei tempo, al netto delle polemiche che stanno imperversando nei quotidiani veneti negli ultimi giorni (ride)…”
Di che polemiche parla?
“Numerosi veneti si sono lamentati sia della cadenza nella recitazione, ma questo è il minimo, ma soprattuto della rappresentazione che viene fatta di loro nella serie. Trovo che sia una visione molto parziale, innanzitutto perchè la serie non è finita, e poi lo trovo molto maschilista, perchè si sono lamentati di come sia stata rappresentato Giovanni Franza (Alessio Boni), figura emanatrice di tutta una serie di problemi che poi impattano nella vita delle donne protagoniste. Dispiace… Guardarsi allo specchio è sempre un esercizio faticoso, che richiede un esame di coscienza, un’apertura mentale per capire il perchè sono state rappresentate delle situazioni che assicuro, ovviamente non in tutte le famiglie, esistevano, non solo in Veneto. Ci si è lamentati dello stereotipo del veneto ubriacone, ma non è vero: si beve, è un dato di fatto, ci sono delle statistiche, il che non vuole dire che è stata data una visione parziale della realtà. Si è cercato di raccontare una storia bella, e poi tra l’altro Giovanni è un esempio positivo di riscatto, tenacia e sacrificio: è vero che ha dei lati oscuri, come tutti, ma è un esempio di una persona che ce l’ha fatta, così come ce ne sono tante in Veneto. Ma non voglio soffermarmi troppo su queste polemiche, che considero un po’ parziali e miopi.
Per quanto riguarda Pina, non l’ho mai vista come un personaggio banale, tutt’altro, Mi ha colpito come in lei risieda una sorta di saggezza che proviene dal basso, che non deriva dall’educazione, ma dal buon senso, dalla vita vissuta, da una persona che ha deciso come dirigere la propria esistenza. Tutto ciò che regala alle altre donne è qualcosa di genuino, di verissimo, che proviene da un’esperienza sofferta, articolata e complessa. Secondo me lei ha una funzione maieutica per le altre donne, soprattutto per Franca ed Elena (Matilde Gioli, ndr). Riesce a tirare fuori, in modo aristotelico, ciò che serve loro per dare una visione di se stesse autentica ed iniziare un percorso di emancipazione. Tutte le scelte che fa sono indirizzate verso qualcosa di squisitamente femminile. Per costruire questo personaggio non ho fatto altro che ispirarmi alle donne che ho vissuto nella mia vita e che potevano avere delle attinenze con lei, sia nelle movenze che nel modo di parlare e soprattutto della parabola che ha fatto. E’ stato uno degli esercizi più belli a cui mi ha portato questa serie. Ritornare alle proprie origini ed alle persone che hai conosciuto è fantastico, è una sorta di riscatto per tutte le donne che in parte mi hanno aiutata ad essere la donna che sono oggi”.
Un personaggio come questo, nel 2017, avrebbe faticato ugualmente a trovare la propria strada ed ad avere le stesse opportunità… In altre parole, le cose sono cambiate oggi?
“In parte sì, in parte no. Ce la vede la Pina con Facebook? Rifarsi una reputazione oggi, nel momento in cui si viene a sapere di un passato non perfettamente ortodosso ed umiliante per una donna… La salita sarebbe stata impervia. Poi è vero che ci sono tante opportunità dal punto di vista lavorativo, ma sono difficilissime. Ho visto dei documentari su delle donne che cercano di rifarsi una vita dopo essere stata prostitute: è difficilissimo. Sono situazioni di schiavitù. Nel paradosso, il bordello, pur essendo una schiavitù anche quella, forse -ma non voglio entrare in altre polemiche- le tutelava. Essere in mezzo alla strada credo che sia terribile, sono esposte a qualsiasi cosa, è una schiavitù. Di certo sono cambiati certi aspetti, ma non è migliorata la situazione. La Pina nel 2017 avrebbe fatto fatica ad emanciparsi, e ripeto, con Facebook non immagino neanche!”
La miniserie si conclude negli anni Ottanta: se dovesse immaginarsi Pina nel 2017, dove la vedrebbe?
“(ride) Mah, io la vedo che ad un certo punto si è stufata anche della moda, e la vedo una viaggiatrice solitaria, che prende, va e scopre il mondo, vede tutto ciò che non ha visto prima, fa tutte le esperienze che voleva fare, conoscere posti, persone e culture diverse. E’ una donna estremamente curiosa, che non vuole avere nessun tipo di legame in nessuno posto. In virtù di questo la vedo come un’esploratrice di se stessa e soprattutto degli individui. Magari ogni tanto farebbe qualche viaggio con la Franca, ma soprattutto da sola, ci sta bene con se stessa, il suo motto sarebbe ‘Mai paura’”.
In virtù sempre del fatto che la serie si chiude negli anni Ottanta e dei buoni ascolti ottenuti, secondo lei sarebbe possibile pensare ad una seconda stagione, che segua le vicende dei Franza ed eventualmente di una nuova generazione fino ai giorni nostri?
“Quando ho letto la sceneggiatura, l’ho letta come qualcosa di chiuso. Per me questa serie è corretta in questi termini, ha descritto una parabola, descrivere quella dagli anni Novanta ad oggi sarebbe sicuramente molto interessante. Il punto è che non so se abbiamo la giusta distanza per riuscire ad indagarla, è quello che accade con la contemporaneità. Me lo chiedo anche in riferimento all’arte ed alla moda: a partire dai primi anni Duemila ad oggi non è solo questione di essere troppo vicino, ma anche il fatto che il mondo sia sensibilmente cambiato, tutto è talmente veloce, la cosa si vede ad esempio nella moda. E’ difficile al giorno oggi stabilire degli stilemi dei primi anni Duemila: tra cinquant’anni non so se riusciremmo a definire gli stilemi degli anni Duemila… Con la globalizzazione, è tutto così frenetico che forse facciamo fatica a definirlo. Stiamo vivendo un momento di fluidità dal punto di vista dei generi e dei ruoli: con il crollo delle ideologie, è tutto molto più fluido, anche dal punto di vista del pensiero. Negli anni Sessanta c’è stato il femminismo; negli anni Settanta ci sono stati gli Anni di piombo; negli anni Ottanta c’è stato l’androgino, le donne hanno mutuato degli stilemi di moda maschili, come la spallina ed il tailleur doppio petto, inizia a ‘boxare’ con l’uomo. Dagli anni Novanta in poi sono successe tante altre cose, sarebbe interessante analizzarle, ma non so se riusciremmo a farlo”.
Nelle fiction Rai degli ultimi anni le donne sono al centro del racconto, così come la loro lotta per ottenere gli stessi diritti degli uomini ed avere maggiore spazio nella società. Secondo lei, nel racconto televisivo di oggi, questa tendenza è più utile alle donne per avere maggiore consapevolezza dei propri diritti e del proprio ruolo o agli uomini per riconoscere alla donne il loro stesso valore?
“Questo processo è iniziato negli anni Novanta. In questo senso Eleonora Andreatta, direttore di Rai Fiction, sta facendo un lavoro encomiabile. C’è sicuramente dell’attenzione verso temi che sono molto importanti e di grandissima attualità. Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro Paese si distingue per dei dati negativi sul femminicidio, di strada ce n’è ancora da fare, soprattutto per scardinare nella mente di molti uomini alcuni clichè sulla donna, per non parlare della parità di genere nel lavoro. Come mi è già capitato di dire, credo che non possa esserci una vera emancipazione femminile se questo non accade anche nella testa dell’uomo. E’ necessario il dialogo, che i due generi si parlino e si conoscano meglio in un periodo di fluidità dei ruoli. Le donne oggi sono costrette a lavorare: non solo lo fanno per ambizione tra l’altro assolutamente lecita, ma è necessario in grande parte delle famiglie italiane che ci siano due stipendi. Questo fa esplodere dei meccanismi all’interno dei nuclei familiari per cui servono cambiamenti. Ci sono molti uomini che sono disposti a farlo, ma ci sono ancora molti retaggi, soprattutto tra gli uomini dai 50 ai 70 anni. La televisione deve parlare ad entrambi i sessi, perchè non può esistere emancipazione femminile se non c’è il suo riflesso nella mente dell’uomo”.
Lei sarà nella giuria del Premio Penisola Sorrentina. A tal proposito ha dichiarato che i premi servono a far sistema in Italia: ma quali sono gli altri punti di forza che devono fare sistema?
“Il fatto che bisognerebbe giocare in squadra e capire che l’obiettivo comune, se si raggiunge in tanti, fa bene a tutti. Invece noi abbiamo un po’ la mentalità del proprio orticello. E’ la storia del nostro Paese, abbiamo un senso del campanilismo nel nostro costume. Bisogna capire che bisogna correre tutti insieme per fare sì che questo sistema funzioni. Siamo molto lontani da questa visione: è positivo che numerosi attori si battano per alcune lotte legittime, bisogna supportarsi anche tra maschi e femmine nel nostro lavoro, anche per quanto riguarda i compensi… Bisogna fare squadra, auspico di poter esportare le cose buone del nostro Paese nel mio settore, anche se questo richiede l’uso della lingua inglese, a parte dei casi eccezionali come Gomorra, in cui se togli la lingua originale perdi il 60% della forza del racconto. E poi cercare sempre di più, ma vedo che questo processo è già iniziato, di esportare noi le nostre bellezze prima che sia qualcun altro a raccontare la vita di Leonardo Da Vinci o di Caravaggio. Il nostro patrimonio non è appannaggio di pochi accademici, smettiamola di pensare che sia blasfemo fare soldi attraverso la cultura e l’arte”.
La sua conoscenza e passione per l’arte è nota: è laureata in Storia dell’Arte Contemporanea ed ha condotto in passato dei programmi a tema. Considera quell’esperienza conclusa e come considera lo stato dell’arte in televisione?
“Io non vedo l’ora di ricominciare a parlare di Storia dell’Arte in televisione, è uno dei miei più grandi desideri per il mio futuro lavorativo, ci credo. Per quanto riguarda lo stato dell’arte in televisione, dovevano arrivare gli australiani perchè noi riuscissimo a produrre cose degne del nostro patrimonio! (ride) Io sono felice di quello che sta accadendo, soprattutto su Sky Arte, e sosterrò sempre la bontà di quello che vedo, era ora! Non ho mai capito perchè non ci fosse una Cinecittà legata al mondo dell’arte a Firenze, così come c’è una Cinecittà legata allo spettacolo a Roma. C’è ancora molto da fare, però, soprattutto sulla tv generalista. Apprezzo lo sforzo fatto da Piero ed Alberto Angela nei confronti di una comunicazione divulgativa. Mi piacerebbe che ci fossero anche altri spazi… Tante volte mi sono sentita dire che l’arte in tv non fa ascolto. Poi però ti rendi conto che la gente ha una grande sete di arte ed più interessata di quanto si pensi. Bisogna fare questi programmi non solo bene, ma in maniera più accattivante, c’è l’impressione che si parlino sempre addosso. Si crea un equivoco per cui il sabato e la domenica i musei non sono pieni. Vedo dei cambiamenti: sono stata al Mudec di Milano con i miei bambini, a Palazzo Reale, ho visto che c’erano delle famiglie… Il fatto è che bisognerebbe sradicare questa idea che la Storia dell’Arte sia noiosa, difficile da capire e da approcciare: bisogna fare una divulgazione più affascinante, più efficace. Da testimonial e sostenitrice del Fai, lo riscontro ogni volta che c’è un’apertura speciale: la gente fa la coda per vedere questi posti tutelati dal Fai. L’idea del Governo di mettere degli stranieri come direttori dei musei è un’iniezione di energia, l’arte è una delle leve più importanti del nostro Paese”.
Chiudiamo con una domanda classica: che progetti ha per il prossimo futuro e, soprattutto, la rivedremo in Un Medico in Famiglia 11?
“Per quanto riguarda i progetti futuri, siamo ancora in fasi embrionali, per cui non mi sento di avanzare nessun tipo di conferma o smentita. Per quanto riguarda il Medico in Famiglia, che mi risulti no, non mi sembra che Bianca tornerà…”
Se dovessero chiederle ufficialmente di interpretare ancora Bianca, accetterebbe?
“Diciamo che non tradirei Bianca. E’ stato un personaggio molto bello. Molto dipende dalla scrittura, ma non mi piace tradire i miei personaggi, anche perchè me li sono costruiti con fatica, dedizione ed amore. Poi per Bianca ho un debole. Mi ha dato molto e penso di averle dato molto anche io”.