Designated Survivor, l’uomo comune Sutherland contro i poteri forti (ed il qualunquismo)
Designated Survivor racconta come un uomo comune si ritrovi a diventare Presidente degli Stati Uniti, senza cadere in trappole retoriche ed usando bene il thriller ed il political drama per dare ritmo alla serie tv
Kiefer Sutherland ha fatto dell’interpretazione dell’eroe americano il punto forte della sua carriera televisiva. Dopo essere stato Jack Bauer in 24 (del cui sequel, 24: Legacy, sarà produttore esecutivo ma non comparirà) e dopo la sfortunata parantesi di Touch, l’attore è ora pronto a riprendersi il ruolo di colui a cui spettano decisioni difficili ed impopolari in Designated Survivor, la nuova serie tv della Abc che in Italia sarà disponibile su Netflix dal 6 novembre.
Creato da David Guggenheim, lo show include tutti gli elementi tipici dei political drama, con un pizzico di suspense e di thriller che danno al telefilm la giusta azione ed il ritmo quasi perfetto. Ambientata a Washington, la serie tv ha come protagonista Tom Kirkman (Sutherland), a capo del Dipartimento della Casa e dello Sviluppo Urbano, uno dei membri del Gabinetto del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Durante il discorso sullo Stato dell’Unione, Tom e sua moglie Alex (Natascha McElhone) vengono portati in un luogo non ben identificato, dal momento che Tom, per quell’occasione, è stato scelto come “sopravvissuto designato”, figura realmente esistente negli Stati Uniti e che rappresenta un componente del Governo americano che, in caso di attentato al Presidente ed alle più alte cariche, ne deve prendere il posto per garantire la linea di successione.
Cosa che, effettivamente, accade: il Campidoglio subisce un pesante attacco terroristico, in cui il Presidente e tutto il vertice del Governo resta ucciso. Tom diventa così, involontariamente, l’uomo più importante d’America, costretto a prestare giuramento in tuta ed occhiali ed a diventare, nel giro di pochi istanti, Presidente degli Stati Uniti.
Nel suo nuovo ruolo, Tom non deve solo formare il suo team, che vedrà coinvolti il Vice Capo di Gabinetto Aaron Shore (Adan Canto), l’ex Capo di Gabinetto del dipartimento del protagonista Emily Rhodes (Italia Ricci) e lo speech writer Seth Wright (Kal Penn), ma dovrà anche lavorare per garantire ai cittadini che il responsabile dell’attacco sia catturato. Per farlo, dovrà decidere se gli Stati Uniti dovranno entrare in guerra, dovrà scontrarsi con Governatori e forze dell’ordine e, soprattutto, capire chi sia davvero dalla sua parte o no, mentre l’agente dell’Fbi Hannah Watts (Maggie Q, Nikita) dà via ad un’indagine tutta sua, scoprendo delle rivelazioni che potrebbero cambiare l’esito delle azioni di Tom.
E’ chiaro fin da subito che Designated Survivor vuole rivolgersi all’uomo comune, e raccontare la politica attraverso i suoi occhi: la serie analizza come una persona, competente ma senza ambizioni politiche o sete di potere, debba affrontare complotti, strategie e voci contro di lui senza perdere di vista il suo obiettivo, ovvero quello di fare giustizia. Si potrebbe pensare che lo show vuole essere l’ennesimo modo per deridere una classe politica incapace di fare il suo lavoro, ma Designated Survivor non cade nella trappola del qualunquismo e fa di più.
Accanto alla visione idealistica che Tom ha della giustizia e della Presidenza, infatti, lo show supera i confini delle trame di Palazzo e racconta un complotto che esce fuori dalla Casa Bianca e coinvolge tutto il Paese. Ci sono i ragionamenti interni alla House of Cards, per intenderci, ma anche le riflessioni geopolitiche di Homeland. Il tutto, ovviamente, semplificato per un pubblico più ampio e con un tocco di familiarità rappresentato dalla moglie e dai figli del protagonista.
Ed è proprio Sutherland a dare quell’aggiunta necessaria a Designated Survivor per diventare un telefilm che riesce a catturare il pubblico: proprio come in 24, l’attore si è ritagliato un ruolo atipico, quello di un personaggio fuori dagli schemi, costretto a ragionare diversamente dagli altri e che, per questo, attira la simpatia del pubblico. Forse è tutto troppo scritto e didascalico, per certi versi, ma in un periodo storico in cui la politica fornisce molto materiale alle serie tv, Designated Survivor aggiunge del suo, non limitandosi ad “annusare” la contemporaneità, ma giocando con i luoghi comuni del thriller, regalando al pubblico azione e colpi di scena ben inseriti in una trama fluida e non chiassosa.
Bene ha fatto la Abc, che ha ordinato la serie senza passare per la realizzazione del pilot (strategia che le ha permesso di superare un altro progetto, con lo stesso titolo, della Fox) e bloccando Sutherland: per un network che sta faticando a trovare nuove serie che siano bene accolte dal pubblico, è proprio utile avere un Presidente con i tratti dell’eroe americano.