Daria Bignardi, l’infinito, l’ansia e la voglia di costruire in un pianeta libero
Il viaggio di Daria Bignardi nella direzione di Rai3 e oltre
La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria di accettare di fare il direttore di rete. Capita che Antonio Campo Dall’Orto ti proponga di dirigere una rete, la terza rete e che tu dica di si. Forse di getto, senza pensarci troppo, un po’ come raccontano i testi di Sergio Bardotti nelle canzoni dell’album del 1976 di Ornella Vanoni, su musiche di Vinicius de Morales.
Poi ci si trova a mettere insieme un palinsesto, che è una delle cose più belle e più difficili che ci possono essere e lo si fa dopo essere stato un giocatore in campo. Qualcosa che assomiglia a tutto questo è capitato a Daria Bignardi, giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva che è passata da programmi di divulgazione culturale, al primo (e veramente unico) Grande Fratello, transitando per il suo programma forse più celebre, ovvero le Invasioni Barbariche, fino appunto alla nomina alla direzione di Rete 3.
Quello che appare dall’esterno è la squisita voglia di cambiare le carte, cosa questa normale per un nuovo direttore di rete, in una ottica però di continuità rispetto ai capisaldi della storica rete nata con Angelo Guglielmi. Ovviamente chi lavora pure sbaglia, pensiamo al Politics di Gianluca Semprini che però non faceva poi tanto meno dell’attuale Carta bianca sera, ma i tentativi appaiono -quasi- tutti improntati verso un desiderio comune, quello cioè di raccontare “l’altro” e comunque rappresentare la società nei suoi lati meno raccontati. I titoli ed i protagonisti affiliati alla Rai 3 bignardiana che si possono sommessamente citare sono gli Operai di Gad Lerner, i programmi di Pif, Concita De Gregorio, Murgia, Stato civile, Sono innocente, fino ai Ragazzi del Bambino Gesù, quest’ultimo vero esempio di Servizio Pubblico “Attivo”, abbinati ai capisaldi della rete: Che tempo che fa, Chi l’ha visto, Mi manda Rai3, Report.
Daria Bignardi ha cercato e siamo certi cercherà ancora, di imporre al tracciato quotidiano della terza rete del servizio pubblico radiotelevisivo, le orme di una società multicolore che non si ferma al suo incarnato, ma ne scava -il più delle volte concretamente- la sua dimensione più sociale ed umana, raccogliendone quei tratti che gli altri canali, il più delle volte necessariamente, devono trascurare.
Lo sguardo dunque di un direttore di rete, dovrebbe essere quasi per forza rivolto verso il futuro, andando oltre la siepe, immaginando cosa ci può essere dall’altra parte, un pò come fa Leopardi nel suo Infinito, per poi proporlo al proprio pubblico. Daria Bignardi ha cercato di farlo, nel bene e nel male, magari con un po’ di ansia, uno stato d’animo che conosce bene la protagonista del suo libro (in uscita il prossimo anno) dal titolo Storia della mia ansia.
Daria Bignardi fa dire alla protagonista del suo romanzo, una musicista affermata che fa carriera proprio grazie alla sua ansia (leggiamolo in un brano tratto dal copertinario per i librai Mondadori) :
Prima di ammalarmi credevo di aver capito come usare l’ansia. Ci ho messo anni a rendermi conto che l’inquietudine che sentivo era una forma di quell’ansia che avevo odiato in mia madre, ma già da bambina avevo intuito che quella tensione costante poteva trasformarsi in energia. Era stata l’ansia a farmi stravincere il concorso di Albenga a dodici anni, entrare all’ Accademia di Imola, comporre a sedici il primo pezzo, convincere Menotti a farlo eseguire a Spoleto. Per dare tregua ai miei pensieri dovevo continuamente far qualcosa, creare, mettermi alla prova. Quando le date dei concerti iniziarono a infittirsi seppi che il mio modo amplificato di sentire poteva creare qualcosa di bello, da condividere con gli altri. Era stata l’ansia ad aver generato la mia musica, il mio lavoro, la mia vita. Ma ora? Ora che il corpo si è inceppato? Forse non si può sentire troppo. Forse così ci si consuma, ci si ammala, si muore. La mia ansia creativa è diventata distruttiva? Ora non so più cosa penso, e neanche chi sono.
Vivere macinando i giorni, che a loro volta si mangiano i giorni con una velocità alle volte sorprendente, in una situazione diversa rispetto a quella comune, ti fa guardare alla vita con un occhio diverso, arrivando ad immaginare oltre quella siepe qualcosa che gli altri non vogliono o forse più semplicemente non possono vedere. Daria Bignardi prova a farlo, immaginando un pianeta “libero” che glielo permetta ancora.