Danza con me 2023 ritrova l’eleganza del teatro e la porta tutta in tv
Danza con me 2023 ritrova l’eleganza, la pulizia e l’arte delle prime edizioni: la tv torna a esaltare il cuore teatrale dello spettacolo. E per il prossimo anno suggeriamo un crossover Roberto Bolle – Alberto Angela per “Danza con MeRaviglie”…
L’edizione 2023 di Danza con me ritrova l’eleganza e la classicità del teatro, senza rinunciare al mezzo televisivo. Anzi.
Dopo qualche annata in cui le ibridazioni avevano finito per ‘erodere’ la bellezza della danza sul palco – alla ricerca di una modernità che però arrivava a ‘tagliare i piedi’ dei danzatori -, questa edizione di Danza con me cerca di tenere separate danza e spettacolo, tornando ai fasti delle origini, senza per questo slegarli in due binari separati. Sono tre i fili che gli autori e la direzione artistica di Bolle cercano di intrecciare: la conduzione – affidata agli ottimi Cristiana Capotondi e Luca Zingaretti, sempre un passo indietro, misurati, precisi, quasi sottovoce -, l’alleggerimento – con Paola Minaccioni e Virginia Raffaele – e la danza, in tutte le sue forme ma con un unico filo conduttore, ovvero l’eccellenza di Roberto Bolle. E quando Bolle si dedica alla danza, senza farsi distrarre da conduzione, siparietti e pistolotti, è solo un piacere.
La danza torna protagonista
Il tratto distintivo di questa edizione è che la danza torna televisivamente protagonista. Si vede, quasi si tocca, avvolge lo spettatore, si lascia guardare in tutti i suoi dettagli. Sembrerà strano, ma negli ultimi anni si faceva fatica a vedere i piedi dei danzatori, a seguire i movimenti del corpo, le coreografie, le linee, in nome di un ‘ritmo televisivo’ che mortificava l’anima stessa dello spettacolo. Che non è uno show, ma è intimamente teatro, con tutte le potenzialità visive – e i limiti – della ripresa televisiva. La bravura sta nel superare i limiti e portare a casa la potenza del movimento, della coreografia, della scena, dei costumi al di là del piccolo schermo. Cosa che le primissime edizioni erano riuscite a cogliere, ma che poi si era persa. La si ritrova, invece, in tutti i quadri di questo spettacolo, a partire dai titoli di testa – ottimamente costruiti e con tanto di messaggio anti-bullismo -, dalla bellissima coreografia di apertura al suggestivo pezzo con Dardust, passando per l’Onegin e l’omaggio a Bosso, arrivando al medley con Ghostbuster, La Famiglia Addams, Rocky Horror Picture Show che ha visto la partecipazione di un Elio da Teche, ma che ha saputo coinvolgere tutto il cast, incluso un insolito Luca Zingaretti.
Ogni momento di danza, dunque, fa storia a sé stante e riesce a stupire: non è poco. Ed è il cuore stesso dello spettacolo.
La costruzione dello show
L’alleggerimento funziona meglio nei brani musicali che negli inserti ‘sketch’ costruiti per Minaccioni e Raffaele, il più delle volte telefonati ed estranei al contesto. Contesto che resta ‘freddo’, ma che è bene che sia così: nelle ultime due edizioni si è cercato di ‘riscaldarlo’ con conduzioni ‘sopra le righe’, pensate proprio per dare più ‘naturalezza’ allo spettacolo, con esiti però stranianti. ll pubblico fatto di danzatrici cerca di restituire un po’ di calore, ma resta inevitabilmente una cornice altrettanto studiata. Questo è uno spettacolo di eccellenza e di eleganza, un certo ‘distacco’ e una certa freddezza le sono intrinseche. Forzarlo per renderlo quello che non è rischia di essere controproducente, come successo negli scorsi anni, con uno stridore che ha reso il prodotto un ibrido senza grande fuoco. Il ‘pop’ è nell’operazione in sé e non può essere nel racconto, tanto più che il protagonista non è ‘pop’. Di fatto si ha quell’effetto dei duetti da Pavarotti & friends: il gran tenore che cantava il pop era in sé ‘l’operazione culturale’, più della sua esecuzione, che ovviamente restava slegata dallo spirito della canzone. Qui, invece, si può mediare meglio e infatti ci si riesce, ancor di più se si prende coscienza del fatto che non si può forzare più di tanto la natura.
Quest’anno la scelta – e lo stile di conduzione – di Zingaretti e Capotondi è quasi sottovoce e ha funzionato. Funzionano un po’ meno i testi, anche quelli che introducono i quadri danzati, il più delle volte verbosi e resi digeribili solo dalla solidità interpretativa dei conduttori, che riescono a rendere credibile ogni blocco.
Testi verbosi, dunque, ma si riconosce un ordine nella costruzione dello spettacolo: introduzione, danza, alleggerimento, introduzione, danza, sketch… Un’alternanza che lascia spazio ai protagonisti, senza creare quell”ammuina’ che spesso viene usata come surrogato della leggerezza. Diciamo che siamo dalle parti di un ‘varietà’ teatrale, che ha le sue regole, che ha le sue rigidità e che ha bisogno di struttura, oltre che di talenti assoluti. Virginia Raffaele ribadisce di esserlo nell’omaggio a Monica Vitti.
Peccato per quel finale ‘mancato’ sull’omaggio a Bosso: dopo una coreografia di tale intensità su Rain, un compendio sul dolore del corpo che ‘litiga’ con la luce dello spirito, il pezzo sul Natale di Leo e Gerini (bravi, eh) ha un po’ l’effetto di un’unghia sulla lavagna. E dire che invece ‘Rain‘ sarebbe stata un’ottima chiusura, anche più del balletto a tre e della ‘morale della favola’ spiegata da Bolle direttamente al pubblico di Rai 1.
Si è respirato comunque un bel clima di partecipazione, di collaborazione, di scambio tra gli artisti in scena, anche se Bolle non ha mai rinunciato a ricordare chi è l’unico padrone di casa.
Danza con Me 2023, un plauso alla confezione
La pulizia è la chiave di questa edizione: l’abbiamo vista nell’alternanza delle parti, nel ruolo dei conduttori, nella definizione dei momenti di danza ed è anche e soprattutto nella confezione televisiva. Luci, scene, inquadrature, movimenti di macchina sono improntati alla nettezza dell’immagine, alla leggibilità del racconto, alla partecipazione del pubblico a quel che succede sul palco. Non c’è bisogno di fare ‘ammuina’, come già detto, per coinvolgere il pubblico quando hai peso, sostanza e qualità: se non ce le hai, allora puo darti agli effetti speciali.
Non c’è bisogno di fumi, di laser, di sporcare inquadrature e movimenti: c’è l’arte, facciamola vedere. E in questo Le Ballet Trocadero, che ha offerto uno momento di altissima classe e grandissima ironia, è stato un vero e proprio quadro.
Lo ‘pseudo’ metaverso, in questo senso, è apparso un di più, ma per lo meno breve e con uno ‘pseudo’ Elio biondo…
In chiusura, una proposta…
Se dovesse esserci una nuova edizione di Danza con me per il 1° gennaio 2024 proponiamo una leggera variazione. Visto che con Alberto Angela in scena cambia completamente il ritmo del programma – che diventa brioso, interessante, avvincente, capace di creare curiosità su ogni aspetto del balletto, dalla storia narrata alla tecnica utilizzata, e per di più senza perdere un briciolo di eleganza, anzi accentuandolo – si potrebbe pensare a un “Danza con MeRaviglie”, una sorta di crossover tra i due spettacoli, con Alberto Angela che costruisce il racconto e i testi intorno alle idee artistiche di Roberto Bolle.
E via di storia della danza, biografie dei coreografi, approfondimenti sulle tecniche e sulle scuole di ballo, sulle vicende dei teatri: ne nasce una serie potenzialmente infinita. Magari se ne parla l’anno prossimo, vero? Intanto si potrebbe far uscire un serio ‘making of’, perché di lavoro produttivo, organizzativo, tecnico e autoriale ce n’è tanto e i soli titoli di coda non bastano a rendere loro omaggio. In ogni caso buon anno a tutti.