Danza con me: Bolle non si discute, ma liberatelo dal Capodanno e dall’effetto hangar
Tante parole forse per coprire la durata tv più che per legare una narrazione che comunque procede per quadri: Danza con me emoziona coi corpi.
Se di Danza con me vediamo solo Roberto Bolle, allora c’è poco da dire. Bolle non si discute: quando balla si trattiene il fiato e si ammira. Punto. La conduzione non è il suo specifico, nonostante i vari tentativi di lasciargli spazio e parola, ma per questo gli viene ormai sempre affiancato qualcuno, che non è detto sia però alla sua altezza. In questa edizione ringraziamo per la presenza di Lillo, sopravvissuto al peso dei testi e riuscito a non cancellarsi per la ‘sacralità’ dell’evento. Ma ogni tentativo di dare un’unione narrativa al tutto e un’emozione diversa da quella della danza si perde in uno spazio così ampio e asettico come il set che da anni accompagna l’evento di Capodanno di Rai 1 e nelle tante parole consumate tra un quadro e un altro, giustificabili in una diretta che deve tempo di cambiare scena e artisti, meno in uno show iperstudiato, registrato e montato – e non all’ultimo minuto.
Certo, visivamente il set dà grandi opportunità e i quadri delle coreografie sono pensati per esaltare le possibilità del mezzo. Ma la televisione è anche, se non soprattutto, racconto: e lì il programma – dalla seconda edizione in poi a memoria – soffre per ritmo e contenuti, spesso giustapposti. La sensazione generale è quella di una freddezza figlia di una perfezione ricercata che neanche i momenti più leggeri riescono a sporcare (anche se, per parlare di perfezione, applausi finti e risate registrate, insieme a certi effetti sonori, chiedono vendetta). Ecco perché Lillo ha un valore particolare in questa edizione: ci prova a scalfire il ghiaccio, ma da solo può far poco. Eppure riesce a restare se stesso. Non è un caso se i sorrisi scattano sulle battute estemporanee, come quella di Ornella Vanoni che in un ‘backstage’ fintamente rubato confessa “Se mi piego non mi alzo più”. Lei a ‘anta’ anni e anche noi a casa, al solo pensiero.
Le parole spengono l’emozione della danza, l’unica a venir davvero fuori quando si esibiscono dei fuoriclasse dell’arte coreutica. C’è poco da fare, nonostante gli sforzi degli autori: il resto non scalda, neanche se si tratta della voce e della commozione di Serena Rossi. Questo calore difficile da raggiungere con la scrittura è una condizione quasi fisiologica per uno spettacolo che vuole amalgamare grandezze difficili di coniugare, che da una parte vedono l’eccellenza del movimento e delle coreografie e dall’altra un tentativo di narrazione ‘alternativa’. Non che non si possa ma l’equilibrio, come nei fouettè, è instabile, frutto di allenamento, di impegno, di sforzo. Difficile da trovare. In questa forma le parole sono sempre troppe: va bene introdurre per contestualizzare, ma il troppo distrae. E il ritmo è importante in tv, tanto quanto nella danza.
Quando le immagini stringono sui corpi in movimento, quando si guarda all’azione scenica più che alla ‘suggestione’ ricercata di luci e scenografie, allora l’emozione è totale, il coinvolgimento è pieno, lo show arriva al suo obiettivo: rendere la danza, nelle sue diverse forme, un contenuto da prime time. Paradossalmente tanta ricercatezza non esalta l’eccezionalità dell’evento: a mio personale avviso, la singolarità di un artista come Bolle – e dei suoi ospiti – emerge con più nettezza quando è ‘out of context’, si potrebbe dire. Ecco perché vedere Franca Leosini che introduce la storia di Manon Lescaut finisce per essere uno dei ‘quadri’ più interessanti, mentre la partecipazione di John Malkovich, tratta da un suo spettacolo teatrale – sembra guardare al mercato internazionale più che a quello italiano, per quanto il messaggio dello spettacolo e la versione violino e piano di Libertango di Piazzolla siano davvero notevoli.
Il cuore, però, finisce per perdersi, l’emozione è soffocata dal gelo diffuso, che rende evanescente anche Lundini (almeno fino al finale) e tutti gli altri ospiti ‘brillanti’ dello show. Sono loro a finire fuori contesto, tanto da diventare una stonatura. Capisco anche che la direzione artistica sia dello stesso Bolle, quintessenza della perfezione in tutto. E un programma come questo chiede studio, prove, decisamente impegno. Su fronte Bolle è apprezzabile la scelta di fare un passo indietro nella conduzione e lasciare spazio ad altri, senza comunque rinunciare a partecipare al racconto, non solo danzando, anche con un pizzico (abbondante) di didascalia principalmente legata al difficile momento delle arti e dei teatri.
Detto questo, Bolle che danza è patrimonio mondiale dell’umanità, poco da discutere. Il format di Danza con me, però rischia di diventare una prigione: sarebbe interessante recuperare un po’ dello spirito ‘sperimentale’ della prima edizione, totalmente focalizzata sulla danza e per questo magnetica. Magari si potrebbe correre il rischio di spezzare anche l”abitudine’ dell’evento del Capodanno: per quanto sia una produzione di pregio, per quanto riesca a raccogliere sempre un cast di primo piano, il pubblico tv si abitua a tutto, persino all’eccellenza una volta all’anno. Non basta l’evento per emozionare; in fondo basta Bolle che balla (e la coreografia con Virna Toppi sull’acqua resta nelle Teche).
In conclusione, però, la migliore analisi la fa Lundini al piano (che potete rivedere su RaiPlay): il miglior momento ‘scritto’ della serata. Buon anno. E buona danza a tutti.