Daniele Interrante – La sconfitta del Self-Made
O del Self-Oriented. O del Self-Made-Man(In-Italy). Ovvero la sconfitta di quelli che, comunque vadano le cose, dovunque li portino le mille e mille strade della vita, “sono sempre loro stessi”. Siamo alla sconfitta – decretata con uno sconvolgente gap, nemmeno si fosse trattato di Adolf Hitler vs Gesù Cristo – dicevamo la sconfitta, “Costa lo
O del Self-Oriented. O del Self-Made-Man(In-Italy). Ovvero la sconfitta di quelli che, comunque vadano le cose, dovunque li portino le mille e mille strade della vita, “sono sempre loro stessi”. Siamo alla sconfitta – decretata con uno sconvolgente gap, nemmeno si fosse trattato di Adolf Hitler vs Gesù Cristo – dicevamo la sconfitta, “Costa lo sa”, di chi si è sempre comportato cercando di rimanere se stesso.
Ed ecco fatto il mostro.
Il nostro caro Malaparte ci consegna un resoconto su un Daniele Interrante che è stato eliminato dall’Isola dei Famosi e che “Anche se non richiesto, fa un discorso parlando di sé in terza persona, come solo i veri grandi fanno”.
Tralasciando le considerazioni sulla statura – e fisica, e morale – sulla quale effettivamente abbiamo ben poco da dire o recriminare, ciò che cattura la mia attenzione è appunto l’innesco di questo discorso automatico post-elettorale post-traumatico post-orgiastico che prende vita dalla bocca del nostro caro Interrante come fosse stato colto da delirio.
Daniele Interrante parla di Daniele Interrante perché è a sé che sta dicendo certe cose, questo mi pare chiaro, anzi aggiungerei che è la base del discorso. “Rimani te stesso”, dice Daniele a Daniele, “Sono sempre rimasto me stesso”, dice Daniele al popolo sulle cui mani bizzose balla la sua carriera, “nel bene come nel male” (“finché morte non mi separi”, aggiungerei io). E qui inizia tutta una serie di dolorosi interrogativi.
La prima domanda che mi pongo è la seguente: che vuol dire esattamente essere se stessi?
Non essere ipocriti, mi si risponderà. Cercare di non mascherare il proprio carattere, il proprio background, le proprie pulsioni emotive di fronte agli altri. Non essere falsi, insomma. Ma tutto questo non vuol dire niente. Perché è aria fritta, perché – a mio modestissimo avviso – l’elemento mancante è anche l’elemento fondante. La giro a domanda: esiste qualcuno che sappia perfettamente di cosa sta parlando quando sta parlando di sé? Io dico che si può solo averne una vaga idea, e anzi aggiungo che chi dice di essere se stesso con tanto orgoglio in realtà non fa altro che schermarsi dietro a questo popolarissimo paravento del sestessismo prendendo la scorciatoia del “Io sono me stesso: prendere o lasciare. Comunque vada non sono falso”.
E veniamo alla Falsità. Il Male (in televisione) Supremo. Il cancro da cui fuggire perché pestifero, perché se ti dicono falso è come se ti stessero dicendo che porti sfiga. Non per niente sotto l’accusa di falsità Manuel Casella ci ha regalato uno stupendo momento di lacrime – ahimé sincere – e ancora la falsità è l’elemento scatenante delle più furiose liti tra i vari paladini della trasparenza che si sono succeduti nei reality ma più in generale sugli schermi televisivi.
Ma dico: che male c’è a recitare una sana pantomima? Siamo in tv, quello che vogliamo vedere sono i caratteri, nella loro complessità, nel loro ingarbugliarsi, nel loro compromettersi, nel loro contraddirsi.
Oppure è forse semplicemente più comodo rifugiarsi dietro se stessi?
Non so come vadano le cose. Io quando mi scopro a essere un altro sono sempre soddisfatto e pieno di uno stupore amorevole. E mi guardo da fuori con accondiscendenza e affetto. Proprio come un padre guarda il proprio figlio appena nato. E non pretendo che il mio prossimo sia se stesso, perché non pretendo che il mio prossimo conosca se stesso a tal punto da esercitare il proprio self pienamente e consapevolmente.
E poi, qualora questo mio prossimo riuscisse in questa impresa che ha del divino, finirebbe per somigliare a un mostro che vive di entropia, che mangia e respira se stesso, che di se stesso si nutre e che se stesso produce come escremento.
Ma più semplicemente la gente non sa che pesci pigliare quando si tratta di essere se stessi (eccezion fatta per Daniele e per tutti i vip che si professano sestessisti). E la gente fa benissimo, a non sapersi raccapezzare. Perché se ci prova, non sapendo quel che fa, inevitabilmente finisce per fingere.