Curon, la recensione della serie tv Netflix: bastano le buone intenzioni?
La recensione di Curon, la nuova serie tv di Netflix disponibile dal 10 giugno 2020 ed ambientata nell’omonimo paese dell’Alto Adige, dove si trasferisce una giovane madre con i due figli, che restano avvolto in un mistero che riguarda tutta la comunità
Le buone intenzioni bastano? Tra i mille interrogativi che Curon propone al proprio pubblico, tra misteri, passato oscuro e maledizioni, questo, forse, è quello che resta più in testa. Per la nuova produzione italiana Netflix, realizzata con Indiana Production e disponibile da domani, mercoledì 10 giugno 2020, l’azzardo è stato veramente alto: dare anche all’Italia una propria serie fantasy, sulla scia dei successi di Stranger Things e Dark.
Quel lago pieno di misteri
Curon, infatti, parte da un presupposto che più mistery non poteva essere: nell’omonimo paesino dell’Alto Adige, all’apparenza tranquillo e serafico, c’è il lago di Resia, noto perché da esso emerge un vecchio campanile, simbolo del vecchio borgo di Curon, travolto dalle acque del lago artificiale nel 1950 e che costrinse la comunità a spostarsi sul lato orientale della Val Venosta.
Quel campanile, nel corso del tempo, ha attirato numerosi turisti ma anche qualche leggenda, come quella secondo cui in alcuni periodi dell’anno si sentano suonare le sue campane (che in realtà sono state rimosso lo stesso anno dell’inondazione).
Da questa premessa parte il racconto: Anna (Valeria Bilello), nata e cresciuta a Curon, 17 anni prima era scappata, su ordine del padre Thomas (Luca Lionello), che voleva proteggerla da qualcosa più grande di lei. Ora, però, Anna torna a casa, insieme ai figli, gemelli eterozigoti: Daria (Margherita Morchio), ragazza dall’aspetto ribelle e tendente ad avere il controllo della situazione, e Mauro (Federico Russo), timido e profondamente segnato da un episodio che da piccolo gli ha creato un problema all’udito.
Inevitabili le difficoltà di inserimento nella comunità dei tre, con i due fratelli che si trovano subito a doversi scontrare con i loro coetanei e Daria fare amicizia con Micki (Juju Di Domenico), che scopre essere figlia di Albert (Alessandro Tedeschi), vecchia fiamma della madre ora sposato con Klara (Anna Ferzetti), insegnate del liceo che frequentano.
La tranquillità di Curon viene però disturbata quando Anna scompare nel nulla ed i suoi figli decidono di cercarla senza chiedere aiuto a nessuno. Una ricerca che svelerà loro -ed al pubblico- il passato della loro famiglia, il motivo per cui Thomas ha allontanato la figlia e quello che cela il lago di Resia. Un mistero che si espande a tutta la comunità e che rivela che nessuno, a Curon, può davvero dirsi solo ed al sicuro.
Della natura (sia del luogo che di ognuno di noi)
Curon, come ammesso dagli sceneggiatori stessi nella conferenza stampa dei giorni scorsi, è stato pensato partendo dall’ambientazione. Ed in questo, quel campanile che emerge dal lago, insieme ad una forte dominazione della natura che circonda il borgo abitato, la nuova produzione made in Italy di Netflix ha fatto centro.
Va subito detto, infatti, che la natura è protagonista della serie: non una semplice cornice, ma un ruolo di primo piano, a volte benevola, ma spesso soprattuto insidiosa e maligna, pronta a mettere in difficoltà l’uomo che osa sfidarla.
Il rapporto uomo-natura diventa così la colonna portante della serie, che nei suoi sette episodi affronta un viaggio nell’identità dei protagonisti e dell’istinto. Si fa bene a reprimerlo, o bisogna seguire la propria natura animale? Curon viaggia su questo binario, alimentato dalla consapevolezza che ognuno di noi ha dentro di sé due anime, ovvero due “lupi”: uno buono ed uno cattivo, che vogliono prendere il sopravvento.
Puntare in alto fa bene, ma si rischia di cadere
Come abbiamo detto in partenza, Curon da un punto di vista narrativo cerca di mantenere il percorso del genere mistery e fantasy. Per chi ha dimestichezza con il catalogo di Netflix, quindi, il pensiero andrà immediatamente ai già citati Stranger Things e Dark.
Ma Curon non ha né tutto il budget di queste due serie né la loro audacia. Piuttosto, commette lo stesso errore delle altre produzioni italiane Netflix (fatta eccezione per il bel Summertime), ovvero pensa che il brand della piattaforma basti ad essere sinonimo di serie cult ed evento. Ed, ahimè, non è proprio così.
Curon non inventa nulla di nuovo (non entriamo troppo nel dettaglio per evitare spoiler, ma di serie tv statunitensi che hanno sfruttato lo stratagemma narrativo che si vedrà lungo la serie ce ne sono state parecchie in passato), eppure a volte si crede di essere quell’innovazione che mancava. E nel farlo, non butta davvero il cuore oltre l’ostacolo.
Ma la sfida italiana al sovrannaturale deve continuare
Stroncare Curon senza mezzi termini, però, sarebbe sbagliato. Certo, non sarà la serie dell’anno ed ha alcuni difetti da sistemare, ma ricordiamoci che realizzare una serie sovrannaturale/fantasy non è cosa da tutti i giorni. Sovvertire l’ordine naturale delle cose, creando una mitologia ad hoc e rimanere credibili è una sfida a cui, se all’estero sono più abituati ad affrontare, in Italia non è all’ordine del giorno.
Negli ultimi anni ci sono stati dei tentativi che hanno avuto esiti altalenanti: grazie alla Rai abbiamo avuto Sirene (che ha declinato il genere sulla comedy) e La Porta Rossa (il cui successo lo si deve anche alla forte impronta crime), mentre Mediaset anni fa ci provò con Il Tredicesimo Apostolo e Sky più di recente con Il Miracolo.
Ora tocca a Netflix Italia che ha adattato il genere alle proprie esigenze e pensando ad una distribuzione mondiale instantanea. Questo vuol dire farsi riconoscere subito ed agganciare il pubblico nel minor tempo possibile, ma anche cercare un’impronta italiana che permetta alla nostra serialità di fare un ulteriore passo nel mercato straniero. Un passo che, con Curon, inciampa però nella neve di montagna e cade tra propositi non realizzati.