Cultura in tv, Silvia Bencivelli a Blogo: “Non chiamatemi divulgatrice. Il pubblico ha varie identità e chiede umiltà”
A parlare della cultura scientifica in tv, per la rubrica domenicale estiva di TvBlog, la giornalista e conduttrice di Memex Silvia Bencivelli
Quarto e penultimo appuntamento su TvBlog con la rubrica estiva Cultura in tv. Dopo aver chiesto qual è lo stato di salute di questo genere televisivo al Direttore di laeffe Riccardo Chiattelli e ai conduttori di Rai3 Pino Strabioli e Sebastiano Pucciarelli, abbiamo intercettato una professionista della comunicazione scientifica prestata alla televisione: Silvia Bencivelli. Oltre a curare una serie di collaborazioni per svariate testate giornalistiche, in parallelo al suo impegno come scrittrice e docente universitaria, la nostra intervistata ha lavorato a una serie di produzioni televisive del servizio pubblico, da Presadiretta a Cosmo fino al recentissimo Memex – La scienza raccontata dai protagonisti su Rai Scuola.
La nostra chiacchierata – avvenuta prima della Presentazione dei Palinsesti Rai – è stata molto dialettica e fuori dagli schemi istituzionali “prescrittivi”, proprio come la Bencivelli che ci ha tenuto a sottolineare il suo approccio da freelance al mezzo televisivo, non da referente di un canale o di una produzione nello specifico. E, soprattutto, ha giustamente insistito nel non essere definita – come ho cominciato a fare con lei, forse per abitudine quando si parla di cultura in tv, una divulgatrice:
“Non usare divulgazione con me. Io non faccio divulgazione, non l’ho mai fatta, è un modello che non mi appartiene e non mi è mai appartenuto. Divulgazione contiene in sé la parola volgo, vuol dire elevare il volgo. Come puoi pensare che nel 2016, l’era di Internet e dei social network, tu ti faccia chiamare volgo da me? Divulgazione implica un modello di comunicazione della scienza che parte dall’idea che hai un sapere difficile, lo rendi facile e lo passi a un pubblico ignorante. Questa è la cosa più lontana da me che esista. Io non credo nemmeno che esista un pubblico di ignoranti, a meno che non mi conceda di considerarmi ignorante anch’io! E poi è una questione di sopravvivenza: per come lavoro, se non rispettassi il mio pubblico non lavorerei nemmeno cinque minuti. Per di più, credo che si debba fare molta attenzione nel definire il pubblico come un affare granitico, monolitico e tendenzialmente ignorante. Se io scrivo o parlo di buchi neri il biologo è pubblico quanto la benzinaia”.
E allora come definiresti il tuo modo di fare cultura in tv?
“Come quello di una che fa la giornalista scientifica da 12 anni, dopo una laurea scientifica, e che ogni tanto fa cose legate alla comunicazione in senso lato. lo vengo dalla scienza, mi ritengo una persona di scienza, anche se non la faccio ma ne parlo. Però non la ritengo un sapere che debba imporsi sugli altri saperi con la pretesa di essere migliore. Questa è una differenza critica tra chi fa il mio lavoro e gli scienziati. La scienza per me è una delle tante forme del nostro sapere e della nostra cultura, uno dei vari modi per comprendere le cose e avvicinarsi alla realtà. Non parto dal presupposto della supremazia dello scienziato sul resto del mondo, un’idea che non funziona tanto. Quando si va votare il nostro voto è uguale per tutti. E in questa società servono gli autisti dell’ATAC come i biologi molecolari”.
Nella tua collaborazione con Rai Scuola, prima per Nautilus e poi per Memex, qual è stato allora il tuo approccio professionale?
“il mio lavoro ha presupposto la conoscenza della committenza, i pubblici di riferimento, il target, l’utilizzo dei mezzi di comunicazione per avere feedback. Per farlo devi saper usare una cultura sedimentata, io non prendo una news e la traduco in una cosa semplice, quello lo fanno gli studenti al primo anno del master, mentre mi aspetto che al secondo sappiano costruire contesti e punti di vista e, sostanzialmente, essere facilitatori di dibattito culturale. Bisogna stare al mondo, non duplicare la news di uno scienziato che, anche quando risponde sul suo blog, si rivolge a qualcuno già sensibile all’argomento. Per questo è complesso il lavoro della comunicazione. Il mezzo cambia moltissimo la scelta degli argomenti e il tuo modo di parlarne: argomenti spettacolari alla tv magari non lo sono in radio. Così come, ogni volta, cambia la tua committenza. Una delle sfide del mio lavoro è quella di adattarmi a linguaggi diversi, o inventarne anche per quello che sto facendo in quel momento.. Alla fine io mi adatto al committente che mi dà una cornice e cerco di fare le cose migliori possibili lì dentro, pensando a loro, al pubblico e infine anche a me”.
Quali, dunque, il pubblico e i committenti con cui ti sei misurata lavorando a Memex?
“Partendo dal pubblico, andando per festival culturali mi sono resa conto di essere riconosciuta quasi sempre da insegnanti Quello è un po’ il pubblico di riferimento di Rai Scuola insieme agli studenti delle superiori. Quanto ai committenti abbiamo lavorato soprattutto con gli enti di ricerca e con le istituzioni per la scelta dei temi, anche se il lavoro con le istituzioni non ha quasi mai riguardato me, bensì la produzione. Lavorare a Memex mi ha divertito molto, ma non è stato facile. Gli scienziati dovevano dedicarci un intero pomeriggio o, a volte, un’intera serata sino a notte fonda (in questo caso con un approccio divulgativo in senso proprio). Registrare per sei ore in uno studio televisivo è faticoso, a maggior ragione per un non addetto ai lavori. Non è facile essere sbattuto da un laboratorio a uno studio televisivo così. C’è chi ce la fa un po’ di più e chi ne esce a pezzi. Lo studio ha dinamiche complicate, richiede prestanza fisica in certi momenti che anch’io non sempre riesco ad avere”.
Eppure avete chiuso la stagione con una puntata sull’autismo, che la Rai ha promosso nel palinsesto dedicato alla Giornata Mondiale…
“Quel tema, più che per le scuole, era pensato per i genitori. Siamo andati in onda anche su Rai2 con una diffusione superiore. Anche altre nostre puntate sono finite sulle generaliste e lì il nostro pubblico doveva essere soprattutto quello delle famiglie. Per quella puntata abbiamo lavorato con tanti specialisti e con le associazioni, è stata impegnativa perché avevamo tempi molto serrati. Alla fine è venuto un buon lavoro, ho sentito persone coinvolte direttamente, da specialista, paziente o da parente di un paziente, che mi sono sembrate molto contente di quello andato in onda. Lo hanno ritenuto molto preciso, attento non solo alla cronaca, ma anche alla sensibilità. Credo che lì abbiamo fatto un buon lavoro di comunicazione sulla salute”.
Qualche anno fa hai lavorato anche al noto programma di inchiesta Presadiretta. Qual è stato in quel caso il tuo contributo?
“Io lì ho fatto delle parti molto minori, ho imparato come funzionano quelle cose lì, più che altro le ho viste fare agli altri e vederle fare agli altri è sempre istruttivo… Ho imparato cose belle e cose brutte di come funziona la prima serata, ma dopo due anni la mia esperienza lì era esaurita. Io faccio soprattutto scienza, quindi se il metodo scientifico passa in secondo piano o viene considerato strumentale ad altro io un po’ mi annoio, un po’ divento poco utile. In fondo ho una certa età, lì volevo essere d’aiuto per quello che so fare, non ricominciare da capo. Poi per un anno ho lavorato meno con la tv perché sono stata molto fuori dall’Italia…”.
Quali sono le esperienze che ti hanno portato a occuparti di giornalismo televisivo?
“Io ho cominciato coi giornali, però molto giovane ho attaccato con la radio e sono stata per sette anni in una redazione radiofonica. Lì ho fatto la mia gavetta, poi ho cominciato a fare tv e non ho mai smesso di fare tutto il resto. Sono un’accumulatrice compulsiva di esperienze professionali”.
Come vedi quindi il tuo futuro in tv?
“Intanto il futuro non è molto lontano, le produzioni ricominciano a settembre-ottobre. L’estate è l’interregno in cui si capiscono le cose, ci si orienta sul destino che si avrà. In genere non sei tu a poter scegliere, a meno che tu non dica no non hai molte altre possibilità. Io faccio quattro cose in questo momento, i giornali di tutti i tipi dai quotidiani ai mensili, la radio non tanto spesso ma abbastanza, la tv che ha queste produzioni invernali per cui è normale che io ora non la faccia. E lavoro coi libri, editori, in tanti modi. Sto per uscire con un libro, sei mesi dopo ne uscirà un altro. Sono lavori meno evidenti. E poi ho l’università, insegno giornalismo scientifico. Forse l’insegnamento al momento è un po’ meno interessante, uno deve avere qualcosa da dire per insegnare…”.
Se dovessi fantasticare su un’idea tutta tua di programma scientifico…
“Penserei a una prima serata, per esempio, del venerdì sera per un programma di scienza e attualità… Nessuno me la darà mai (ride, ndr). Mi piacerebbe avere un ruolo autoriale come ho avuto a Rai Scuola. Mi piacerebbe che fosse ancora possibile una creatività che con la tv mi sembra sottoposta a vincoli. E poi mi piacerebbe che fosse più possibile legarsi alle cose di attualità e non a tematiche fuori dal tempo”.
Di quale tema, in particolare, vorresti occuparti in tv perché poco trattato in genere o non ancora esplorato da te?
“Anche la scelta del tema dipende da orario, committenza, messa in onda. Volendo ragionare in maniera non prescrittiva… Te la metto così. Mi piacerebbe che fosse possibile comunicare quanto ciascuno di noi possa badare alla propria salute da sé, dando i giusti ruoli agli specialisti. Vorrei comunicare l’idea che ciascuno di noi dev’essere il primo ambulatorio per il proprio corpo. Uno può capirlo da sé, o aver bisogno di strumenti di comprensione. Non è che devi sapermi fare la piramide alimentare a memoria se ti spiego il tuo metabolismo, ma può essere carino che tu la volta dopo sappia regolarti per il tuo corpo e le tue aspettative, senza dover aderire a delle idee precostituite che non vanno bene per tutti. Insomma, trovo che si debba diventare un po’ autonomi nella gestione della salute. Io e te dobbiamo mangiare cose diverse, è inutile allinearsi per il diverso tipo di vita che facciamo, anche per la nostra identità. E poi ci sono i gusti, le abitudini, le tradizioni: se mangio con mia nonna non posso dirle di non mangiare coniglio. Credo si debba imparare a essere autonomi dai maghi, ma in una certa misura anche dai dottori. Non si può andare dai dottori per qualsiasi cosa”.
Mai come quest’anno le diete in tv sono diventate un tema caldissimo, al centro di talk televisivi e dibattiti giornalistici… Tu te ne occuperesti in chiave scientifica?
“Volendo si potrebbe giocare a fare un reality e mettersi a tavola col ciccione (scherza, ndr). Di diete se ne occupano in tanti, è un argomento così di moda che c’è tanta gente molto brava… Io mi annoio un po’ con l’argomento alimentazione. Mi annoiano da morire le fissazioni sulle multinazionali del male. Diventano stereotipi, ma ci si può scherzare. Quando tento di giocare su questi argomenti cerco di infilarci sempre una cosa. Di fondo siamo tutti quanti esseri umani, dobbiamo essere molto comprensivi verso le credenze irrazionali, tutti ne abbiamo. C’è chi è più predisposto, anch’io ho le mie fissazioni e credo alle mie stupidaggini. Però ci vuole rispetto perché avere delle idee bislacche fa parte dell’essere umano. Per questo sopporto poco anche chi pensa che basti dare delle spiegazioni. Tanto, chi vuole sfondarsi di cazzate, ti segue ancora meno se tu ti impunti”.
Insomma, il tuo approccio alla cultura scientifica è assolutamente contrario ai dogmi. Quindi, se dovessi commentare lo stato di salute della cultura in tv dalla tua prospettiva comunicativa?
“Credo fortemente che la comunicazione, quanto più sia legata alla salute e all’identità della persona, tanto più necessiti rispetto. Se una persona si sente vegetariana non puoi dirle nulla. Comunicare in tv non dovrebbe presupporre l’offesa. Questa è una chiave che adesso si cerca di utilizzare, una riflessione che nel mio campo si fa sempre di più. Le idee scientifiche non possono esserlo per definizione. Aderire a una teoria è altrettanto stupido che aderire a un’idea irrazionale. Quando hai capito che siamo tutti esseri umani devi avere rispetto per gli altri, quello che c’è dietro è sempre un’attenzione molto umana, alle volte anche molto buona, molto legata all’idea che una persona ha di sé. Credo che la cultura in tv dovrebbe ripartire da questa consapevolezza, da una prospettiva umile. Altrimenti non si fa per niente strada”.